E VENNE IL GIORNO

Una misteriosa tossina si diffonde nell’aria nei parchi pubblici delle metropoli del Nord Est degli Stati Uniti. Gli effetti sono letali, quanti respirano l’aria infetta impazziscono e si suicidano. L’epidemia si allarga a partire dal Central Park, e raggiunge altre metropoli. L’origine della tossina è sconosciuta; sulle prime viene ritenuta un’arma batteriologica, ma quando il contagio si estende ai centri minori la pista dell’attentato terroristico viene scartata. Il professore di scienze Elliot Moore scienze fugge dalla metropoli insieme alla sua famiglia. Dovranno sopravvivere in un mondo privo di certezze…

 

LA CRISI DELLA (CONO)SCIENZA

Come era avvenuto per Signs, anche per E venne il giorno (The Happening – 2008) M. Night Shyamalan sfrutta le atmosfere del thriller e l’ambientazione fantastica per avanzare una tesi filosofica. Secondo il professor Moore, portavoce del pensiero del regista, per quanto la scienza possa progredire alcuni fenomeni sono destinati a restare inspiegati. Finzione cinematografica a parte, la posizione del protagonista trova sostenitori tra insigni filosofi e scienziati. Anche i più irriducibili razionalisti devono ammettere che il metodo galileiano è ancora oggi valido, tuttavia qualsiasi fenomeno è influenzato da innumerevoli variabili. Purtroppo non sempre esistono strumenti abbastanza sofisticati da tenere conto di tutte le possibili cause e condizioni che influenzano gli eventi studiati. La pellicola aderisce a questa posizione ideologica fin dall’inizio, in modo inequivocabile.
Il regista applica le tecniche narrative ereditate da Alfred Hitchcock e in alcune sequenze riesce davvero ad instillare la paura nello spettatore, però il suo fine ultimo è realizzare un dramma gnoseologico. Se lo spettatore cerca svago facile e rifiuta la riflessione sulla crisi della scienza gli è quasi impossibile apprezzare il film: la trama si basa su una trovata improbabile e il suo sviluppo è fin troppo prevedibile.

Lasciando da parte ogni speculazione filosofica, E venne il giorno assomiglia ad un pastiche di pellicole già viste, amalgamate con ritmo altalenante. Tanto meno importa che le situazioni siano reinterpretate con spirito ecologista e New Age: a una visione distratta lo spettacolo può risultare prevedibile. E venne il giorno non è una versione ecologista e sbiadita de La Guerra dei Mondi (2005), rivisitata con mezzi più contenuti, con personaggi più elementari interpretati da attori meno popolari. Certamente il viaggio di Moore ricorda quello del protagonista (interpretato da Tom Cruise) del remake spielberghiano ed è un susseguirsi di esperienze terribili, un tragico road movie che porta alla maturazione ed è percorso con una bambina. Ogni somiglianza si limita a questi aspetti perché le intenzioni dell’autore sono assai distanti da quelle tipiche di una pellicola catastrofica o dedicata all’analisi della famiglia. I personaggi in fuga nelle campagne, minacciati da un potere che nessuno riesce a controllare funzionano alla perfezione nel film realizzato da Steven Spielberg. Questi ha fatto della famiglia il tema dominante di molte sue pellicole, dal tenero E.T. che cerca la sua casa lontana, all’androide programmato per sostituire un figlio morto in A.I.. Ne La Guerra dei Mondi il rapporto tra padre e figli è importante, al pari delle paure generate dagli attentati alle Torri Gemelle: il regista sfrutta l’invasione aliena come pretesto per analizzare questi aspetti della società americana. Gli alieni sono concreti quanto le cose che distruggono; il protagonista può dare un volto alla sua paura, sa che il nemico ha astronavi, armi, tanta fame. Le scene apocalittiche riflettono le paure degli Stati Uniti dopo l’11 settembre e soddisfano il bisogno di spettacolarità tipico del cinema hollywoodiano. L’apocalisse che attende l’umanità avida ed egoista descritta da M.Night Shyamalan è più inquietante dell’invasione aliena: il morbo viaggia sospinto dal vento, è una presenza invisibile che mina le cellule cerebrali e sovverte l’ordine del pensiero. Non a caso i contagiati camminano all’indietro, o ripetono frasi prive di senso: rispecchiano la crisi di un rapporto con la realtà basato esclusivamente sulla logica più ferrea. Davanti agli interrogativi lasciati aperti dalla pellicola, gli effetti speciali o gli stereotipi dei film dedicati alla famiglia passano di necessità in secondo piano. Shyamalan ha scelto di far riflettere su temi assai più astratti e quindi ardui da concretizzare in immagini e di conseguenza il risultato può lasciare perplessi.

 

LE RICETTE DI SHYAMALAN

Come ne Gli Uccelli, la natura si ribella seguendo leggi ignote all’uomo; mentre i compassati abitanti della piccola isola assediata dai volatili mantengono una relativa lucidità, la paranoia più estrema si impossessa delle metropoli. Tutti poco a poco perdono la sfida con il caos che sconvolge le esistenze. Vengono travolte le masse di suicidi, e i superstiti si trovano a fare i conti con la follia. Il professor Moore incontra fuggitivi sconvolti dagli eventi, soldati prossimi al crollo nervoso, fanatici pronti a rispondere con il fucile alle richieste di aiuto, vecchie che vivono lontano dalle preoccupazioni del loro piccolo mondo, e sono pronte a reagire con violenza alle intrusioni. Come in The Village, isolarsi può essere una risposta immediata tuttavia è una soluzione ipocrita: l’anziana signora che vive in una casa d’epoca, conserva un grosso manichino di legno nel letto e colleziona immagini sacre e trine, viene contagiata dalla tossina proprio come i cittadini delle lontane metropoli. Ricostruire rapporti autentici, partendo da piccoli gruppi sembra essere una delle risposte possibili o almeno è quella scelta dal professore. Il rapporto con la compagna pare incrinato, va avanti tra bugie più o meno innocenti, avances telefoniche, impacciati silenzi. A proposito: come Alfred Hitchicock, anche Shyamalan ama interpretare piccoli cameo nelle sue pellicole, e in questa presta la voce a Joey, ammiratore di Alma. La confessione reciproca aiuta la coppia a maturare, a sopravvivere in un mondo che non sarà più sicuro per nessuno.
Il messaggio politico dell’autore è forte; in Lady in the Water un personaggio scriveva un libro di ricette: non era un novello Pellegrino Artusi, ma emulo di Gandhi, un uomo disposto a sacrificare la vita pur di offrire una ‘ricetta’ per il domani, una cura per una civiltà messa in crisi. In E venne il giorno gli States possono salvarsi solo se i singoli correggono il comportamento verso il prossimo e l’ambiente. Il pericolo nasce all’interno della società stessa, non è la reazione estrema di popoli ridotti in miseria dall’avidità di Nazioni più ricche. In un primo tempo la gente crede ad un attentato terroristico, poi è ovvio che il pericolo nasce dallo stesso ambiente. La natura si ribella al mito del progresso: le megalopoli sono simili ad allevamenti in batteria, il lusso quando c’è viene conquistato sacrificando il tempo altrimenti destinato a costruire rapporti sociali profondi. Il malessere ha il volto dei parchi dove la gente siede a mangiare junk food nella pausa pranzo o corre per cercare di apparire sempre giovane.

 

Non si salvano neppure i sobborghi, le periferie residenziali per giovani ricchi, o le campagne dove per trecentomila dollari si può avere la casa dei sogni, pronta e arredata come la villa della Barbie. Il regista condanna una civiltà che pretende di livellare valori e credi, limitare le aspirazioni individuali, mercificare le relazioni e scandire l’esistenza con ritmi innaturali. Il benessere economico viene pagato con il disagio interiore, con l’alienazione sociale, con rapporti umani poco soddisfacenti. Il tanto sognato meltin’pot sembra una ricetta indigesta: la corsa all’efficienza sacrifica le differenze individuali invece di valorizzarle, trasforma le persone in un gregge di infelici benestanti o di rabbiosi nuovi poveri. Come nei più riusciti horror degli anni Settanta l’impegno civile è un passeggero clandestino, nascosto tra i piani lunghi della piazze prive di panchine, brulicanti di gente che non ha tempo per fermarsi a chiacchierare, o delle campagne trasformate in periferie di lusso.
Rispetto a precedenti pellicole realizzate da M.Night Shyamalan, la violenza è molto esplicita e ben contrasta con i contesti in apparenza idilliaci dei parchi pubblici e delle verdi campagne costellate di antiche residenze e ville modello in pronta consegna. Le sequenze dei suicidi sono assai forti: le prime morti colpiscono perché sono inattese, le successive godono di inquadrature inconsuete, e di un montaggio che niente lascia al caso. Ci sono sequenze piuttosto realistiche, altre sfruttano l’immaginazione dello spettatore suggerendogli le atrocità, oppure ricordano i quadri di Bruegel. La censura ha imposto il divieto per i minori di quattordici anni poiché le scene violente abbondano e sono intense grazie alla tensione che il regista sa costruire. I particolari macabri sono paragonabili a quelli visti in molte pellicole di genere risparmiate dalla censura; è ovvio che il divieto è dovuto al tema del suicidio, un vero tabù nell’America puritana. Hanno la peggio anche quei personaggi che il cinema catastrofico di solito risparmiava, bambini o adulti in apparenza ben integrati nella società. Le platee d’oltreoceano forse sono poco preparate a tanta verosimiglianza e l’epilogo è meno ottimista di quanto ci si aspetti da una pellicola catastrofica. La scelta del regista è difficile quanto coerente; poteva indugiare meno nella rappresentazione dei decessi, tuttavia la pellicola si basa su temi comunque inadatti ai giovani o alle famiglie. E venne il giorno è un dramma filosofico ed intimista, con una splendida colonna sonora e pochi effetti speciali. La critica alla civiltà contemporanea, la denuncia dei limiti della conoscenza umana sono temi adulti. M.Night Shyamalan con onestà sceglie di rivolgersi a un pubblico maturo, e non pretende di coinvolgerlo con soluzioni facili e risposte pronte.

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

La recensione è stata edita su FANTASTICINEMA: https://www.fantasticinema.com/e-venne-il-giorno/

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