SUPEREROI PER CASO - RETURN TO BATCAVE

Supereroi per caso: le disavventure di Batman e Robin , noto anche come Return to the Batcave: The Misadventures of Adam and Burt è un film televisivo del 2003. Racconta la storia del serial su Batman e Robin andato in onda in America alla fine degli anni sessanta, e più precisamente dal 1966 al 1968. La serie, destinata prevalentemente a una platea di famiglie con bambini, era coloratissima come un quadro della Pop Art ed aveva un jingle memorabile. Era un piccolo capolavoro del kitsch rimasto nei cuori di quanti allora erano giovanissimi, e perciò nel corso degli anni è stato considerato un vero cult. In tre stagioni, centoventi episodi di una ventina di minuti ciascuno raccontavano tra sovrimpressioni con onomatopee alla Andy Wharol e scazzottate a ritmo di musica un Batman molto più solare rispetto all’Uomo Pipistrello del fumetto. Anche se ogni puntata si interrompeva con un cliffhanger e lasciava Batman e Robin alle prese con un pericolo mortale, era ovvio che se la sarebbero sempre cavata a testa alta, senza neppure un graffio. Lottavano per la giustizia invece di essere dei vendicatori; per un bambino erano gli eroi perfetti, e rassicuravano i genitori con il loro aspetto bonario, bellocci ma con la pancetta che strabuzzava dai costumi simili a pigiami troppo aderenti, il sorriso raggiante. I dialoghi avevano un lessico semplice e c’erano battute con chiari intenti educativi sull’essere sempre gentili, mangiare verdura, andare a letto presto, allacciare le cinture di sicurezza, fare i compiti...
I personaggi divertivano anche i più scettici in quanto la recitazione era caricaturale e quasi improvvisata, le scenografie di vistosa cartapesta. Dal primo fotogramma ai tutoli di coda, tutto ammiccava all’arte popolare delle strisce a fumetto, e nessuno si prendeva sul serio.  La serie è rimasta celebre anche ad anni di distanza dall’ultimo ciak, grazie ad un paio di film e alla programmazione frequente di repliche nei palinsesti televisivi.
La pellicola del 2003 diretta da Paul A. Kaufman è un omaggio affettuoso a questi due eroi, un amarcord sospeso tra il documentario e il sequel. E’ stato interpretato da parecchi degli attori del cast di un tempo, ci sono Adam West, il Batman storico, e Burt Ward, il Robin che fu. Interpretano loro stessi, due attempati attori che ormai hanno attaccato i mantelli al chiodo e vanno a presenziare iniziative benefiche. Durante l’inaugurazione di una mostra benefica per raccogliere danaro per un orfanotrofio la Batmobile viene rubata e proprio loro decidono di andare a recupere l’automobile.
C’è una trama, quindi, c’è una sceneggiatura che va ben oltre l’elenco cronologico di fatti veri o considerati tali, e c’è uno stile fracassone e kitsch che viene riproposto. E’ questo il maggior pregio del film, la sua genialità: raccontare una storia di un passato recente eppure ormai tanto datato, donarle il sapore di un episodio, usarla come spunto per rivelare retroscena ricreando un rapporto di complicità con lo spettatore. Sembra quasi di assistere ad un fan movie fatto bene,  sorretto da buoni mezzi rispetto a tanti  altri film creati da amatori, quasi un gesto d’amore di un fan che si rivolge ad altri appassionati. Ci sono addirittura le sovrimpressioni della sagoma della Batmobile che annunciano le pause pubblicitarie, proprio come avveniva in televisione.
La storia narrata, per quanto appaia esilissima ed ingenua, fornisce una sfiziosa cornice necessaria per inserire clip d’epoca, footage e ricostruzioni con interpreti molto simili ai volti originali. Alcuni degli interpreti originali non erano più con noi già nel 2003, come l’affascinante Romero il Joker, o David Wayne il Cappellaio Matto, ed altri invecchiando erano così cambiati da essere irriconoscibili, e quindi poco rappresentativi, per cui è stato necessario usare controfigure e nuovi volti. Altri, come la bellissima Julie Newmar , Catwoman, o l’anziano Frank Gorshin , l’Enigmista, hanno potuto dare il proprio contributo in deliziosi cameo. Durante le indagini dei due attori viene ripercorsa la storia del telefilm, dalla sua genesi al malinconico tramonto. Alcune sequenze sono materiale scartato a suo tempo, con gli attori originali. Per altre sequenze hanno dovuto ricostruire quanto avvenne a suo tempo: come furono ingaggiati i due protagonisti, cosa accadeva sul set, le difficoltà nell’affrontare la popolarità, l’uso goffo dei gadget, o anche il particolare malizioso sul costume che comprimeva dolorosamente la troppo ingombrante virilità di Ward.
Le indagini portano i due protagonisti a incontrare ed intervistare o comunque lasciar parlare altri personaggi della serie, e la troupe. Alcune scene vengono riproposte immutate, con gli attori anziani che cercano di correre, di ballare come usava in passato o di replicare vecchie sequenze iconiche. Si tratta dell’uscita dalla Batcaverna, delle corse sulla Batmobile, dell’uso dei gadget, in particolar modo il boomerang a forma di pipistrello, il bat segnale, vero simbolo del serial…
Come recitazione, i due protagonisti non sono mai stati emuli di Lawrence Oliver o di Max von Sydow. Non lo erano a inizio carriera e non lo sono diventati poi, anche perché il telefilm ha donato loro fama e ricchezza e li ha anche confinati in quelle calzamaglie, con poche opportunità di poter migliorare professionalmente e ottenere ruoli più interessanti. Ward ha perso l’occasione di interpretare il Laureato e ha vissuto ai margini del mondo dello spettacolo, partecipando a convention, a spettacoli di beneficienza nel ricordo dei bei tempi andati. West si è barcamenato tra ruoli secondari, partecipazioni a telefilm, condannato comunque ad essere identificato col super eroe e accontentarsi di presenziare a fiere del fumetto e iniziative legate a Batman . Entrambi hanno doppiato i rispettivi personaggi nelle serie animate, e hanno girato due film sequel della serie, Batman: Return of the Caped Crusaders e Batman vs. Two-Face, onesti B movie che vivevano dell’entusiasmo dei più piccoli. Avversari e personaggi secondari erano caratteristi più o meno affermati, non hanno avuto chissà quale lanci professionali così come non sono restati troppo attaccati a ruoli iconici.
Il grosso problema della versione allegra e solare dell’Uomo Pipistrello è, probabilmente, l’incapacità di accontentare gli adulti smaliziati e le famiglie. Oggi potrebbe venire riscoperto grazie alle correnti artistiche che hanno fatto proprio lo stile dei comic, dalla Pop Art a Keith Haring ai graffiti della street art, ma a suo tempo quelle forme di comunicazione non venivano considerate artistiche. Gli adulti bianchi del ceto medio le snobbavano apertamente, incolpando i fumetti di promuovere la degenerazione dei costumi, o semplicemente relegandoli nel limbo delle primissime letture, quasi un Geronimo Stilton d’altri tempi. C’è stato anche, negli anni successivi alla serie, il tentativo di creare un programma televisivo con i supereroi e con gli attori della serie, ma è stato un flop ed è durato pochissimo. A decretarne la prematura fine, l’alto costo degli effetti speciali e delle scenografie, proprio come era accaduto col telefilm.
Il bello del ritorno alla Batcaverna è la creatività usata per raccontare quello che altrimenti sarebbe stato solo un documentario su un serial fuori moda o così brutto da passar per bello, come i film di Ed Wood Jr. Invece la sceneggiatura tratta con affetto questi professionisti, facendo emergere dettagli che inteneriscono non solo il cuore dei vecchi fan, ma anche quanti, pur non amando in particolare i super eroi, amano ricordare un modo di fare televisione che oggi non c’è più.

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

La recensione è stata edita da FENDENTI & POPCORN. Se la volete adottare, ditelo !

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