CONSTANTINE

Il detective dell’occulto John Constantine nasce dalla creatività di Alan Moore, John Totleben e Stephen Bissette nel 1985. E’ protagonista della serie a fumetti Hellblazer pubblicata dalla DC Comic per l’etichetta  Vertigo, dedicata a un pubblico decisamente adulto. E’ un investigatore gallese dall’aria retrò, stazzonato e dotato di un appeal da duro romantico, capace di confrontarsi con demoni, possessioni, stregonerie. In teoria è un personaggio ricco di potenzialità, con alle spalle un’ambientazione urban fantasy che rivisita in chiave postmoderna i miti della cultura internazionale. Tra l’altro, pur avendo la ‘sua’ serie compare in altre serie della Vertigo, come The Books of Magic e Swamp Thing.
Nelle pagine del fumetto, funziona alla perfezione, tanto da diventare un piccolo classico; sullo schermo invece è stato meno fortunato, al pari di altri eroi analoghi come il meno duro Dresden di The Dresden Files o il nostrano Dylan Dog.
Il film con Keanu Reeves, Constantine, tradisce il personaggio sia come estetica, sia come tono della vicenda narrata. L’attore ha origini etniche varie, e non assomiglia all’immagine di un britannico con capelli color stoppa, il trench e la sigaretta sempre appesa all’angolo della bocca. Il cambio di etnia è solo il primo dei troppi problemi della pellicola. Pur di evitare le censure più pesanti, Constantine vede smorzate le sue caratteristiche di bastardo dal grande cuore, è reso in modo molto meno ambiguo. Lo spettatore trova i personaggi schierati in buoni o cattivi senza le necessarie sfumature che li rendano credibili, presenti invece nel fumetto. Le scene horror sono sempre adattate e contenute nella loro atrocità, cosa che non accade nelle pagine.
La serie del 2014 realizzata per la NBC doveva rimettere le cose a posto, o almeno ci ha provato, in quanto è durata una sola stagione a causa dei costi troppo elevati.
Stavolta il protagonista è interpretato dal gallese Matt Ryan; esteticamente rende alla perfezione, e interpreta con vera convinzione il personaggio. Constantine perde la sua bisessualità e quindi i suoi rapporti con alcuni personaggi necessitano di giustificazioni talvolta un po’ forzate e smarriscono alcuni innuendo che sono presenti nei balloon. In una serie destinata comunque per i temi e per la violenza ad una platea adulta, in mezzo a tanti prodotti visivi che s’arrampicano sugli specchi pur di inserire personaggi non binari, la scelta appare discutibile. Constantine inoltre fuma molto meno, si decide a mettere in bocca la sigaretta solo negli ultimi episodi, quando probabilmente era quasi certo che la serie venisse cancellata. Inoltre sa guidare, quindi in teoria è molto meno dipendente dai suoi alleati per spostarsi autonomamente. Viene da chiedersi come mai si circondi di alleati quasi dilettanteschi, la sensitiva Zed e l’ amico occultista Chas Chandler, se viene a cadere il lato sentimentale e anche quello utilitaristico viene ridimensionato. Constantine infatti è un occultista di prim’ordine, conosce moltissimi rituali, sembra sapere sempre cosa stia accadendo. La sceneggiatura mantiene il passato tragico e il pessimo carattere del mago, che fa pochi sforzi per rendersi simpatico. E’ saputello e consapevole dei suoi poteri esoterici, che spiega di volta in volta alla bella Zed (Angelica Celaya) o all’amico Chas Chandler ( Charles Halford). I due comprimari sono poco più che aiutanti di scena. Quando non sono vittime o non portano via il malconcio eroe dal teatro degli eventi, sembrano star lì per convincere il detective a spiegare la funzione degli artefatti oppure l’uso degli incantesimi, un po’ come il dottor Watson con Sherlock Holmes. Ogni aspetto sentimentale resta accennato, il menage a trois potrebbe esserci e non decolla, i legami d’amore, d’odio e di amicizia con altri personaggi sono strettamente limitati a quanto occorre per l’intreccio.
Le capacità sovrannaturali di Constantine sono straordinarie, padroneggia magie e esorcismi, vive in un mulino che visto da fuori sembra un bugigattolo e dentro è una reggia con una serie infinita di stanze. Dentro il bel cottage conserva un arsenale di grimori e oggetti incantati che spuntano fuori un po’ all’improvviso, o piuttosto vengono nominati e portati in scena quando la trama lo richiede. Qualche inquadratura dei bizzarri artefatti, diluita nel corso dei vari episodi, avrebbe evitato o almeno ridotto la sensazione di veder tirare fuori l’oggetto risolutivo al momento giusto, tanto per salvare la pelle al nostro eroe o  dare la giusta spinta alle indagini.
Se Constantine è un tipo tosto, resta pur sempre un essere umano mentre gli avversari sono entità sovrannaturali o altri maghi molto potenti. Nonostante tutto il potere di cui dispone, rischia sempre di soccombere e spesso non riesce a proteggere i suoi alleati. Praticamente quasi non c’è episodio in cui rimanga illeso, una scelta narrativa innovativa negli anni Ottanta in cui questo personaggio è nato. C’ erano supereroi muscolosi, con super poteri e super problemi. Sconfiggevano i ‘cattivi’ in modo quasi indolore o comunque non uscivano malconci da qualsiasi scontro né ciondolavano intontiti per interi episodi, e vincevano sempre. Constantine ha preceduto i tempi: come lui, oggi gran parte dei personaggi  appaiono più vulnerabili e  possono fallire nelle loro missioni, il maltrattamento fisico e psicologico dei protagonisti pare essere la regola anziché l’eccezione. Più che un modo per solleticare l’istinto materno nelle spettatrici, è una dichiarazione programmatica. Nell’ambientazione urban fantasy di Alan Moore le forze in gioco sono assai più potenti di quanto non ci si possa attendere, in quanto sono sovrannaturali. La magia è pericolosa, altera la realtà e richiede grandi sacrifici, anni di studio, e farsi carico di rischi inaccettabili ai più. Constantine è disposto a pagare, e spesso il prezzo è la vita di quanti lo circondano. Le sofferenze non si limitano a banali ferite fisiche, investono la coscienza del mago e si traducono in rimorsi e sensi di colpa.
L’Inferno e il Paradiso sono reali, e così i Demoni e gli Angeli; tutte le entità ultraterrene, anche quelle in teoria benevole come l’angelo Manny che assiste Constantine, mantengono un atteggiamento di non intervento diretto. Spingono i loro protetti all’azione, oppure li possiedono per sostituirsi a loro, e talvolta non possono salvarli dagli avversari o da sé stessi.
Se la serie Constantine non ha avuto il meritato successo, è probabilmente da imputare a una sfortunata combinazione di diversi fattori. Prima di tutto, i fumetti della Vertigo sono sempre stati un prodotto adulto con un tono molto diverso dai titoli seriali sviluppati in anni e anni di pubblicazioni. Sono graphic novel e annoverano Alan Moore e Neil Gaiman tra gli autori. La gente ha davanti gadgetteria d’ogni livello di Batman e di Superman, dal costume per ragazzini più pacchiano all’action figure più sofisticata. I fumetti Vertigo invece si trovano in fumetterie e in librerie specializzate, luoghi dove di solito si entra con la consapevolezza di avvicinarsi a opere significative, e mancano della paccottiglia kitsch. Una maggiore qualità delle storie nasce da scelte meno commerciali e più coraggiose, le stesse che però confinano la saga tra i prodotti di nicchia e ne ostacolano la diffusione. Non sorprende che la Vertigo sia stata chiusa nel 2019 poiché fumetti di quel tipo sono pensati come longseller, piuttosto che come bestseller; danno prestigio intellettuale più che introiti capitalizzabili. La serie televisiva che ne è derivata ha ereditato gli stessi pregi e anche i difetti. E’ ben fatta, a parte il primo episodio, un pilot che sembra sonnacchioso e poco convincente. Se si ha pazienza per sopportare l’inizio poco felice, lo sforzo è ripagato da altre dodici puntate qualitativamente alte… con interpreti già noti per altri ruoli, con effetti speciali notevoli per gli standard televisivi, con sceneggiature che adattano efficacemente i fumetti alla serialità televisiva. Ma il bacino di utenza è limitato ai vecchi lettori, e a qualche curioso nuovo adepto: un po’ poco per bilanciare i costi alti di un comic, figurarsi quelli astronomici di un telefilm. Così ci sono solo tredici puntate, prive di una conclusione vera e propria, anzi con la tredicesima puntata che lascia domande. C’è da augurarsi che, prima che gli interpreti invecchino al punto di non poter più riprendere i loro ruoli, qualche network più illuminato ponga rimedio.

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

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