DYLAN DOG - IL FILM

 

Dylan Dog è stato un vero e proprio fenomeno editoriale degli anni ’90, un fumetto innovativo, capace di diventare un vero fenomeno di costume nel giro di pochi mesi. L’ azzeccato mix tra horror e paranormale, condito da spruzzate di ironia e romanticismo, e forti messaggi progressisti ben disseminati in intrecci accattivanti difficilmente potevano passare inosservati. E’ nato come fumetto popolare, nella migliore accezione del termine, in quanto possiede caratteristiche capaci di renderlo gradito a persone di diversa età e cultura. Grazie all’aspetto da eroe romantico ha conquistato anche parecchie lettrici, un quegli anni ancora restie ad avvicinarsi ai comics. Naturalmente, come tutti i prodotti seriali, Dylan Dog ha avuto la sua parabola: il primo centinaio di numeri sono stati molto belli, e artisticamente validi, poi poco a poco si è attestato in un buon compromesso tra esigenze di serialità ed estro artistico, ridimensionando le pretese.
Nel 2011 la carica dirompente ed innovativa del personaggio ormai aveva espresso il meglio, Dylan Dog era un fumetto con uscite regolari e un pubblico più o meno stabile. Nonostante il calo fisiologico, a Hollywood qualcuno ebbe  l’idea malsana di sfruttarlo come soggetto di un film. In teoria il personaggio dell’indagatore dell’incubo sembrava molto adatto al grande schermo; purtroppo però gli adattamenti furono tanti e tali da snaturare completamente il personaggio. Gli sceneggiatori Thomas Dean Donnelly e Joshua Oppenheimer crearono una storia del tutto inedita, senza quindi rifarsi a quanto i fan avevano amato e conosciuto. Invece di una Londra di fine millennio popolata da gente verosimile e da qualche presenza sovrannaturale, l’azione si sposta in una New Orleans diversa da quella che conosciamo. E’ una megalopoli dove i mostri sono presenti e hanno fazioni simili ai clan della mafia degli anni ruggenti. Non è un mistero che vampiri e licantropi si contendano le attività e si facciano la guerra, e tutta la storia ruota attorno a queste presenze fin troppo manifeste. Ovviamente si cerca di sfruttare il successo crescente dell’ urban fantasy di Twlight di Stephenie Meyer e del ciclo dei Guardiani della notte di Sergej Luk'janenko, o dei vampiri secondo Anne Rice, ma ormai la minestra è fredda e il risultato è imbarazzante. I mostri di Sclavi sono presenze ataviche risvegliate dall’uomo, si nutrono della frustrazione e della solitudine, dell’ambizione sconfinata, dello strapotere della scienza; spesso sono solamente uomini aiutati nei loro misfatti dalla tecnologia, a volte anche solo da trucchi tutti terreni. Vampiri, licantropi e zombie sono invece creature concrete, specie a parte che esistono indipendentemente dalle inclinazioni umane o dall’efficienza della sperimentazione scientifica. Sembrerebbe forse una sottigliezza, eppure è quanto trasforma le indagini da un percorso interiore dell’eroe che affronta in primis i suoi stessi demoni, a un hard boiled paranormale.
Lo stesso Dylan è l’opposto di quanto ha fatto il successo del fumetto. L’eroe creato da Tiziano Sclavi doveva avere la bellezza tormentata di Rupert Everett, o ricordare il miglior Baglioni, quello della ‘trilogia del tempo’( gli album Oltre, Io sono qui e viaggiatore sulla coda del tempo). Scegliendo un uomo agile e esile Sclavi aveva voluto sottolineare che stavolta l’eroe è sensibile e intelligente più che forzuto, e risolve gli enigmi grazie all’intelligenza, all’intuito, al ‘quinto senso e mezzo’.  Il personaggio di Sclavi ha le proprie fragilità, un passato da alcoolista, un breve periodo da poliziotto, traumi accumulati negli anni, origini misteriose…  Era sopravvissuto ai propri incubi e così poteva far luce in quelli degli altri. Finalmente l’eroe era umano e tutt’altro che invincibile, un ometto vegetariano e astemio, poco incline a usare le armi o a fare a botte. Era un eroe nuovo di zecca, capace di suscitare  tenerezza alle donne che si innamoravano di lui: si faceva amare per le sue debolezze invece che venir ammirato per quanto lo rendeva potente. La lezione di Sclavi nel film va persa, troviamo l’attore Brandon Routh, ex Superman, un armadio di un metro e novanta tutto muscoli, simile più alla buonanima di Christopher Reeve che a un eroe romantico. Forse Rupert Everett non era nemmeno stato preso in considerazione,  forse era troppo costoso o già impegnato in altre prodizioni, se non boicottato per l’orientamento sessuale dichiaratamente gay. Di fatto del Dylan cartaceo resta il completo con la camicia rossa e la giacca nera sui jeans, indossato con poco garbo dal marcantonio yankee che passa alle vie di fatto e usa armi senza batter ciglio, con tanto di tirapugni in argento per far male ai mannari.
Il tradimento si completa con il maggiolino cabrio nero, voluto perché c’era già Herbie a essere bianco. Sempre per analoghi motivi di copyright l’assistente Groucho viene sostituito da Marcus, uno zombie senziente. I discendenti del comico hanno negato i diritti d’utilizzo di immagine del loro famoso antenato, e quindi gli sceneggiatori hanno dovuto creare una spalla comica di sana pianta. Anche nei pochi numeri tradotti per il mercato internazionale e pubblicati dalla Dark Horse Comics Groucho si chiama Felix e gli sono stati tolti i baffoni. Marcus è interpretato dal meno noto Sam Huntington, il personaggio dovrebbe far ridere ma smarrisce la carica surreale e l’humor caratteristico della spalla storica, un attore che imita Groucho Marx ventiquattro ore al giorno. Si aggira spaesato sulla scena, la sua presenza è necessaria all’intreccio… ma non era questo il compito dell’apparentemente inutile assistente.
L’avventura viene privata dei personaggi e dell’ambientazione; eppure Dylan Dog avrebbe avuto buone potenzialità inserendosi  nel filone dei detective soprannaturali fioriti sulla scia di Dresden e di Constantine. Non bastano gli effetti speciali a risollevare le sorti di un film che parte male e prosegue peggio. Tra l’altro i trucchi non erano proprio eccezionali già al momento dell’uscita nelle sale del film e sono invecchiati male. Probabilmente è proprio lo stravolgimento radicale di ambienti e personaggi a renderli inutili e fastidiosi. Manca l’ atmosfera originale, quella che aveva elevato un fumetto commerciale a cult, gli attori hanno un’aria spaesata e recitano senza mai brillare. In pratica è una sorta di fan film, realizzato però da persone che hanno maggiori competenze e mezzi di un appassionato che nella vita svolge altro mestiere, e che non sono mai stati fan. Purtroppo questa disaffezione verso il personaggio rende la pellicola peggiore del più scalcagnato cortometraggio messo su da dilettanti perché manca il coinvolgimento emotivo. Chi omaggia l’eroe lo fa cercando la massima somiglianza ottenibile con mezzi modesti, magari è goffo e recita in modo imbarazzante, magari non assomiglia al suo idolo e ha trucchi ridicoli, però ha la passione e la trasmette. In Dylan dog – Il film, nessuno ci crede per davvero.
Questo film poteva  passare inosservato, essere una pellicola di sottogenere godibile e senza pretese; oppure poteva essere un titolo di serie B  se gli autori avessero mantenuto i forti temi sociali inseriti in una messa in scena modesta. Dylan Dog ogni mese affronta tanti problemi attuali allora e ancora oggi sentiti, dalle minoranze al fanatismo ideologico, dall’inquinamento al razzismo, dalla violenza domestica  all’incubo delle dittature, alla solitudine dell’uomo moderno che, persa la fede religiosa, vede alla divinizzazione del progresso. C’era abbastanza materiale da poter rinnovare i fasti del vecchio cinema dell’orrore, reinterpretato con la sensibilità  moderne, e invece la sceneggiatura si ispira a un hard boiled rivisitato con elementi urban fantasy ormai visti e rivisti in troppe altre pellicole per poter sorprendere, tralasciando qualsiasi vero impegno sociale o ideologico. Su tutto grava la pesantissima eredità del fumetto, forse poco noto negli USA ma popolarissimo in Italia; può darsi che i lettori americani non si scandalizzino degli adattamenti in quanto i numeri tradotti sono troppo pochi per fare confronti, e che conoscendo poco il personaggio nemmeno si siano posti domande. La Bonelli ha concesso i diritti, forse consapevole che l’indagatore dell’incubo ormai non era più la gallina dalle uova d’oro di quindici anni prima. Se però c’era la speranza di ricondurre l’eroe ai fasti dei primi cento numeri, o almeno rialzarne le vendite, è stato una discutibile scelta, e un pessimo fan service.

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

Questa recensione è stata edita da Fendenti e Popcorn. Vuoi adottarla ? Contattami !

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