ANGELI

Durante una gita scolastica la piccola orfana Jennifer, i suoi quattro amichetti e il cane Jack si perdono in un sito archeologico. Ritrovano uno scheletro e un codice difficile da decifrare, lo fotografano. La scoperta dovrebbe restare un segreto e invece la foto circola sui social media e arriva all’attenzione del professor Kails, esperto di storia antica e noto scrittore. L’uomo in realtà è un occultista e da anni cerca i resti di Darragh, schiavo accusato dell’uccisione della figlia di un ricco ed importante uomo politico romano e per questo murato vivo. Quando finalmente arriva in Sicilia, contatta Jennifer e suo nonno per farsi mostrare il ritrovamento. Infine officia un rituale in un vecchio cimitero, gli spiriti dei trapassati arrivano in aiuto dei piccoli che hanno seguito lo scrittore…

Angeli è un film del 2014 diretto dal giovane regista siciliano Salvatore Bonaffini, già autore di Pagate Fratelli. Si tratta di un fantasy con qualche sfumatura horror e molte caratteristiche ereditate dai film per i giovanissimi. E’ stato prodotto dalla casa di produzione cinematografica Fuori dal recinto, e girato con circa duecentocinquanta attori, alcuni professionisti della scena siciliana, altri bambini al loro debutto. Le riprese sono avvenute nell’entroterra siciliano, nelle campagne di Mazzarino, con l’aiuto di svariati comuni e Istituti che hanno prestato le loro aule e palestre.
Come molte produzioni indipendenti, Angeli cerca di trovare una propria ‘via’ per dare vita ad un fantasy italiano. Il problema di base è che cinema nazionale ha una tradizione tutta verista, e  la fantasia non è il suo forte, nonostante qualche titolo pregevole. Incerto tra la denuncia civile e la fiaba per bambini, il film ha notevoli disarmonie tra i voli di fantasia e la pedagogia spiccia che penalizza il risultato finale.  Ci sono molte disarmanti ingenuità accanto ad alcune trovate splendide, pregevolissime, che da sole ripagano il tempo speso per vedere lo spettacolo.
La proiezione  si apre con una scena di flagellazione che per uno spettatore bambino è abbastanza cruda, in quanto è realistica, simile a quella della Passione di Cristo più che a quella di una sacra rappresentazione di paese. Quando si passa al presente, iniziano i luoghi comuni da film per la gioventù vecchio stampo: la morte dei genitori della protagonista dopo la partita dei Mondiali, i ragazzini a scuola che amano l’hip hop e si sfidano in battaglie, vengono richiamati dal severo preside ma nel loro istituto pare ci siano campionati di danza. L’orfanella Jennifer (Claudia Di Rocco, di soli dieci anni al momento delle riprese) vive col nonno e un cagnolino, ha quattro amici ‘preferiti’ alcuni meglio caratterizzati ed altri opachi. Lo spettatore adulto resta perplesso: le prime sequenze facevano pensare a un horror fantasy storico, magari a un’opera basata su leggende o tradizioni regionali, adatta ai maggiori di quattordici anni. Invece si trova a vedere le imprese inverosimili di cinque ragazzini, stile Banda dei Cinque, tra goffi balletti rap e l’azione affossata da una recitazione acerba e talvolta sincronizzata in modo approssimativo. C’è un antagonista da operetta, il truce professore che dovrebbe conoscere la storia ma officia un rito occultistico in un cimitero là dove nel 1200 avrebbero bruciato le streghe… in anticipo con trecento anni: i roghi nel 1200 erano per gli eretici e chissà se ne avvenivano nella Sicilia di Federico II e del saggio occultista Michele Scoto. Inoltre riesce a risalire ad una persona e alla sua casa da una foto immessa in Internet; considerando che difficilmente si va sui social con i nostri nomi, e soprattutto si sconsiglia ai bambini di dare dati personali, lo scrittore ha un fiuto degno di Sherlock Holmes. Se invece arriva a scoprirlo con la magia, la sceneggiatura doveva farcelo sapere. Anche l’uccisione dell’assistente durante il rito per rianimare i morti appare ingenua: il professore ha preso alloggio con la donna in un albergo della zona, è un volto famoso poiché scrive libri e fa conferenze. Non è proprio nella posizione ideale per passare inosservato. Poteva scegliere qualche barbone o disperato pronto ad aiutarlo con la promessa di una dose o di una bottiglia, qualcuno che potesse sparire senza che la comunità ci facesse caso. Né si sa esattamente quali dovrebbero essere gli effetti della magia, e cosa c’entri l’anima di uno schiavo giustiziato senza che ne avesse colpa. Tra l’altro nella Roma antica se uno schiavo commetteva omicidio ai danni del padrone della domus, veniva ucciso insieme a tutta la servitù, per impedire rivolte e complicità. Il mago avrebbe avuto un intero esercito da assoldare poiché il padre della giovane vittima era un senatore e quindi nella sua domus siciliana poteva avere anche un migliaio di schiavi! Di casi del genere ne capitavano ogni tanto, e poi ci sono stati tantissimi casi di morti violente ed ingiuste nei secoli: non c’era bisogno di attendere anni e anni alla ricerca di una sfortunata vittima, quando bastava leggere qualche testo annalistico o qualche cronacaccia di quotidiano locale  e et voilà, il rito era servito..
Tutte le ingenuità potrebbero scoraggiare la visione di questa pellicola ad un adulto smaliziato o a un adolescente abituato a videogiochi d’azione e libri fantasy classici. Proprio quando la pazienza dello spettatore dubbioso sta finendo ed è lì pronto per mettere mano al telecomando per cambiare spettacolo, c’è la svolta poetica e geniale. Gli angeli che danno il titolo alla pellicola si rivelano in tutta la loro umana e metafisica grandezza. Sono i morti del cimitero, le anime dei defunti sepolti in quel luogo che tornano in vita per la durata della notte o, forse, in particolari occasioni divengono visibili ai viventi che sanno ascoltarli. Provengono da varie epoche e ciascuno di loro racconta la sua esperienza, tragica o solamente malinconica. C’è una piccola Spoon River nel cimitero notturno, con mancate dive degli anni ruggenti, una famiglia di immigrati annegata durante la traversata in barcone, un gruppo di scioperanti sterminato da Salvatore Giuliano nella Strage di Portella della Ginestra, un soldato saltato in aria per una mina in Afghanistan, gli stessi genitori della bambina protagonista, lo schiavo, la figlia del senatore… Ciascuno racconta la sua vita e la sua morte con serenità perché ormai è riappacificato con i viventi. Questi personaggi adulti hanno copioni brevi ma intensi, e le loro parti sembrano le meglio riuscite insieme a quella del nonno Giuseppe: si tratta di attori attivi da anni in piccole realtà di cinema regionale, e di teatro. I bambini sono chiaramente dilettanti, e il sonoro non sempre ben sincronizzato penalizza la loro già impacciata recitazione.
Sembra che la parte della pellicola veramente sentita dal regista, partecipata ed emozionante sia questa antologia di vicende umane che si rivela ai bambini persi nel cimitero nel momento del pericolo. E’ come se al regista non fosse interessato affatto dirigere un horror o un fantasy, ma avesse voluto imbastire una storia fiabesca dedicata ai più piccoli attorno a un nucleo più maturo ed impegnato. L’aver accostato i fantasmi agli angeli è una scelta molto poetica, anche se porta la pellicola vicino a Lee Masters e lontano anni luce da Lovecraft o Howard, o anche dalla conoscenza delle più classiche tradizioni occultistiche così come ce le hanno tramandate i film a tema o la tradizione popolare. Quindi gli angeli \ fantasmi commuovono, e sono l’idea più azzeccata di tutta la pellicola, mentre l’occultista strappa qualche sorriso imbarazzato.
La vicenda si risolve in modo dolceamaro e si torna a raccontare la vita quotidiana, e le battaglie rap dei piccoli amici, con un epilogo che in parte sfrutta una bella trovata. La protagonista durante la battaglia di un torneo di ballo che vede sfidarsi due sole squadre di studenti è sostenuta dalla presenza, sulle gradinate, dei fantasmi angelici. La sceneggiatura insinua  il dubbio che la piccola veda davvero i fantasmi e possa comunicare con loro, come pare avvenga a persone che si dicono medium e che spergiurano d’aver acquisito le facoltà in seguito a uno shock. Avrebbe motivato la lunghezza notevole dei pezzi di rap, probabilmente voluti perché le scuole di danza hanno fornito i ballerini in cambio di pubblicità, e avrebbe lasciato intuire allo spettatore adulto la trasformazione vissuta dalla piccola orfana.
Alcune ingenuità derivano dall’aver voluto strizzare l’occhio ai bambini e dallo scarso coinvolgimento emotivo nei confronti del cinema del fantastico, altre sono conseguenza dei pochi mezzi a disposizione.  L’occultista e la sua assistente indossano un mantello da rituale simil satanista che fa pensare piuttosto a una lussuriosa riunione di scambisti. L’uomo si dimena tra le tombe brandendo un vistoso pugnale athame e un improbabile Sigillo di Salomone acquistati in qualche bancarella per turisti a San Marino, e il temibile incantesimo si dissipa alla sua morte. C’è poco uso di grafica digitale, il cimitero viene invaso dalla solita nebbia da discoteca di provincia, con tanto di lampi nel cielo.

C’è poco da fare: i pregiudizi vogliono  che il fantasy sia roba da bambini, con personaggi ‘buoni’ che più buoni non si può e ‘cattivi’ più sottili e piatti e insapori della fetta del cheddar in un hamburger del discount. Non saranno film come questo a smontarli, purtroppo.

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

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