VOCI NOTTURNE

 

« Nella Roma Imperiale sussistevano i resti di uno strano ponte di legno. Era composto da travi sublique ed oblique, senza chiodi e affidato a persone sacre, una sorta di fratellanza o setta, che rispondeva, con la vita dei suoi membri, della sua conservazione. A costoro derivò il titolo celeberrimo di pontefici o facitori del ponte. Su questo ponte si compivano in epoca arcaica misteriosi e segreti sacrifici »

Lo sceneggiato Voci Notturne venne ideato da Pupi Avati nel 1995; venne diretto da Fabrizio Laurenti e con la coproduzione dalla Duea insieme alla Rai, andò in onda nel corso di quattro serate. L’autore aveva imbastito una vicenda cupa, un noir paranormale influenzato per alcuni aspetti dal contemporaneo serial americano X-files, nato un paio di anni prima, o dell’ancor precedente (1990) Twin Peaks. Gli elementi comuni alle serie d’oltreoceano abbondavano, almeno per gli aspetti più appariscenti. Si trattava di vicende misteriose narrate in diverse puntate, interpretate da volti nuovi o da affermati caratteristi, contraddistinte da temi decisamente cupi e adulti. Il pubblico, allettato dall’esempio americano oppure memore delle precedenti incursioni nell’horror di Pupi Avati, si piazzò davanti al televisore in trepidante attesa…
Il punto di partenza delle disavventure dello studente di architettura Stefano Baldi (Lorenzo Flaherty), protagonista di Voci Notturne, è il ritrovamento del cadavere di un giovane annegato nel Tevere. A prima vista pare l’ennesimo caso di suicidio, eppure l’autopsia rivela dettagli sconcertanti. Il corpo è stato cosparso di una salamoia a base di pesce, il garum, diffusa sulle tavole degli antichi Romani, e nello stomaco ci sono semi di silfio, pianta estinta da centinaia di anni. E’ difficile anche risalire con certezza all’identità del cadavere: sembrerebbe essere quello di Giacomo Fiorenza, figlio di un ricco industriale di origine ebraica con alle spalle scandali finanziari. Sussistono dubbi che neppure il medico legale riesce a dissipare, poiché al presunto momento del decesso il giovane doveva trovarsi negli Stati Uniti, e durante il riconoscimento del corpo da parte dei genitori c’è qualche attimo di esitazione di troppo. Il mistero si infittisce con il moltiplicarsi di telefonate da parte dello stesso Giacomo: la famiglia riceve brevi chiamate con messaggi rassicuranti, sempre gli stessi, pronunciati con voce quasi cantilenante. Stefano, compagno di università di Giacomo, e come lui interessato alle leggende sul Pons Sublicius, cerca di far luce sui fatti insieme alla sua ragazza Silvia (Carolina Rosi). Le indagini sono però più complesse del previsto, e fanno riaffiorare eventi di un passato doloroso che tutti vorrebbero dimenticare. Dietro agli eventi potrebbe esserci la Società Teosofica per il Ritorno dello Spirito Originario, una setta dedita a sacrifici umani legata all’ambigua figura di Norberto Sinisgalli, un occultista dai trascorsi tutt’altro che raccomandabili…

 

All’indomani della trasmissione del primo episodio di Voci Notturne, gran parte degli spettatori rimasero perplessi e i critici si scatenarono in accesi dibattiti. I motivi della delusione erano molteplici, talvolta motivati e più spesso causati dalle caratteristiche proprie del format stesso della miniserie. Doveva essere ovvio che le produzioni per la televisione difficilmente potevano raggiungere gli standard qualitativi di un film rivolto ad un pubblico internazionale.
La bravura di Pupi Avati e dei suoi collaboratori poteva far poco per trasformare i disadorni teatri di posa in ambientazioni suggestive. I costi della grafica digitale erano ancora troppo elevati per una produzione tanto modesta. Inoltre gli eventuali ritocchi probabilmente avrebbero aumentato il senso di artificiosità, intervenendo su sequenze comunque assai tradizionali, filmate con mezzi limitati. Di conseguenza le indagini di Stefano si dipanano tra scenografie degne di una telenovela latino americana, con personaggi in abiti dimessi e mobilia da grande magazzino. Le location allestite per l’occasione sono davvero poco appariscenti, asettici interni di università e scialbi dipartimenti di polizia, le stanze della fittizia Pensione Rosetta o una New Orleans tutta ricreata in studio… Nel corso della vicenda si nominano diversi monumenti importanti, vie e piazze del centro di Roma, tuttavia si vedono rari scorci della Capitale, e tutti assomigliano… a fondali dipinti. La narrazione recupera l’estetica minimale dei vecchi sceneggiati del mistero, titoli divenuti veri e propri fenomeni di costume grazie ai soggetti inusuali. Tra i mitizzati cult del lontano passato e lo sceneggiato di Pupi Avati ci sono alcune differenze non trascurabili: negli anni Settanta gli attori venivano scelti dai palcoscenici dei migliori teatri, i limiti tecnici erano accettati poiché erano diffusi in tutte le produzioni pensate per la televisione, il pubblico non faceva confronti con il cinema. In Voci Notturne le ristrettezze economiche stridono con una trama tanto elaborata; le scarse risorse impedirono l’ingaggio di volti noti o di caratteristi affermati. I copioni vennero assegnati a dilettanti, alcuni talentuosi ed altri… volenterosi, doppiati alla meno peggio.
Si salva, come era prevedibile, la colonna sonora di Ugo Laurenti: Pupi Avati ha una grande cultura musicale, prevalentemente orientata verso il jazz, ed aperta alle sonorità progressive e sperimentali. La passione per questi generi da una minoranza di cultori emerge nella scelta del tema principale, minimalista e inquietante.
La realizzazione del suo Voci Notturne è stata penalizzata anche da un clima culturale indifferente alle produzioni più innovative. A metà anni Novanta la nicchia degli irriducibili patiti del cinema di genere si divideva tra l’idealizzazione della televisione del passato e dei B movies di controcultura, e la crescente consapevolezza della difficoltà di tenere il passo con le produzioni statunitensi. Twin Peaks aveva mostrato come potesse venir realizzato un serial d’autore ricco di temi morbosi… ma c’era la mano di David Lynch, il suo sguardo visionario e tanti, tanti dollari in più. La vicenda di Laura Palmer poteva dipanarsi nel corso di svariate puntate e i mezzi a disposizione del regista e dei suoi aiutanti erano stati impiegati per dare all’insieme una confezione elegante, con una bella fotografia, attori esperti , soluzioni visive originali ed una colonna sonora indimenticabile.
Pupi Avati e il suo staff purtroppo partivano da una condizione assai più modesta e potevano contare solo sull’originalità dell’intreccio e sull’atmosfera opprimente. In un’opera afflitta da ristrettezze di ogni genere, le accuse di superficialità e di discontinuità rivolte alla sceneggiatura appaiono quanto mai superflue. La trama complessa dovette venir contenuta nel tempo limitato delle cinque puntate a disposizione. Come Twin Peaks ha dimostrato, occorrevano molti episodi per articolare un intreccio basato su atmosfere opprimenti, su situazioni cupe e misteri.
Nonostante le difficoltà Pupi Avati ha creato comunque una vicenda intrigante, e l’ha caratterizzata con il suo personale modo di intendere l’horror. La paura viene condivisa in quanto è radicata nella geografia italiana e nelle leggende contadine oppure metropolitane, è legata a precisi luoghi e ad un passato che in modo diverso ci portiamo dentro tutti quanti, a prescindere da età e condizioni sociali. Il tipo di orrore che permea Voci Notturne è lo stesso che contraddistingue Zeder o La casa dalle finestre che ridono e si insinua nello spettatore partendo da situazioni di vita quotidiana, apparentemente banali e degne di una qualsiasi modestissima fiction.
La grandezza delle idee di Pupi Avati, trasmesse al regista, si rivela tutta nei momenti di thrilling, fatti attendere a lungo ed enfatizzati proprio dall’atmosfera cupa costruita con paziente lentezza. La suspense è basata sull’alternanza di luce ed ombra, sulla presenza di oggetti inconsueti in luoghi altrimenti familiari.
Di effetti speciali, raffinati o rozzi, se ne vedono pochissimi e le atrocità sono riferite nei dialoghi oppure lasciate immaginare. La narrazione intimista enfatizza il senso di claustrofobia ed i protagonisti si trovano poco a poco soli davanti al mistero, inermi ed incapaci di dare una logica spiegazione ai fatti, di portare avanti accuse fondate su prove inequivocabili.

 

Anche la mancanza del lieto fine dovette risultare sgradita a una parte del pubblico, abituata ai gialli con una soluzione finale spiegata con dovizia di particolari, e a un’irrinunciabile punizione dei colpevoli. In Voci Notturne manca volutamente questo epilogo rassicurante. All’inizio i protagonisti possono contare sulla propria abilità investigativa e su quanto di più moderno offre la tecnologia, riuscendo addirittura a scoprire una preziosa password. Con il progredire delle indagini si trovano a contrastare le forze occulte, e restano isolati da un muro di omertà e da frequenti depistaggi. La setta ha infiltrato i suoi rappresentanti nelle alte gerarchie politiche e protetta dal silenzio prosegue i propri turpi crimini, In questo modo spaccia illusioni agli ingenui adepti, che dopo aver donato ogni possesso alla Società accettano di essere sacrificati nella convinzione di ‘passare il ponte’ ovvero poter avere un nuovo corpo e divenire immortali. L’esoterismo dal sapore New Age si rivela nella migliore delle ipotesi uno specchio per allodole, e nel peggiore diviene un modo per depredare i ricchi stolti dei beni e della stessa vita. A meno, ovviamente, di ‘voler credere’, ovvero ritenere autentiche le telefonate giunte da un misterioso ‘altrove’. In quel caso la coscienza degli adepti resterebbe sospesa in una dimensione in cui non può più morire e neppure si può tornare indietro.
Il mistero permane e i colpevoli sfuggono alla Giustizia; e proprio a pochi minuti dai titoli di coda, quando lo spettatore si attende un lieto fine chiarificatore, nuovi colpi di scena ribaltano lo scenario. E’ inutile dunque cercare la verità: o non è discernibile, oppure viene intuita, ma l’intuizione resta un processo mentale privo di fondamenti concreti, proprio come avviene in svariati noir.
In Voci Notturne convivono svariate sottotrame, ispirate alla storia dell’antichità classica con i suoi culti, agli eventi occorsi nel Ghetto di Roma durante la Seconda Guerra Mondiale, alle misteriose indagini di un detective americano, alle ambigue sette New Age che promettono improbabili miracoli, agli allora recenti scandali di Tangentopoli. Le indagini perdono la linearità propria dei telefilm polizieschi e di settimana in settimana sempre più difficile seguire gli sviluppi. Le spiegazioni fornite nel corso delle prime puntate forniscono alcune nozioni, chiare per gli appassionati di Storia e di Occultismo, e un po’meno comprensibili per gli altri.
Di certo la platea era impreparata ad un soggetto tanto lontano dalla tradizione letteraria o d’impegno sociale tipica degli sceneggiati italiani. Voci Notturne violava in prima serata i più sentiti tabù: si permetteva di parlare della morte e dell’oltretomba, le descrizioni dei medici dell’obitorio suonavano esplicite, i protagonisti erano spinti all’azione dalla morbosa curiosità più che da un generico senso di giustizia. L’impegno sociale apparentemente restava in secondo piano, salvo riemergere con rivelazioni scioccanti sulla vita della comunità ebraica negli anni dell’Olocausto, o sull’ingerenza di sette misteriose nella vita politica del Paese. Voci Notturne rivela la triste realtà delle delazioni fatte da alcuni Ebrei ai danni di correligionari all’inizio degli anni Quaranta pur di conservare non solo la vita, ma beni e prestigio economico. Anche il quadro dell’Italia degli anni Novanta consola poco, perché il potere è affidato a individui loschi, le istituzioni sono manovrate dai rappresentanti di sette, la corruzione dilaga e c’è tanta omertà. Pupi Avati dà voce, forse per la prima volta, a episodi della Storia volutamente omessi e mette in luce malvagità individuali.
Bistrattato al momento della sua prima trasmissione, Voci Notturne è scomparso dai palinsesti televisivi, è stato replicato di rado in fasce orarie proibitive per i più e ancora oggi è inedito in DVD. Criticato per i temi scabrosi e le atmosfere eccessivamente crepuscolari e disprezzato per l’allestimento troppo modesto, oppure apprezzato per il soggetto creativo e per il tipo di horror così particolare, è un episodio rimosso della storia della televisione italiana. Inoltre la Società Teosofica Italiana all’epoca fece delle rimostranze alla RAI per i riferimenti contenuti nello sceneggiato alla fittizia ‘Società Teosofica per il Ritorno dello Spirito Originario’ dipinta come un’organizzazione dagli scopi malvagi. Infatti nelle successive repliche i richiami alla fantomatica setta furono eliminati.
La difficoltà nel poterlo visionare, le opinioni contrastanti di quanti lo videro a suo tempo, la fama di sceneggiato ‘maledetto’ e i periodici ritorni al cinema di genere nel percorso artistico di Pupi Avati hanno trasformato Voci Notturne in un cult.

Dove finisce la ragione comincia un territorio che non ci appartiene, nel quale siamo intrusi: una terra di regole che non conosciamo, dove si parla una lingua misteriosa e dove le nostre logiche non sono utilizzabili in alcun modo.
Noi in questo territorio possiamo solo subire il mistero, che, anziché disvelarsi, si fa sempre più impenetrabile.
Io non so dire se questa sia una pena o un premio. Io non so dire nulla, ma so che questo luogo (…) non dev’essere in alcun modo cercato né in alcun modo trovato.” (epilogo)

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

La recensione è stata edita da FANTASTICINEMA https://www.fantasticinema.com/voci-notturne/

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