IL SEGRETO DEL SAHARA

Oggi in televisione vengono proposte serie e miniserie prevalentemente a sfondo sociale, con biografie romanzate di eroi dei nostri giorni, con fatti di cronaca drammatici, oppure con vicende di persone comuni alle prese con la vita quotidiana. Sembrano essere trascorsi secoli da quando il piccolo schermo proponeva trasposizioni di romanzi famosi e i soggetti originali si avventuravano in vari generi, magari contaminandoli in modo creativo. Uno degli ultimi titoli prodotti con quel modo di far televisione è Il segreto del Sahara, uscito nel 1988 con la regia di Alberto Negrin e prodotto dalla RAI in collaborazione con la tedesca ZDF, la spagnola TVE e la francese TF1.
Nelle dichiarazioni dell’autore e dei produttori il Segreto del Sahara è ispirato al ciclo africano di Emilio Salgari, però non esiste alcun romanzo dello scrittore veronese che assomigli a quanto Negrin ci racconta nelle quattro puntate da novanta minuti ciascuna. La miniserie è per temi assai più vicina all’Atlantide di Pierre Benoît, a Indiana Jones, alla letteratura di esplorazione di ‘mondi perduti’ del tardo Ottocento. Il protagonista Desmond Jordan (Michael York) è un archeologo americano che scopre in una biblioteca vaticana un documento sulla misteriosa ‘Montagna Parlante’ persa nelle sabbie del deserto tra Marocco e Mali. Si reca sul posto e scopre un’antica civiltà di uomini guidati dalla regina Anthea (Andie MacDowell), che si innamora di lui nonostante le leggi impongano di mantenere la segretezza su quel piccolo mondo sopravvissuto alle ere. Ere, e non secoli, perché il Segreto del Sahara è un’opera di fantascienza avventurosa e i fieri beduini dalle vesti color porpora sono discendenti di una stirpe giunta dalle stelle. Da secoli custodiscono un disco volante all’interno di una piscina circondata da saloni con colonne luminose e porte d’oro, di generazione in generazione tramandano le conoscenze e sperano di poter comunicare con il pianeta d’origine.
I riferimenti a Benoît si limitano alla presenza dei legionari, alla città perduta nel deserto, alle dure leggi che i beduini si impongono pur di sopravvivere. La regina Antinea dell’Atlantide ha origini assai più terrene ed è solo un’ammaliatrice che sfrutta per proprio piacere i malcapitati che raggiungono la sua città perduta per poi ucciderli; riesce nei suoi perversi intenti grazie allo smisurato fascino ed è priva di poteri sovrannaturali. Di Antinea sappiamo che è una guerriera formidabile, è saggia e ha poteri sovrumani che scatena contro i suoi avversari. E’ sinceramente innamorata di Jordan, e ignoriamo se abbia differenze fisiologiche o sia una terrestre dotata di una tecnologia a noi sconosciuta. Jordan è un uomo di conoscenza e di azione, non un pomposo ufficiale pronto a perdere la testa per una regina, per bella e potente possa essere.
La miniserie dichiara la sua vicinanza alla fantascienza a partire dalle prime sequenze, quelle che ci mostrano l’archeologo anziano perso nei suoi ricordi forse reali forse immaginari, e c’è un riferimento a ‘Antichi che erano, sono e saranno’. Le suggestive parole sono ispirate a un passo tratto dallo pseudobiblium Necronomicon, il libro di invenzione nominato da Lovecraft nell’Orrore di Dunwich e in altri racconti. Gli alieni lovecraftiani sono presenze malevole o comunque sono entità così aliene da sfuggire ad ogni logica umana, mentre i beduini sembrano saggi e attaccano gli stranieri solo per difendere il segreto della loro civiltà. Il Segreto del Sahara è quindi un’opera di fantascienza, ben amalgamata con elementi di avventura retrò e suggestioni derivate dal successo di Indiana Jones.
Impossibile voler ritrovare una trasposizione fedele di un’opera precisa: quello che è veramente reso alla perfezione è lo spirito della letteratura di esplorazione fantastica, quella resa celebre da Verne, da Haggard, da Doyle, da Lovecraft e da altri emuli meno famosi. Il senso di meraviglia viene trasmesso da ogni fotogramma, complici i panorami mozzafiato del Marocco, le scenografie realizzate da quell’artista artigiano che era Dante Ferretti e una delle più suggestive colonne sonore composta e orchestrata da Ennio Morricone.
L’intreccio delle peripezie può sembrare semplice, la misteriosa città ed i suoi tesori sono nominati nelle leggende e fanno gola anche al Sultano di Timbuctù (James Farentino), al luogotenente Rykerun ( David Soul), un ex collega screditato da Jordan e costretto a arruolarsi nella Legione Straniera, e ai predoni del deserto capeggiati dall’ambiguo El Hallem (Miguel Bosé)…
Jordan è un puro di cuore che tutto sacrifica per appagare la brama di conoscenza, è disposto a morire pur di scoprire cosa viene custodito, e mantiene in ogni situazione una condotta etica esemplare. Quindi cerca di raggiungere la Montagna, e il suo viaggio viene ostacolato ora dal legionario ora dal predone El Hallem, ora dal Califfo, ora da Antinea stessa che è costretta a renderlo cieco pur di non ucciderlo come vorrebbe la legge. Per quanto siano parecchi gli eventi che si susseguino, in fondo è sempre un rincorrersi dei personaggi principali in un palmo di deserto che sul mappamondo sembra esteso ma nella fantasia è percorribile senza grandi difficoltà. Quel Sahara diventa un’altrove dove tutte le storie possono accadere e nel contempo tutte sono già accadute. Che la vicenda si svolga negli anni trenta o quaranta, lo si intuisce dai costumi dei legionari e del protagonista, dal tipo di tecnologia disponibile. La conferma è nelle parole dell’ebreo polacco Sholomon (Ben Kingsley), scappato dal Nazismo e rifugiatosi in un’oasi che ha trasformato in un terreno neutrale dove chi ha bisogno può sostare e vivere in pace. La datazione resta comunque vaga, anche perché quel periodo spesso fa da sfondo ai film di avventura esotica che tanto piacevano agli spettatori degli anni Cinquanta, ed è anche il periodo in cui si svolgono le prime e migliori imprese di Indiana Jones. Le suggestioni attinte dall’immaginario del vecchio cinema di genere e dai fumetti pulp sono ricorrenti, dalle sequenze che coinvolgono i serpenti, al tempio dove riposa il disco, alle battaglie inscenate da abili stuntman.
Inutile però voler ritrovare la verve e l’ironia di Indy in questa serie che ha i ritmi lenti tipici delle produzioni televisive di una volta. Ci sono tanti scontri a fuoco e all’arma bianca, descritti con dovizia d particolari e con qualche sequenza ripetuta più volte, in particolare per le cadute da cavallo o dalle mura, e ci sono lunghe descrizioni d’ambiente.
Esiste una versione cinematografica, che riduce la proiezione da 371 minuti a due ore. Venne creata con la speranza di poter distribuire Il segreto del Sahara anche oltre oceano ma non ebbe fortuna, comprensibilmente. Purtroppo la scelta di snellire penalizza pesantemente l’opera, in quanto le parti eliminate sono quelle che descrivono meglio i personaggi comprimari. La crudeltà del legionario ha origine dal suo essere stato allontanato dalla società civile: durante la guerra ha sparato a sangue freddo un tedesco colpevole di aver ucciso quaranta uomini del suo plotone. Il desiderio di pace di Sholomon è tanto più acuto se si sa come mai è finito a vivere in una sperduta oasi con una moglie araba. Anche la ribellione del disertore Orso (Diego Abatantuono) ha senso quando si scopre che è donnaiolo e ama una donna del posto, vorrebbe far famiglia senza badare a razza o religione e preferisce far l’uomo forzuto in spettacoli di piazza piuttosto che cercare la gloria in battaglia. Eliminare tanti dettagli relativi a questi personaggi li rende anonimi e in certi casi incomprensibili, li degrada a fare da accessori di scena utili solo in funzione del far avanzare la trama. Lo snellimento dei tempi incide anche sul copione di Jordan, soprattutto sulle sue riflessioni sul senso del suo viaggio, in quanto il personaggio deve attraversare tappe precise e non è possibile eliminarne neppure una. L’effetto finale sul grande schermo è deludente, rimane sempre troppo lento per rivaleggiare con Spielberg e emuli, e troppo affrettato per dare un minimo di spessore a personaggi tipici del cinema di avventura esotica. Per fortuna esiste la versione completa, in due DVD, ed è possibile confrontarla con quella cinematografica, in modo da notare cosa si perde ogni qual volta si preferisce il ritmo alla calma.
Accettati i limiti insiti nell’origine televisiva, Il Segreto del Sahara è una gioia per gli occhi e per gli orecchi. Il cast è formato da grandi nomi internazionali, attori con alle spalle una carriera già consolidata, e la recitazione è notevole, soprattutto se confrontata con i modesti standard della televisione a noi contemporanea.
C’è una buona dose di violenza non edulcorata, con scene di tortura esplicita, oggi mal proponibili in una produzione destinata alla prima serata. Il Califfo è pronto a dispensare punizioni sadiche per inclinazione personale o per atterrire e ridurre all’obbedienza incondizionata i sudditi, il legionario è pronto a estorcere con ogni mezzo le informazioni necessarie a raggiungere la Montagna Parlante. Sono richiami al pulp, sempre equilibrati dai comportamenti virtuosi di altri personaggi, dalla tolleranza e non violenza di Sholomon al senso di giustizia e alla sconfinata passione per il sapere di Jordan, fino all’amore per la vita di Orso.
C’è una storia d’amore contrastato, che forse trionferà o forse si spengerà, dato che l’archeologo quando ormai anziano narra la sua avventura è solo.
Nonostante l’apoteosi finale, col disco che lascia il deserto per salire nel cielo sulle note di Saharian Dream cantato da Amy Stewart, per alcuni personaggi non c’è un lieto fine
Tutti questi elementi rendono Il Segreto del Sahara un prodotto piacevole e più maturo di quanto siano spesso film con temi analoghi.
Sicuramente la miniserie era una produzione di punta, curata al dettaglio e destinata ad essere vista e rivista senza problemi, proprio come i grandi sceneggiati del passato. Ebbe successo, ma i gusti del pubblico stavano cambiando, e niente e nessuno fecero in modo da fermare la trasformazione, anzi. Era il canto del cigno di una televisione impegnata, oggi difficile da riproporre.

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

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