NOSFERATU

MURNAU DOCET

Immaginate, per un istante, di essere un cineasta geniale ed avere tra le mani un libro così universale ed eterno, nelle inquietudini evocate dalle sue pagine, da poter fornire un soggetto per un film artistico e di successo.

Aggiungete un problema prosaico: i diritti d’autore sul capolavoro non sono ancora scaduti, e la vedova dell’autore nega l’utilizzo del testo, anche del solo semplice titolo.

Non rimane che accettare la sconfitta o ingaggiare feroci battaglie legali; oppure… dedicarsi a una contraffazione d’autore!

Nasce così, nel 1922, il Nosferatu, eine Symphonie des Grauens, diretto da FRIEDRICH WILHELM MURNAU. Il regista, non potendo sfruttare il Dracula del defunto ABRAHAM “BRAM” STOKER a causa del copyright, ne parafrasa la vicenda modificando gli aspetti più appariscenti, e rendendola, se possibile, ancora più cupa.

Dracula è un vampiro, creatura non morta ben radicata nel folklore balcanico: in Romeno, è un “nosferatu”. Ecco, il film ha il nuovo titolo che, se non gode del prestigioso richiamo letterario, almeno possiede quel tocco esotico che tanto piace nell’età del liberty.

Il personaggio diviene il Conte Orlock, e cambia radicalmente aspetto. È diverso dal Dracula storico – stando a cronache e ritratti, un uomo basso e massiccio con lunghi capelli crespi, gran naso, occhi verdognoli altrettanto grandi e baffoni – ed è diverso dal Dracula secondo Stoker, alto, magro, grifagno, aristocratico nei modi. Orlock è alieno già a prima vista: di età indefinibile, è del tutto calvo, il viso è simile a un teschio, con occhiaie che segnano lo sguardo, orecchie appuntite e dentatura da ratto con incisivi aguzzi. L’ andatura pare irrigidita, le dita hanno unghie simili ad artigli.

Né il comportamento lo differenzia molto da un animale predatore.

Il Conte è un nobile della Transilvania che desidera comperare un palazzo in una città lontana e si rivolge perciò a un’agenzia, che invia a sua volta un giovane impiegato a proporgli un immobile.

Il sensale lascia la candida moglie e si avventura verso i Carpazi; giunto quasi alla fine del viaggio, incontra gente pronta a metterlo in guardia con ammonimenti inquietanti che egli, da uomo occidentale disincantato e “moderno”, reputa dettati dalla superstizione. Arriva al castello trasportato da una cupa carrozza inviata dal Conte in persona. Conosce il nobile, ne nota i comportamenti strani, forse li attribuisce alla differenza di abitudini o di classe sociale.

L’affare si conclude senza nemmeno contrattare sul prezzo, l’agente va a dormire sperando di poter ripartire l’indomani stesso, e lascia in vista il compromesso appena stipulato e la foto della moglie.

Orlock, entrato di soppiatto nella sua stanza, può così ammirare la bellezza della donna e, ammaliato, decide di raggiungerla. Quel primo incontro fra loro, sebbene avvenga attraverso una foto, scatena una forza di attrazione inconsapevole. La giovane da quel momento inizia a soffrire di febbre e sonnambulismo, mentre il proprietario dell’agenzia immobiliare impazzisce.

L’impiegato scopre la verità sulla natura del cliente quando lo trova a “dormire” in una bara. Finisce allora sequestrato e rinchiuso nel castello, mentre Orlock parte su una nave. Ci vorranno molti sforzi prima che il prigioniero possa scappare, e tornare a casa.

Fino a questo punto Murnau segue la vicenda creata da Stoker con pochissime varianti; da quando l’azione si sposta in città, i cambiamenti sono radicali. Scompare l’atmosfera dell’Inghilterra vittoriana, gotica ma anche frivola, sostituita da cupi ambienti spogli. Né ci vengono presentate

amiche della moglie ben caratterizzate, o amici di famiglia, che rendano la vicenda meno claustrofobica. Ci sono personaggi secondari, come Van Helsing, lo scienziato esperto di occultismo – rassicurante presenza che sconfigge il tremendo mostro dopo un avventuroso inseguimento, presente solo nel romanzo di Stoker.

L’epilogo della vicenda di Murnau è diverso da quello narrato sulla pagina, e non sfigura nel confronto, grazie all’atmosfera da incubo che lentamente si insinua nello spettatore.

Orlock avanza spargendo la peste al suo passare, e non dissangua tutte le sue vittime: un’invenzione recuperata dalla tradizione dei vampiri balcanici, che dà un volto concretissimo alla paura. Non a caso, il film è uscito nel 1922, e quattro anni prima c’era stata l’epidemia di Spagnola, malattia

contagiosa che aveva mietuto milioni di vittime.

Giunto in città, il vampiro si sistema nella nuova dimora, e continua a diffondere il morbo. Solo la moglie dell’agente capisce cosa sta realmente accadendo.

Inscena allora un malore e, approfittando dell’assenza del marito recatasi dal medico per chiedere aiuto, e si offre come preda al Conte, sacrificandosi pur di trattenerlo fino al sorgere del sole, che lo incenerirà.

HERZOG – MURNAU

HERZOG recupera la vicenda di Murnau traducendola per la sensibilità contemporanea; per fortuna, non si presta a un semplice “riproporre” banale e rassicurante, che sappia di innocuo revival, e ci informa anzi subito delle sue intenzioni: i titoli di testa scorrono sovrapponendosi a mummie, con la musica cupa dei POPOL VUH, band tedesca, antenata dell’attuale ambiente della new age. Sono esibiti autentici corpi, ripresi nel “Museo de Las Momias” di Guanajuato, cittadina messicana ove, grazie al clima arido, i cadaveri si disseccano senza bisogno di intervento umano. La macchina da presa indugia sui volti dalle espressioni fissate in smorfie raccapriccianti, sui corpi immobili e contorti. Va lenta poiché lo scopo non è quello di suscitare paura grazie a effetti speciali inseriti al punto giusto, come nella sequenza volutamente pulp di I predatori dell’Arca Perduta (Indiana Jones alle prese con mummie e serpenti). Creare ribrezzo o terrore è facile, costringere a meditare sulla vita e sulla morte, senza imporre facili risposte preconfezionate o confessionali, attraverso il linguaggio del cinema e

dell’horror in particolare, è una vera e propria sfida che il regista pone a sé e agli spettatori.

Al monito introduttivo, seguono le brevi sequenze dell’incubo di una ragazza, chiaro presagio degli eventi futuri, ed esplicita citazione del precursore, con tanto di pipistrello che vola ripreso in viratura azzurra, e risveglio dell’esangue donna, subito confortata dal marito.

Si tratta dell’agente immobiliare Jonathan Harker e della moglie, Lucy. I due vivono a Wismar, città della Lega Anseatica, probabilmente nella realtà una location olandese, a giudicare dalle belle vie con canali, ponti e ordinate casette disposte in fila.

Il giovane impiegato viene convocato dall’avido datore di lavoro, ed incaricato di partire per la Transilvania, per vendere a carissimo prezzo una dimora fatiscente a un certo Conte Dracula.

Pur di migliorare la propria situazione economica, Jonathan non esita a partire, affida la sposa all’amica Mina e alla di lei famiglia, e si allontana a cavallo, nonostante i tetri presentimenti. Il cammino è lungo e solitario, ed assume poco a poco i contorni indefiniti del viaggio mitico,

a mano a mano che il protagonista si avvicina alla meta. Il graduale distacco dal reale avviene grazie ai paesaggi favolosi dei Carpazi, filmati nell’ex Cecoslovacchia, dato che la Romania era un Paese assai chiuso al turismo. Sono sequenze liriche che farebbero innamorare di quella terra ogni persona che desideri immergersi in paesaggi incontaminati senza dover rinunciare a visitare siti ricchi di storia e folklore.

Jonathan passa dalla città avvolta nella nebbia, a un bosco maestoso, alla pittoresca taverna, all’accampamento degli zingari, alle montagne, all’“abisso che inghiotte chiunque gli si avvicina”, al “Passo Borgo, dove la luce a un tratto improvvisamente si divide, e là la terra pare che si alzi verso il cielo e poi sprofonda ne dove-nessuno-lo-sa”. Va verso un “castello che neanche esiste, e forse esiste solo nell’immaginazione degli uomini, lo spettro di un castello; e un viaggiatore che entra in quella terra di fantasmi è perduto e non farà più ritorno”. I dialoghi sono scarni quanto efficaci, e le immagini suggeriscono ancor prima di mostrare, come nel caso delle nubi che si muovono sul Passo Borgo, e fanno immaginare cupe creature fantastiche; o la cascata con l’abisso nero sfruttato per confondere l’occhio dello spettatore, che non sa ben dire quale strada abbia percorso Jonathan per riemergere alla luce. Meravigliosa l’invenzione delle rovine del castello, le vediamo in lontananza e sembrano ruderi diroccati; quando nella notte il protagonista vi giunge accompagnato da un misterioso cocchiere, l’edificio assume concretezza. La successiva esplorazione del castello da parte dell’agente immobiliare è un immergersi in un dedalo di stanze vuote, disadorne o popolate da fantasmi di mobili abbandonati da chissà quanto tempo, interrotto dall’immagine delle rovine del castello, e dal ricordo di Lucy. Nel regno di Dracula, tutto gli pare, come confessa nel diario, “parte di un sogno”, “irreale”. Quasi che il maniero fosse dotato di una sua vita, in simbiosi con il proprietario.

Essendo scaduto il diritto d’autore, Herzog è libero di usare i nomi ed i personaggi inventati da Stoker, e di ripercorrere la sceneggiatura di Murnau ogni qual volta ritiene sia necessario. Il vampiro mantiene il nome usato dallo scrittore irlandese, anche se del personaggio letterario ha solo la grande malinconia, mentre l’aspetto esteriore è quello voluto dal Maestro dell’Espressionismo. Egli aveva fatto del Nosferatu una creatura aliena e predatrice, e d’altronde era difficile poterlo rendere diversamente senza ricorrere a dialoghi articolati come solo il sonoro può offrire. Herzog gli attribuisce una psicologia complessa, degna di una creatura che ha attraversato i secoli. Lo stato di non-morto viene esplorato nella sua completezza, e ne vengono evidenziati anche i dolorosi svantaggi. Dracula è condannato da secoli a ripetere all’infinito notti più o meno identiche, senza scopo, e gesti privi di emozioni autentiche. Nulla più riesce a suscitargli meraviglia, non può invecchiare né morire, né riesce a trovare nuovi stimoli. Vive in un castello in rovina, condannato alla solitudine dalla sua stessa diversità. Mentre assiste al pasto dell’ospite, gli invidia

la possibilità di nutrirsi; di non “essere via” nelle ore del giorno. E quando ha l’occasione di succhiargli il sangue, cede alla frenesia e lo assale, prima quasi con ambigua premura, poi senza ritegno. La stessa decisione di comperare una casa in un paese tanto lontano, in apparenza

motivata dal bisogno di trovare nuove prede, nasconde forse il desiderio più o meno confessato di rompere con la monotonia quotidiana. Il sentimento diviene più intenso quando scopre il medaglione con il ritratto di Lucy, e firma senza trattare sul prezzo il contratto di acquisto della cadente dimora, così vicina a quella della donna.

Dracula, sebbene schiavo della sete di sangue e oppresso dalla noia e dalla malinconia, è potente, e sfrutta ogni sua capacità per raggiungere la moglie di Harker. Provvede a stabilire un legame del tutto inconscio con la signora, che prende a soffrire di febbri improvvise e sonnambulismo. Mette

in opera il suo piano: succhia il sangue al povero impiegato, senza più preoccuparsi di agire nei momenti di sonno del malcapitato e di nascondere la propria natura, e infine lo indebolisce tanto da impedirgli una rapida evasione. Lo chiude nel castello e se ne va, su un carro carico di bare piene di terra sconsacrata, diretto verso la nuova non-vita.

Le fughe vengono descritte sempre con tono misurato e, nei limiti concessi dalla vicenda sovrannaturale, verosimile. Il Conte fa imbarcare su un brigantino a Varna diverse casse da morto, le dichiara piene di terra per esperimenti botanici; Harker si cala maldestramente dalla finestra di

un’alta torre con una corda fatta di lenzuoli troppo corta, e lo rivediamo in taverna, delirante davanti a una suora. La narrazione prosegue in parallelo, perfettamente simmetrica, alternando la febbrile cavalcata di Harker alla tormentata navigazione del brigantino, che pare colpito da una maledizione. I marinai si ammalano e muoiono, alcuni spariscono, i topi passeggiano sul ponte e si sospetta la presenza di un clandestino.

HERZOG E IL SUO DRACULA

Il film per una buona parte segue gli eventi presentati nel libro o nella pellicola di Murnau, pur interpretandoli alla luce della sensibilità contemporanea. Ad esempio, Stoker ha narrato le disavventure di Harker in Transilvania in un lungo incipit, e ha liquidato il ritorno dell’impiegato in una breve parentesi, dedicando gran parte del romanzo alla lotta dei protagonisti contro il vampiro.

Quasi tutte le inquadrature pensate da Murnau sono riproposte. Alcuni episodi, come le vicende nel manicomio e il linciaggio del folle, vengono eliminati; altri prendono diverso significato, come gli interventi di Van Helsing.

Focalizzare l’attenzione su Harker, Lucy e Dracula, ridimensionando gli altri personaggi o rivoluzionandone i ruoli è solo la prima di una lunga serie di geniali variazioni sul tema. Esse sono tante e tali da modificare sia il romanzo originario, sia le precedenti versioni cinematografiche,

creando una vicenda nuova.

Non è un caso se Herzog mostra Harker sempre più malato, accasciato sul cavallo, prima nella puszta, poi tra i mulini a vento, infine nel suo ritorno in famiglia. Vengono presentati alcuni sintomi che potrebbero far pensare alla follia: l’uomo non riconosce la moglie e stenta ad entrare in

casa, il sole gli ferisce gli occhi, è pallido. Eppure non è affetto dalla “congestione cererbrale” che il medico diagnostica; la spiegazione arriverà più tardi, e nel frattempo, l’attenzione dello spettatore viene catturata da eventi diversi, che scorrono con pregevole lentezza.

Descritto con minuzia di particolari è l’arrivo silenzioso del brigantino, che raggiunge la città scivolando sui canali col suo carico di topi e terrore ed attracca con disumana precisione, guidato da misteriose forze, proprio come la nave dell’Olandese Volante.

Viene introdotto l’elemento della pestilenza, trasmessa dai ratti che scendono dal brigantino. Il contagio è concreto, si diffonde in tempi rapidi, prende la forma di lugubri processioni di feretri e tende a distrarre drammaticamente la placida comunità dalla vera causa (lo sbarco del Nosferatu). Dracula in piena notte balza dalla passerella della nave e, bara sottobraccio, se ne va a occupare un vecchio edificio. Vedere un uomo minuto con una bara sottobraccio potrebbe far sorridere, eppure, l’abilità del montaggio, l’espressione dell’attore, la musica di WAGNER si fondono, e si rimane ammutoliti.

Dracula s’insinua in casa Harker con una sequenza fatta di ombre sulle pareti degli edifici che ammicca direttamente a Murnau. Il vampiro affronta Lucy lusingandola e cercando di farne un’alleata, senza successo.

È proprio Lucy, che ha letto il diario del marito e il libro sulle superstizioni, a cercare di fermare il Conte. Scomparsi gli amici di famiglia, cerca aiuto nella rassicurante figura del dottor Van Helsing. La Scienza non le offre soluzione: ne rappresenta gli ideali proprio l’anziano medico, che ha una formazione del tutto illuminista. Non crede al sovrannaturale in nessuna delle manifestazioni, irride qualsiasi argomento non possa venire esaminato in laboratorio. In risposta al terrore della paziente, alla richiesta di sostegno nella caccia al vampiro, dichiara che “tutto questo deve essere vagliato scientificamente”, e considera le idee di Lucy come pensieri di una mente logorata dal dolore e dalla fatica. Intanto Dracula scorrazza indisturbato, diffonde il morbo e di tanto in tanto dissangua qualche cittadino, come l’amica Mina.

Lucy prosegue la sua lotta da sola: di grande impatto emotivo sono le lunghe sequenze della città colpita dalla peste, che ricordano Camus e anche Il Settimo Sigillo: animali che girano indisturbati nelle vie vuote, bare e mobili lasciati sul selciato, piccoli falò, e topi ovunque. Sulla piazza, la gente vestita a festa banchetta e balla in cerchio, perché è consapevole del finire dei suoi giorni e desidera che ogni attimo sia festa, proprio come in certe rappresentazioni medioevali della Danza Macabra.

Come nel capolavoro espressionista, anche in questo caso Lucy attrae Dracula, e si lascia succhiare il sangue fino all’alba, sacrificandosi. Cosa sconfigge il Conte? Forse il ricordo del desiderio carnale provato in vita, e perduto con la condizione di non morto. Per fortuna, la scena del morso ha una spiritualità tutta vittoriana, e l’insieme ricorda certi quadri art noveau, altrimenti scadrebbe nel ridicolo.

Tocca a Van Helsing constatare la morte della donna: e siccome crede di aver riprodotto il fenomeno secondo il metodo galileiano e la migliore tradizione illuminista. provvede a munirsi di piolo di legno e martello e in tre colpi si disfa del Conte.

È davvero rivoluzionaria la conclusione. Non solo non ci fanno vedere la distruzione di Dracula, ma assistiamo a un completo ribaltamento dei ruoli.

Scopriamo quello che in varie occasioni avremmo potuto sospettare, dato che Herzog ce ne ha forniti indizi a sufficienza: il Conte non c’è più, ed il borghese Harker ne ha preso il posto. Fino ad allora catatonico, si scuote dal torpore, chiama le autorità ed accusa Van Helsing di aver assassinato il conte. Lo fa arrestare dall’ultimo impiegato sopravvissuto del Municipio, un vecchietto tremante. Pallido, con profonde occhiaie, incisivi da topo e unghie aguzze, Jonathan Harker chiede il cavallo, poiché “avrò molto da fare, ora”. Il nuovo vampiro è lui, e si allontana simile ad uno dei quattro cavalieri dell’Apocalisse, cavalcando oltre l’orizzonte, accompagnato dalle note del meraviglioso Sanctus della Messe Solennelle scritta da CHARLES GOUNOD.

CAPOLAVORO? SÌ, GRAZIE!

Troppo spesso i remake di pellicole importanti si rivelano fiacchi, nonostante l’attrazione che esercitano su una parte del pubblico, quella che ama ritrovare personaggi e situazioni che conosce. Salvo prima o poi paragonare vecchio e nuovo, e restar delusi. Quasi sempre lo scontento nasce dall’incapacità, da parte del rifacimento, di aggiungere un tocco personale a vicende che sono già note, e di narrarle con la passione e l’entusiasmo della prima volta. Uscire dal meccanismo di inopportune comparazioni è senza dubbio difficile, e rischioso, almeno dal punto di vista artistico.

In questo senso, il film di Werner Herzog è geniale, senza essere una produzione folle. Alla fine degli anni Settanta, il regista tedesco ha scelto di riproporre un soggetto horror di grande presa emotiva, che fa leva su paure radicate nell’animo umano, quindi al di sopra dal tempo e dalle mode

È una storia di vampiri, apparentemente diversa da qualsiasi altra sia stata portata sul grande schermo. Eccezion fatta per qualche irriducibile cinefilo, il grosso pubblico non ricorda Murnau, e – magari inconsciamente – abbina all’idea di “vampiro” il faccione esotico di BELA LUGOSI o l’aristocratico e affascinante CHRISTOPHER LEE. Non esistono ancora i videoregistratori e i pochi esemplari del film di Murnau sopravvissute al tempo e alle ire della vedova Stoker (che voleva distruggere ogni copia della pellicola) appartengono a collezioni private o ai primi Musei di Storia del Cinema. Se quasi nessuno pensa al Nosferatu interpretato negli anni Venti da MAX SCHRECK, misterioso attore sulla cui identità molto è stato ipotizzato, la storia è ancora originale. Meglio ancora: la vicenda sembra una completa novità; e invece la reazione emotiva dello spettatore è stata testata sul campo, oltre cinquant’anni prima!

È ovvio che, in tanto tempo, il linguaggio cinematografico è cambiato, tanto da essere un mezzo espressivo tutto nuovo. Il film di Murnau è in bianco e nero, o meglio, con la pellicola sviluppata in diversi colori a seconda che le scene siano diurne o notturne o compaia il vampiro, senza sonoro, con didascalie essenziali. A patto di volere accostarsi senza pregiudizi a un linguaggio così diverso dal nostro, il Nosferatu degli anni Venti riesce ancora oggi ad inquietare, tanto che rivive proiettato come attrazione in festival di teatro di strada, con abili musicisti a ricreare la colonna sonora. Segno evidente che il messaggio che porta è ancora attuale. Herzog sceglie di non banalizzare le atmosfere e la vicenda originali; in controtendenza rispetto alla moda splatter, costruisce una pellicola visionaria e malinconica. Ogni aspetto del film appare curato fin quasi all’eccesso, dalla sceneggiatura alla scelta del cast, alla colonna sonora; potrebbe apparire un esercizio di stile fine a sé stesso, se non fosse intriso di lirismo.

La fotografia è perfetta, limita il colore ai personaggi vivi e mostra Dracula in bianco e nero, o in immagini volutamente scolorite o notturne.

Ogni inquadratura è studiata fin nei minimi dettagli, non ci sono particolari superflui o gratuiti. Il ritmo narrativo rallenta quando la vicenda ha a che fare direttamente con il vampiro. Per Dracula il passare del tempo è indifferente monotonia, e la sceneggiatura cerca, con la voluta lentezza, di ricreare la percezione della realtà della creatura. Herzog è un maestro nella resa dei punti di vista delle persone più straordinarie, siano esse l’innocente Kaspar Hauser, gli aborigeni di Dove sognano le formiche verdi, l’utopista Fitzcarraldo o il malinconico alieno caduto sulla Terra dalla galassia di Andromeda del recente – e meraviglioso – The Wild Blue Yonder. Stesso atteggiamento viene riservato a Dracula. Il vampiro viene analizzato nella sua psicologia, e mostrato per quello che è senza improbabili umanizzazioni forzate o inconsapevoli. Spesso, nelle narrazioni fantastiche, anche le creature più aliene vengono considerate in modo antropocentrico. Magari viene conferito loro un aspetto esteriore orrido, ma si sceglie di attribuirgli comportamenti e bisogni umanissimi. Herzog, grazie alla sua sensibilità artistica, riesce a evitare questo effetto da umano in maschera: fa di Dracula un mostro triste e malinconico, che nulla ha del seduttore, e che conosce una noia esistenziale sconosciuta ai mortali. Per rendere lo sguardo del non-morto sul mondo dei vivi, il film è lentissimo. Anche il dialogo è scarno, e denso di significati, quasi fosse una trasposizione in chiave moderna delle didascalie diffuse nel cinema muto. Trascorrono interi minuti scanditi esclusivamente dalle musiche dei Popol Vuh, o dall’Oro del Reno di Wagner. Ci sono sequenze che, grazie alla perfetta fusione tra inquadrature e colonna sonora, fanno accapponare la pelle, tuttavia non si rabbrividisce per paura. L’ascesa al Passo Borgo, l’ultima cena degli appestati, o la cavalcata finale, suscitano emozioni intensissime.

È grande cinema, quello di Herzog; è una pellicola d’essai, e nel modo più dichiarato, tanto da omaggiare il capolavoro espressionista di Murnau già a partire dal titolo. La riuscita artistica è almeno in parte dovuta a scelte stilistiche nette, che mettono più o meno d’accordo i critici, ma dividono gli spettatori. Un’inevitabile delusione attende gli amanti dell’horror più tradizionale, soprattutto se pretendono fiumi di sangue, effetti speciali elargiti con gusto pulp e, magari, qualche scena di blando erotismo. Il vampiro turba, inquieta per la sua diversità fisica e psicologica, e non dispensa emoglobina facile esaltata dal montaggio indiavolato tipico del cinema contemporaneo. E l’unico eros concesso a un Nosferatu è fatto del ricordo dei piaceri carnali offerti dalla vita, con buona pace di Zora la vampira e di Sukia.

È un film accessibile a chiunque si abbandoni alle immagini poetiche e al loro linguaggio etereo e metaforico; stabilisce con lo spettatore un legame empatico, tale da imprimersi nella memoria. Il capolavoro di Herzog fa riflettere sul senso della vita, commuove senza scadere in sentimentalismi, può divenire anche riflessione politica sulla decadenza della nobiltà e l’ascesa di una borghesia non meno parassita. O indagine sulla pretesa, da parte della scienza moderna, di poter spiegare qualsiasi fenomeno, anche quando riguarda l’anima e i suoi moti, in una sorta di fondamentalismo laico.

Ci si trova davanti a un remake artistico, uno dei rarissimi casi in cui il rifacimento regge il confronto con la prima versione se non addirittura la supera: o lo si ama o lo si odia, non vi lascerà indifferenti, è imperdibile!

 

Cuccussétte vi ringrazia della lettura.

La recensione è stata edita da TERRE DI CONFINE   https://www.terrediconfine.eu/nosferatu-il-principe-della-notte/

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