IL MAGO HOUDINI

Harry Houdini (Budapest, 24 marzo 1874 – Detroit, 31 ottobre 1926) è stato un personaggio famosissimo, una vera icona dell’intrattenimento tra fine Ottocento e anni Venti. Era un illusionista e un escapista senza pari, capacità che si accompagnavano a un’innegabile presenza scenica e ad un uso molto accorto dei media.
Nel 1953 la sua vita avventurosa ispirò un film di grande successo, Houdini il mago.
Quella diretta da George Marshall è una biografia romanzata e ingenua così come erano le biografie dei Grandi ritratti da Hollywood. In questo caso però le trovate naif sono funzionalissime all’intreccio e sembrano consapevoli scelte narrative fatte da chi sapeva bene che era andata in modo diverso e preferiva narrare con apparente candore. Il film è poco attinente ai fatti realmente avvenuti ma estremamente fedele al senso di spettacolarizzazione che l’illusionista ricercava nelle sue esibizioni. La vicenda narrata si distacca dalla storia documentata, e fonde con garbo tanti elementi amati dal pubblico di ieri e di oggi. C’è una vivace storia d’amore tra il giovane Houdini (Tony Curtis ) e la bella Bess (Janet Leigh), due attori bravi e di bell’aspetto.  Ci sono le esibizioni ricche di pathos ricostruite o inventate di sana pianta, c’è un’atmosfera glamour e momenti umoristici, ed un finale aperto.
La vita di Houdini è inquadrata dai suoi esordi fino a un ipotetico incidente nella vasca in cui era immerso durante uno spettacolo. Le licenze alla verità storica sono innumerevoli e non si limitano ad improbabili costumi indossati in scena o a varie ingenuità nei dialoghi. Gli episodi sono selezionati in modo da creare un crescendo di pathos che culminerà nel tragico finale, con il numero della cassaforte  e quello della cabina cinese. Questi incidenti non sono mai avvenuti o perlomeno hanno avuto conseguenze ben più miti, ammesso che fossero autentici. Houdini sapeva che metà del proprio successo era dovuto alle sue abilità e al suo costante allenarsi e studiare come migliorarsi. L’altra parte della sua fortuna era dovuta all’uso di trucchi anche psicologici: i suoi show includevano scene ben premeditate al fine di far crescere la trepidazione degli spettatori. Houdini è morto per una peritonite trascurata e scoperta quando ormai era troppo tardi, non a causa del malfunzionamento in una delle sue geniali invenzioni o per chissà quale complotto degli Spiritualisti, nemici di quanti cercavano di smascherare le truffe basate sul paranormale.
La sceneggiatura volteggia disinvolta tra generi diversi, ci illude di avere una commedia brillante, una biografia, un dramma. Come un prestigiatore, attira l’attenzione su qualcosa per far accadere l’importante altrove; la vera magia è l’intrattenimento.
Si parte quindi con un giovane Houdini che si esibisce in un baraccone di un luna park, è un modesto prestigiatore spesso deriso dagli spettatori e lavora perché otre a fare le magie interpreta un improbabile ominide in gabbia. Il corteggiamento della belle Bess ha tutti i modi delle commedie brillanti, e si ride con gag che ricordano le gag dei comici del muto. Quando il protagonista decide che la vita da operaio a cui sembrava essere costretto dalla moglie non fa per lui, inizia la narrazione biografica, un susseguirsi di viaggi e numeri sempre più arditi, inscenati con i migliori effetti speciali disponibili negli anni Cinquanta. Le gag umoristiche si diradano, con rare eccezioni come quanto avviene nella prigione. C’è un crescendo di intensità nelle esibizioni, fino a un nuovo cambio di registro, che pasa al dramma. Tutte le esibizioni erano fino ad ora relativamente sicure, nel senso che un eventuale fallimento avrebbe avuto come conseguenza solo il ridicolo e qualche lancio di ortaggi. La sfida di immergersi chiuso in una cassaforte nel fiume congelato dà il via al dramma. Le sequenze della nuotata sotto il ghiaccio sono invece memorabili, complice il pregevole montaggio di George Tomasini, vero mostro sacro della sua arte, scelto più volte da Hitchicock.  Dall’incidente, avvenuto in concomitanza con le morte della madre, si innesca il meccanismo che fa scivolare la vicenda verso il tragico epilogo. Il mago si fa nemico degli Spiritualisti, i medium e quanti credono al paranormale, e lasciati i teatri, si dedica a sbugiardarli. Inoltre prepara il suo ritorno sulle scene, concependo il numero della cabina cinese, sorta di acquario in cui deve venire immerso ammanettato.
L’epilogo è quanto più salta all’occhio degli spettatori, poiché contraddice in pieno la verità storica, narrando un fatto mai avvenuto e che allora riempì le cronache dei giornali. C’è chi vi vede la tragedia, chi invece sa che non andrà a finire così: la macchina da presa si solleva dal mago malconcio che mormora ‘Ritornerò’ e scorre ad inquadrare i colorati manifesti degli spettacoli. E’ una scelta per certi versi coraggiosa, per altri molto meno. Il film riguarda la carriera del mago; la sua infanzia e la sua mesta fine in un letto d’ospedale non appartengono alla sua parabola artistica. Stonano col tono sbruffone del resto del racconto e con la scelta di cerare una biografia diversa dalle solite, quindi ne vengono esclusi. D’altra parte gli spettatori del secondo dopoguerra cercavano intrattenimento, evasione dal grigiore delle ristrettezze dovute al conflitto. Il trionfo del musical, dei colori accesi che riempiono gli schermi, testimonia questo bisogno e anche questo film, pur privo di canzoni, inscena numeri di magia e quindi si avvicina all’avanspettacolo. Un finale esplicitamente drammatico avrebbe deluso tutti. Probabilmente gli sceneggiatori Harold Kellock e Philip Yordan qualche dubbio lo hanno avuto. Ci sono le sequenze con l’agente Otto che massaggia Houdini e lo trova dolorante, motivando il malessere con l’appendice infiammata. Lascia supporre che forse in un primo momento  il finale sarebbe stato aderente alla verità storica, e che poi abbiano deciso per una soluzione che salvasse capra e cavoli.
C’è da dire che non solo Houdini è morto affogato, ma che era una persona assai diversa dal bel giovanotto rappresentato nel film, e ancora più diverse erano la madre e la sposa. Della madre di Houdini si sa che era una figura importante e probabilmente era il modello di donna ideale, tanto che l’illusionista aveva un rapporto di amore e odio verso i medium. Prometteva soldi a chi lo avesse davvero messo in contatto con la madre, salvo scoprire le numerose truffe e accanirsi contro la categoria. La moglie non era certo una graziosa studentessa di mentalità provinciale e piccolo borghese, pronta a impedirgli di diventare un uomo di spettacolo per farlo vivere come un modesto operaio in una fabbrica di casseforti. Nella realtà era a sua volta un’illusionista, consapevole dei rischi e delle gioie di quel mestiere. Negli anni cinquanta l’ideale di donna per il grosso pubblico era quello della bella ragazza semplice e priva di ambizioni, che rifugge la vita errabonda e preferisce far da moglie e da mamma. Bisognava inventare qualcosa per renderla accetta, e quindi i cambiamenti sono più che motivati.
Di Houdini si tacciono gli artifici che impiegava per inscenare le sue esibizioni. Era davvero un contorsionista che sapeva trattenere il fiato a lungo, era allenato ma anche lui, proprio come i medium, aveva i suoi trucchi: chiavi nascoste nelle mutande o in bocca, fili di ferro nascosti negli abiti e assistenti pronti a fare quanto occorresse per aiutarlo in modo discreto.
Nonostante questi adattamenti o forse proprio grazie ad essi, il film riesce ad intrattenere e anche a distanza di settanta anni resta uno spettacolo  piacevole.

 

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

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