VIAGGIO AL CENTRO DELLA TERRA - 2008

Jules Verne: un autore conosciuto attraverso riduzioni e rivisitazioni; i suoi libri: un intrattenimento per adolescenti, innocuo, privo di volgarità e situazioni adulte… Questi sono gli stereotipi attribuiti al celebre scrittore. Chiunque si adoperi per portare sul grande scherno le vicende avventurose tratte dai suoi romanzi si trova a dover fare i conti con i pregiudizi della platea, reali o presunti, spesso frutto di scarsa informazione. Proporre una trasposizione cinematografica fedele sembra un’impresa impossibile, e di conseguenza i registi sono obbligati a trasformare le pagine. Alcuni autori calcano la mano sui toni steampunk ed esasperano la violenza, altri modificano radicalmente eroi e situazioni, fino a distaccarsi dal modello originario.

Il Viaggio al centro della Terra di Eric Brevig (Journey to the Center of the Earth, 2008) è uno di questi casi: il regista si ispira all’omonimo romanzo e va a realizzare un film per famiglie, piacevole e privo di velleità artistiche. Gli ingredienti tipici dei family movie ci sono tutti: i protagonisti sono tre e replicano un nucleo familiare, tutti sono graziosi e asessuati; nessuno dice parolacce e, nonostante le peripezie che affrontano, non si vede un filo di sangue; gli effetti speciali sono roboanti e chiassosi. Lo spettatore è avvertito fin dalle prime sequenze: la vicenda è destinata ai più giovani, o quanti cercano disimpegno. Dal momento in cui il professor Trevor Anderson, il nipote tredicenne Sean e la guida Hannah si ritrovano intrappolati nelle viscere della terra, gli effetti speciali divengono protagonisti indiscussi. È po’ come montare su un vagoncino delle montagne russe in un parco a tema, la vicenda diviene un pretesto per far sfoggio di tecnologie avveniristiche.

Verne forse accetterebbe alcuni compromessi, lui che stupiva i contemporanei portando sulla carta mondi visionari, luoghi esotici e invenzioni incredibili. Oggi lo stesso sense of wonder è infatti affidato al tripudio di immagini artefatte. Si può dire che la pagina scritta ha ben altro fascino, ma questo è un problema comune a tutti i film ispirati a testi fantastici, perché nessun artista digitale, per quanto esperto, rende l’astrazione della parola. Il mito del progresso rivive, celebrato attraverso la messa in scena digitale, e ogni altro aspetto della pellicola passa in secondo piano davanti all’abilità degli artisti visuali.

Dal punto di vista formale, niente da eccepire, la pellicola riempie l’occhio, soprattutto sul grande schermo, sfruttando a pieno la tridimensionalità. C’è però un equivoco di fondo: il film dovrebbe rivolgersi ai più giovani, riesumare il vecchio cinema di avventura, omaggiare Verne. Tre obiettivi validi e perseguibili, ma troppo contrastanti per essere raggiunti da una stessa pellicola. Verne non ha scritto per l’adolescenza, il cinema di genere sembra appartenere al passato, e la celebrazione riesce solo in parte. La trovata dei ‘Verniani’, scienziati che al giorno d’oggi prendono per oro colato le storie inventate da Jules Verne, di per sé è splendida. L’esistenza di una setta segreta che riunisce professori universitari e scienziati poteva avere un peso, a patto di giocare su temi più adulti, da cospirazione, come nel telefilm The Lone Gunmen, spin-off di X-Files. La sceneggiatura invece si limita ad accennare il ruolo di questi strampalati seguaci, senza approfondire lo spunto. Un vero peccato, anche perché le inquadrature sono di mestiere, il montaggio è poco originale, e mancano i necessari colpi di scena che risollevano l’attenzione dello spettatore più esigente.

È ovvio fin dall’inizio che tutti i protagonisti se la caveranno sempre in extremis e senza un graffio. Non bastano certo i miracoli del 3D a trasformare una storia nota in un’avventura ricca di emozioni, a rendere tridimensionali i personaggi più anonimi.

Verne viene omaggiato, ma relegato nel limbo degli autori per l’infanzia, poiché le pagine vengono pesantemente riadattate sulla falsariga di altri film per famiglie. Non c’è niente di male nel rivolgersi a una platea familiare, ma lo scrittore voleva stupire, divulgare ipotesi scientifiche, far riflettere su temi di attualità con leggerezza. La sua non è stata letteratura di innocua evasione, nell’epoca in cui è apparsa. Basti pensare agli echi del pensiero di Darwin, uomo rivoluzionario e socialmente impegnato: le teorie sull’origine della specie hanno contribuito alle cause antischiaviste e antirazziste. In Verne la fiducia nel progresso ma anche la denuncia dei suoi possibili rischi, la riflessione sui limiti della natura umana nel suo confrontarsi con l’ignoto, sono temi conduttori, ancor oggi attuali. I suoi eroi son uomini colti, ricchi; scelgono di mettersi alla prova, consapevolmente, sono novelli Odissei e non sono padri di famiglia travolti dagli eventi. In questo senso, i personaggi letterari sono quanto di più distante esista dagli stereotipi dei film americani di genere.

Con questo film sembra di essere tornati indietro nel tempo e assistere a una pellicola prodotta dalla Disney, trenta e più anni fa, con la sola eccezione del personaggio della guida. Hannah è abituata all’azione, e spesso salva la pelle all’imbranato professore; per molti aspetti è più virile del compagno, si dimostra risoluta e prende l’iniziativa con l’uomo. La sua femminilità passa in secondo piano, un po’ come era avvenuto all’intrepida protagonista della saga di Alien: Hannah non è una pulzella in pericolo, una Jane che si appoggia a Tarzan o una mamma senza prole che cerca protezione nel forzuto Trevor. I due baci che i protagonisti si scambiano hanno ben poco di erotico: il primo è un mesto addio, il secondo ha il sapore delle battute comiche che concludevano i telefilm d’azione negli anni Settanta. Sequenze inserite forse per confermare i ruoli di genere, e rassicurare la platea puritana, eppure tanto posticce da risultare poco convincenti.

Gli altri stereotipi dei film avventurosi per famiglie ci sono tutti, a partire dall’insopportabile pargolo che si dimostra più abile dello zio, per continuare con situazioni attinte da altri più celebrati titoli. Corse mozzafiato su rotaie in miniera, salti nel vuoto, fughe da dinosauri affamati, combattimenti contro piante carnivore o piranha volanti, il tutto condito da un pizzico di humor. Forse sarebbe stato allora meglio insistere con la comicità, esasperando i toni parodistici che Indiana Jones ci ha insegnato ad amare, anziché relegare le parentesi ironiche a brevi siparietti.

Si ride, in qualche occasione, ma il pathos non decolla, e mai si trepida per la sorte dei tre viaggiatori, che incarnano i membri di un’ipotetica famiglia e come tali sono inviolabili! Anche se il padre di Sean è morto, l’episodio del ritrovamento del corpo si trasforma in una didascalica lezione sul valore degli affetti. Il dramma non tocca il cuore degli spettatori più smaliziati, che semmai riflettono sul costo dell’ambizione: nessuno è obbligato a fare il ricercatore sul campo, e ci sono anzi tante anonime cattedre in college di provincia che attendono persone serie, pronte a preferire una vita regolare, circondata da affetti. La bella lezione che il defunto ha scritto nel suo diario contraddice le scelte di vita che uno scienziato del suo genere è chiamato a compiere, rallenta il ritmo della pellicola, e colpisce poco, perché né il ragazzo né lo spettatore hanno conosciuto l’uomo!

Se c’è qualcosa di triste, è l’epilogo: perdonerete lo spoiler… Tornato in superficie, il protagonista può proseguire le ricerche sulla tettonica grazie ai diamanti che Sean ha raccolto. Il diamante diviene la panacea per ogni problema, permette ai protagonisti di gestire istituti di ricerca e inventare lavori altrimenti inesistenti. L’articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista Scientific American passa in secondo piano, o peggio, viene da sospettare che la comunità scientifica abbia accolto come veritiero il resoconto grazie ai soldi. Se questa è la realtà delle Università americane, quelle italiane possono alzare la testa e sospirare con dignità.

Tra muscoli guizzanti, canottiere stazzonate e situazioni disperate risolte con prevedibili colpi di fortuna, il lieto fine è d’obbligo, in un remake con qualche buona trovata e parecchie occasioni sprecate.

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

Questa recensione è stata edita da TERRE DI CONFINE    https://www.terrediconfine.eu/viaggio-al-centro-della-terra-film-2008/

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