LE AVVENTURE DEL GIOVANE INDIANA JONES

E’ in arrivo sul grande schermo Indiana Jones e il quadrante del destino, quinto capitolo delle imprese dell’archeologo avventuriero creato da George Lucas e portato sullo schermo quattro volte da Steven Spielberg. Non sappiamo come potrà essere reso un personaggio tanto iconico interpretato da un attore ormai decisamente anziano, e fuori forma. Le battute feroci dei fan sui social si sprecano, immaginando con largo anticipo sequel goliardici come Indiana Jones e la memoria perduta, Indiana Jones e l’ospizio maledetto, e il femore di cristallo, l’ultima badante… un repertorio sguaiato che sfrutta tutti i luoghi comuni sulla vecchiaia. Ho invece la certezza quasi assoluta che Indy  uscirà vivo dall’avventura, o almeno che arriverà a suonare i novanta, perché Lucas da anni ha delineato una linea temporale ben per il suo eroe. Quindi a meno di non creare una diversa linea temporale e scomodare il Multiverso, il quinto capitolo deve obbligatoriamente consegnare l’archeologo alla terza età. Con un po’ di fortuna e di buonsenso, l’ultimo capitolo potrebbe  creare la premessa per avere un nuovo volto per completare poco a poco la biografia che l’Autore ha delineato tra cinema e televisione.
La serie Le avventure del giovane Indiana Jones (The Young Indiana Jones Chronicles) è stata realizzata dallo stesso Lucas. Si compone di due stagioni seguite da quattro film televisivi, trasmessi dalla ABC negli U.S.A. e da Rai Uno in Italia all’inizio degli anni Novanta, a partire dal 1992. La serie ci mostra un Indiana Jones ormai ultranovantenne, orbo, ma sempre arzillo, che racconta le sua avventure giovanili o le ripensa quando gli eventi della vita lo portano a ricordarle.
Gli attori usati nel telefilm sono diversi: Corey Carrier è Indy bambino, Sean Patrick Flanery è la versione tardoadolescenziale, George Hall è il narratore anziano. Questi volti sono ‘canonici’ in quanto scelti dall’Autore, e ad essi vanno ovviamente aggiunti quelli visti al cinema, l’adolescente River Phoenix di Indiana Jones e l’Ultima Crociata, e ovviamente Harrison Ford. Nessuno di questi ultimi è presente nel telefilm, Phoenix declinò l’invito a partecipare e Ford all’apice della sua carriera probabilmente era troppo costoso anche per un semplice cameo.
Lo spirito della serie televisiva è appunto quello di narrare l’infanzia e la prima giovinezza dell’avventuriero, focalizzandosi sulle sue esperienze umane, sui viaggi che lo hanno reso istruito, curioso, e lo hanno fatto diventare un uomo. Che poi da grande vada a caccia di tesori, è un’altra faccenda; Indy viaggia, conosce persone, incontra civiltà diverse dalla propria e si costruisce una cultura cosmopolita, e da anziano parla in prima persona, raccontando il passato con le sue probabili spacconate. La sceneggiatura include anche parti d’azione, perché Indy si caccia nei guai continuamente, e le propone senza troppo entusiasmo. Inseguimenti, scazzottate, momenti di vita in trincea, sono tutte parti necessarie per far avanzare la narrazione ma sono condannate a restare in secondo piano, perché è una biografia immaginaria votata al realismo invece di una biografia realistica che ogni tanto si concede qualche momento fantasy.
E’ difficile credere alla vecchia scusante che un telefilm non poteva permettersi gli effetti speciali di un film, in quanto George Lucas ha dichiarato più volte di aver preteso una qualità visiva degna del grande schermo. In questo senso ha scelto di avere una fotografia curata fino al manierismo, e  molti effetti speciali, realizzati però in modo da non essere visibili e vistosi. I fan hanno digerito male la scelta, poiché nei film ci sono tanti eventi sovrannaturali che richiedono rappresentazioni ben esplicite. Invece le sceneggiature invariabilmente limitano l’azione, mettono da parte qualsiasi fatto sovrannaturale, ed i copioni cercano di costruire un personaggio dotato di emotività e di una sua crescita personale. A volte il tentativo è riuscito pienamente, a volte è forzato: non si discute se sia superiore un intreccio verosimile o se siano migliori le spacconate fantasy, il cinema e le arti offrono esempi ugualmente validi o parimenti scadenti di entrambe le posizioni. Quello che disturba i fan è semmai, in una saga famosissima, con una sua lore ben determinata, con un suo modo di narrare, voler fare un cambio di direzione tanto radicale.
Il telefilm si sviluppa in due stagioni seguite da quattro film televisivi, trasmessi dalla ABC negli U.S.A. e da Rai Uno in Italia all’inizio degli anni Novanta, a partire dal 1992.
Nelle intenzioni di George Lucas le puntate dovevano essere una settantina, in modo da rappresentare l’infanzia, l’adolescenza e la prima giovinezza, fino ai ventiquattro anni. Del progetto iniziale sono stati realizzati meno della metà degli episodi. Parte delle puntate ed i quattro film non sono mai arrivati sui nostri teleschermi. E’ quasi impossibile recuperare le puntate doppiate in italiano, mentre ci sono tre cofanetti sul mercato statunitense.
Sembrerebbe quasi che qualcuno a suo tempo abbia fatto di tutto pur di far sparire o dimenticare la serie, che era piacevole e ben fatta, ma poco commerciale in quanto inadeguata al tipo di spettatore ‘medio’. L’Indiana Jones amato dalla gente era un archeologo vecchio stile, di quelli che vanno e arraffano, anche se poi desiderano che i tesori stiano in musei invece che in collezioni private. Sono uomini d’azione, più avventurieri che ricercatori, piacenti, amati dalle donne e invidiati dagli uomini, un po’ come era stato il vero Carter scopritore della tomba di Tutankhamon. Il personaggio ritratto nel telefilm risponde poco a questi attributi, è un bel giovane inquieto e se ne potesse immaginare un’evoluzione adulta credibile, probabilmente otterremmo una persona molto diversa dal fracassone archeologo rubacuori.
Il grosso problema del telefilm probabilmente è stato il voler usare un personaggio tanto famoso, cambiarne il target e farlo raccontare trasformando spesso il registro narrativo, e inserendo insegnamenti morali più o meno espliciti. La serie invece di omaggiare con humor e nostalgia il paladino del revival del cinema di avventura anni cinquanta, va verso l’intrattenimento educativo dei più giovani. Avesse riflettuto, si sarebbe reso conto che è un errore imperdonabile alterare il registro narrativo, e se un personaggio piace perché è scanzonato, parodistico e larger than life, trasformarlo in un verosimile rampollo dell’elite intellettuale di inizio secolo può renderlo irriconoscibile. Purtroppo Lucas voleva create le puntate affidandone lo sviluppo a team differenti, e quindi le differenze stilistiche vengono esasperate con ogni cambio di sceneggiatori e registi.
Inoltre è quasi impossibile accontentare ragazzini, adolescenti e adulti mantenendo coerenza e qualità narrativa, ci sono temi che un bambino non capisce e altri che un adulto apprezza poco.
C’è un po’ di azione, la violenza è presente il minimo dovuto per delle storie di avventura, ed è sempre edulcorata. Compaiono personaggi famosi, da Lawrence d’Arabia a De Gaulle, da Picasso a Mata Hari, a Puccini e a tantissimi altri. Tutti vengono rappresentati in modo un po’ stereotipato, comprensibile anche ai più piccoli. Manca l’ironia sgangherata e irriverente dei film, il ritmo fracassone creato da sparatorie e inseguimenti, l’humor macabro delle scene con le mummie e i serpenti, o la cena dal Maragià, il respiro epico dell’epilogo del terzo capitolo... Ci sono momenti umoristici azzeccati, come quando Indy bambino racconta come gli Egizi imbalsamavano le mummie durante una cena in nave, o come quando i cammellieri non pagati abbandonano Indy e la tata alle Piramidi, qualche momento da slapstick comedy negli inseguimenti. Purtroppo non tutti gli episodi includono momenti del genere, e lo spettatore resta perplesso davanti a una narrazione tanto altalenante, a volte malinconica, a volte più fedele al ritratto di Indy visto nei film. Quanto alle storie, sono garbate e  intrattengono con delicatezza i bambini e anche quegli adulti che apprezzano le storie d’avventura ma preferiscono evitare particolari espliciti, parolacce, sangue o dettagli macabri o morbosi. Avviene un po’ quello che potrebbe accadere in una storia di viaggi nel tempo immaginata da un bambino o creata per un pubblico ingenuo: si va indietro nel tempo e là ovunque si arrivi, si capita sempre nel bel mezzo di un evento di portata storica e si incontrano invariabilmente personaggi famosi. Eppure l’esempio di The Time Tunnel con una sola stagione realizzata, sarebbe dovuto servire come esempio a George Lucas, che ha investito passione e danaro nel progetto. Ci ha creduto tanto, a modo suo, purtroppo senza confrontarsi con esperienze simili e senza considerare il gusto della grande platea. Non è un caso se i fan trovarono la serie lenta, troppo esplicitamente educativa, con troppe spiegazioni fuori campo del vecchio archeologo e nessun elemento fantastico. Il legame con i film è affidato a qualche citazione, a qualche situazione, ed è proprio esile.
La morale della favola spunta più o meno dichiarata, e stavolta non è diluita in un intreccio ricco di azione e colpi di scena, quindi emerge chiara, lasciando lo spettatore adulto perplesso.
La ricostruzione d’epoca è anche più che decorosa, considerando che si tratta di un prodotto di intrattenimento americano, e gli attori sarebbero anche bravi, con ruoli interessanti come il padre, la tata, un cuoco rivoluzionario...
Con un po’ di fortuna e di buonsenso, Indiana Jones e il quadrante del destino potrebbe ricordare ai fan più accaniti che anche in passato il personaggio non è stato obbligatoriamente legato sempre allo stesso interprete. In mezzo a tanti necessari cambi di attore già resi canonici dallo stesso Lucas, inserirne di nuovi per poter realizzare altri capitoli potrebbe essere una svolta per rilanciare la saga. Animazione a parte, è probabilmente l’unico modo per farlo tornare Indy senza costringere la platea ad accettare un attore ormai troppo anziano per il ruolo. Faceva già sorridere di tristezza vedere Ford in Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo, coinvolto in improbabili scene di azione, con il montaggio che faceva i miracoli per sostituire le controfigure. Oggi sarebbe straziante, credo, avere un attore ritoccato così pesantemente da trucco e grafica digitale da essere una sorta di cartone animato in mezzo ad attori in carne ed ossa… i fan di mezza età fanno già paragoni goliardici, i ragazzi non capirebbero come mai: il mondo di Indiana Jones non è la Cartoonia di Roger Rabbit. Ovviamente la lezione del telefilm, con le sue esplicite sostituzioni di volti, è che anche se lo spettatore accetta un nuovo interprete, ci vuole il fascino vintage, l’amore per i film d’avventura anni Cinquanta, altrimenti Indiana sarà solo uno dei tantissimi personaggi che attraversano lo schermo lasciandoci emozioni effimere.

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

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