BUCKAROO BANZAI
Buckaroo Banzai è un brillante neurochirurgo che, trovando la propria vita noiosa, si dedica alle arti marziali, alla fisica nucleare e alla musica. Come cantante, con la band ‘Buckaroo Banzai e i Cavalieri di Hong Kong’, è addirittura diventato un’idolatrata rockstar, e come scienziato è riuscito a realizzare un veicolo spinto da speciali turbopropulsori, capace di viaggiare nell’ottava dimensione.
Quest’ultima impresa, in particolare, é gravida di conseguenze, poiché il collaudo della speciale macchina finisce con l’aprire un ‘varco’ dimensionale che malevoli criminali del pianeta Dieci, comandati dal folle Dottor Lizardo, utilizzano prontamente per evadere proprio dall’ottava dimensione, dove erano stati incarcerati.
Naturalmente toccherà a Buckaroo Banzai e alla sua band di scienziati rockettari l’ingrato compito di riassicurare i fuorilegge alla giustizia.
SLAPSTICK SPY STORY
Dopo poche sequenze lo spettatore è avvisato: Buckaroo Banzai (The Adventures of Buckaroo Banzai Across the 8th Dimension, 1984) non pretende di essere preso sul serio, è una parodia demenziale di note pellicole di spionaggio e di fantascienza, con un protagonista che si diverte a prendere in giro i vari agenti segreti resi popolari dalla Settima Arte, a partire da James Bond.
Come l’eroe creato da Ian Fleming, Buckaroo è un renaissance man, versato in diversi campi della scienza e delle arti: oltre a essere un chirurgo eccezionale, un geniale scienziato, un cantante acclamato e un esperto in arti marziali, usa con disinvoltura le armi da fuoco, guida motociclette di grossa cilindrata, è bello, ricco, affascinante, e naturalmente è leader nato, un uomo insomma che primeggia in tutto. Con simili presupposti, Buckaroo è un perfetto personaggio da satira, paradossale e grottesco, inverosimile quanto il barone di Munchausen. Ad affiancarlo, colorati compagni che ammiccano a certe serie animate di Hanna-Barbera, come Butch Cassidy, o Scooby Doo.
La pellicola evita però di trasformarsi in una parodia scollacciata come quella che ha reso celebre Austin Powers o il più garbato Agente Flint, poiché privilegia l’azione.
I personaggi, nonostante siano interpretati da attori famosi come Peter Weller, Christopher Lloyd, Ellen Barkin, John Lithgow e Jeff Goldblum, appaiono volutamente stereotipati. Buoni o cattivi, tutti sono privi di una caratterizzazione psicologica approfondita, sono caricature esagerate nei pregi e nei difetti, come in un colorato fumetto o in un musical, e svolgono in tal modo un ruolo funzionale allo sguardo ironico e disincantato del regista W.D. Richter: l’eroe è il bersaglio della comicità, e la distanza che si crea tra lui e lo spettatore permette di ironizzare sui luoghi comuni del genere.
RITORNO AL PASSATO PARALLELO
È un universo da comics, quello inscenato da Richter: pacchiano e allegramente falso, stupefacente, capace di intrattenere grazie a formule narrative collaudate e a cliché amati dal grosso pubblico. Il film è dell’84, e ritrae la sua epoca con insolito disincanto. La vicenda è ambientata ai tempi della Guerra Fredda: l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche è in competizione con gli Stati Uniti. La moda ricorda per certi versi quella adottata dalle boy-band più glam, Duran Duran o Spandau Ballet. La tecnologia ignora le invenzioni più eclatanti degli ultimi venti anni, non ci sono internet, telefoni cellulari o televisori dallo schermo piatto, i computer occupano intere scrivanie e hanno monitor voluminosi su cui appaiono scritte monocromatiche. Mode e manie tipiche di quegli anni vengono mitizzate, ne viene resa un’immagine tanto esagerata da risultare caricaturale, come se la pellicola fosse un curioso esperimento di revival realizzato a distanza di un paio di decenni.
Tra giacche dalle spalle imbottite, capelli grondanti gel e abiti di scena vistosi come costumi di carnevale, la fotografia esalta i colori sgargianti, e rende ogni scena surreale, proprio come se venisse disegnata dal ricordo o fosse parte di un fumetto pulp. Lo stesso protagonista ricorda Big Jim e Action Man, bambole popolarissime tra i maschi oggi quarantenni, destinate a simulare mosse di karate, escursioni subacquee o discese in paracadute. Gli effetti speciali, a volte resi obsoleti dai progressi della grafica digitale, a volte volutamente rétro, completano la pellicola. Molte sequenze sono girate e montate adottando i ritmi propri dei telefilm di successo: ci sono inseguimenti degni di A-Team o di Magnum P.I., sparatorie importate direttamente dai polizieschi, scontri corpo a corpo inscenati da abili stuntman. La fantascienza e l’action si fondono, come in Supercar. I momenti di romanticismo hanno la puritana leggerezza dell’incontro tra una bella in pericolo e un salvatore che la libererà dal cattivo di turno, e si risolvono con qualche carezza, parole rassicuranti e un castigato bacio che sottintende un futuro addio, perché agli eroi dei telefilm è imposto dal copione di avere una bella da salvare diversa per ogni episodio.
HUMOR CINEFILO
Con Buckaroo Banzai i cinefili più irriducibili hanno di che divertirsi, grazie alle citazioni disseminate lungo tutta la pellicola: la “jet-car” che corre nel deserto è simile alla Supercar guidata da Michael Knignt nell’omonimo telefilm e anticipa la DeLorean di Ritorno al futuro; il locale dove suonano i Cavalieri di Hong Kong ricorda quello dove i Blues Brothers intonano il tema di Rawhide, che tra l’altro è il nome di uno dei compagni di Buckaroo. I cacciatori che scoprono il velivolo alieno sembrano Gianni e Pinotto alle prese con mummie e mostri tra la nebbia.
La più bella invenzione è forse la reinterpretazione dello scherzo messo in atto da Orson Welles. Nel 1938, per Halloween, il grande regista simulò alla radio la cronaca di un’invasione aliena, ispirandosi al romanzo La guerra dei mondi, opera di H.G. Wells. La gente si spaventò e prese per veri i notiziari; può darsi che gli Americani di allora fossero creduloni, o più probabilmente tanta ingenuità era dovuta alla mancanza di informazioni dirette, all’isolamento delle grandi province rurali. In Buckaroo Banzai la storia è riveduta: gli extraterrestri sarebbero davvero sbarcati il 31 ottobre del 1938, Welles ne sarebbe stato testimone e complice, poi gli alieni lo avrebbero ipnotizzato inducendolo a ritrattare.
Parte dello humour demenziale della pellicola si basa sui richiami ai classici del passato, destinati al grande o al piccolo schermo. Per ridere di una parodia bisogna conoscere anche l’originale che viene dissacrato, e Buckaroo Banzai rispetta questa esigenza, anzi non ci sono situazioni esplicite che regalino risate facili, o battute ingenue rivolte ai giovanissimi. La pellicola può oggi apparire come una parodia troppo scialba, sorretta da una sceneggiatura chiassosa e superficiale, troppo datata nell’uso del montaggio e nella semplicità degli effetti speciali. Può darsi che un umorismo più sboccato e facile potesse trasformare Buckaroo Banzai in un blockbuster, ma di certo lo avrebbe privato del fascino che da sempre attira i cinefili, fatto di riferimenti, di ironia, di amore disincantato per il cinema di genere. È un piccolo grande cult, destinato agli appassionati.
Cuccussette vi ringrazia della lettura.
Questa recensione è stata edita da TERRE DI CONFINE https://www.terrediconfine.eu/buckaroo-banzai/
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