UN'AMERICANA ALLA CORTE DI RE ARTU'

Un americano alla corte di re Artù (A Connecticut Yankee in King Arthur's Court) è un famoso romanzo dello scrittore e umorista Mark Twain. Il successo delle disavventure di Hank Morgan, un uomo comune trasportato per magia a Camelot, ha portato svariati registi a trasporre le pagine in film e periodicamente arriva in sala una nuova versione. Un’americana alla corte di Re Artrù è un film televisivo prodotto dalla Walt Disney Television, e dalla Rosemont Productions, è stato diretto nel 1998 da Roger Young, un onesto mestierante specializzato in fiction religiose ( suoi Mosè, Giuseppe, Barabba, Jesus, Salomone, San Paolo..).
Con poca fantasia il regista ripercorre il romanzo, con poche variazioni che riguardano soprattutto l’introduzione e l’epilogo, e il protagonista. Stavolta al posto del mediocre ma ingegnoso cittadino del Connecticut c’è Vivien Morgan (Whoopi Goldberg), ricercatrice di fisica che nel corso di un esperimento sull'antigravità finisce a Camelot. Conosciuta la corte e visto il tipo di vita condotto dal popolo, decide di introdurre scoperte e cambiamenti sociali che dovrebbero portare quella gente verso la modernità. Si scontra con l’ambiguo Merlino e soprattutto con la mentalità corrente.
Oggi sui social si grida allo scandalo ogni qual volta una nuova versione di un soggetto celebre viene interpretata da attori e attrici poco fedeli alle descrizioni letterarie, con cambi di etnia, di genere, di età. Prima di condannare un’opera per simili scelte narrative, sarebbe meglio guardare un film come questo, senza pregiudizi, e farsi un’idea più completa di cosa davvero trasforma una pellicola in un B-movie.  
Un’americana alla corte di re Artù è ben lontano dall’essere un capolavoro, intrattiene con garbo le famiglie, interessa i fan dell’attrice e appaga chi vuole un divertimento semplice con un umorismo diretto e immediato. E’ stato realizzato per la televisione, con pochi mezzi e la povertà della messa in scena non sorprende troppo, nonostante la firma Disney, in quel periodo lontana sia dai mediocri live action anni Settanta sia da quelli odierni. Il primo dei problemi di questo film televisivo è che sembrava già vecchio al momento della messa in onda, con i titoli di testa sovraimpressi, quasi fosse stato girato a metà anni Ottanta invece che alla fine del millennio.
L’estetica è povera, quasi vintage, con costumi dai colori sgargianti e armature di latta che farebbero sorridere anche in un evento di gioco di ruolo dal vivo; tutti sembrano ereditati da produzioni più ricche del passato o ispirati ad esse. L’inizio in un semplice laboratorio ammicca a classici del decennio precedente, come Salto nel buio oppure Wargames.
La sceneggiatura di Joe Wiesenfeld si rivela tanto elementare da far capire quanto accade anche se si ascoltasse senza vedere lo schermo, tratto tipico delle sitcom e di programmi nati per essere guardati senza impegno o coinvolgimento. Anche se si seguisse la pellicola con attenzione, ci sarebbe poco da apprezzare al di là della performance della Goldberg. Gli effetti speciali sono pochi e davvero modesti, degni di un film amatoriale e limitati ai due viaggi nel tempo e all’epilogo zuccheroso, unica variazione davvero radicale. Anche Doctor Who, la serie britannica famosa per i mostri fatti di plastica e oggetti rivestiti alla meno peggio, e per gli effetti speciali grossolani, non arrivava a tanto, o meglio, mostrava senza pudore i trucchi rozzi, ma aveva alle spalle belle storie recitate con maestria. Il paragone con la serie cult britannica è tanto più evidente nell’epilogo, che si distacca dal romanzo e ammicca alla più nota serie con una porta che si apre e rivela una galassia, e le parole di Vivien, che vuole conoscere Einstein e tanti altri personaggi. La sceneggiatura per il restante minutaggio segue per quanto possibile gli avvenimenti raccontati da Twain: la protagonista arriva, scampa la morte sfruttando le conoscenze che ha del passato, fa carriera a Camelot, sconfigge un nemico di Re Artù, cerca di far costruire macchine moderne con i continui ostacoli del mago Merlino, si mette nei guai a causa della differenza di mentalità, e alla fine di varie peripezie torna nel presente. Queste tappe sono state rivisitate al femminile e in chiave comica, sfruttando la notevole verve della protagonista, tuttavia lo spettatore sa già cosa attendersi e ne risulta un susseguirsi di gag leggere e adatte anche ai bambini, scontate e prevedibili per gli altri.
Nonostante tanti nomi illustri nel cast, dalla Goldberg a Michael York (Artù), Ian Richardson (Merlino) e a tanti attori britannici con esperienze televisive e anche teatrali alle spalle, come James Coombes (Lancillotto) o Amanda Donohoe (Ginevra), il film funziona solo in quelle sequenze relative alle gag. Non è una parodia nello stile scollacciato e intellettuale di Mel Brooks, qui ci si diverte solo patto di apprezzare un umorismo di vecchio stampo, semplice e corretto. Le battute evitano sesso e violenza, si ride sugli anacronismi, ci si fa contagiare dalla risata di Whoopi, dalle sue smorfie, oppure si resta indifferenti alle immagini che la fotografia di Elemér Ragályi rende simili a quelle di un qualsiasi vecchio telefilm in costume.
C ’è troppa poca inventiva, il testo è imperniato sulla satira sociale ma il film la ripropone ammansita, con alcune blande considerazioni sullo schiavismo e sulla nobiltà, sulle abitudini poco igieniche e peggio ancora, con un generale ottimismo. Twain era un uomo amareggiato e pessimista, antischiavista e anti imperialista, socialmente impegnato e consapevole dell’impossibilità di vedere realizzate le utopie di giustizia sociale almeno in tempi brevi. Nel romanzo le iniziative per il progresso sono sabotate da Merlino e soprattutto sono ostacolate dalla mentalità arretrata dei popolani. Il sogno dell’involontario viaggiatore del tempo è destinato a infrangersi, mentre Vivien raccoglie almeno in parte i frutti del suo progressismo.
Non è tanto l’aver scelto per protagonista una donna, nera e in carne, ottima attrice ma lontana dagli stereotipi di eroismo o bellezza, e aver voluto un’intellettuale geniale invece di un maschio dal buonsenso spiccio, a trasformare radicalmente la trasposizione e renderla ingenua e mediocre. Semmai sono le scelte che derivano dai cambiamenti unite alla pochezza dei mezzi e alle scelte narrative poco felici. Un personaggio diverso da quello ideato da Twain reagirebbe in modo diverso alle situazioni e le sue decisioni avrebbero conseguenze differenti. Le prime avventure potrebbero essere simili per poi distanziarsi. Invece si propone la diversità salvo poi ripercorrere i capitoli del romanzo, tranne quelli iniziali e finali. Si crea un corto circuito tra quanto è nuovo e quanto è noto, con qualche momento che davvero scade nel ridicolo, come l’utilizzo di un laptop per cercare date e sfruttare le conoscenze a proprio vantaggio… in un mondo che ha la magia e non ha di certo internet. O il finale lieto, posticcio e contrastante con i ruoli e le posizioni prese fino ad allora da Merlino e da Vivien.
Lo spettatore può divertirsi grazie alla bravura di Whoopi Goldberg, può scegliere questo titolo se ama l’attrice o se ha bambini, per le altre tipologie di spettatore può essere difficile appassionarsi davvero a quanto accade sullo schermo. Ogni tanto anche Whoopi Goldberg sbaglia film.

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

Questa recensione è stata edita da FENDENTI & POPCORN. Se la volete adottare contattatemi

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