I PREDATORI DELLA CITTA' PERDUTA

Nel prossimo futuro ipotizzato in I predatori della città perduta gli sconvolgimenti climatici hanno innalzato il livello delle acque; interi continenti si sono inabissati e il fenomeno pare non avere fine. Gli esseri umani popolano le poche aree ancora emerse, progettano città galleggianti oppure sperano di ritrovare una magica reliquia, lo scettro magico usato da Mosé per controllare le acque. Lo cerca il Vaticano, e lo brama Nicholas Filiminov, un magnate che spera di imbastire una grande speculazione immobiliare. La Santa Sede incarica l’anziano John Kubiak, adepto di una società segreta dedita alla custodia dello scettro, di ritrovare la reliquia…

C’è tutto il repertorio di situazioni e stereotipi attinti da titoli cinematografici di successo, dietro a questo film televisivo: panorami ispirati a Waterworld, misteri perduti nei meandri della Storia come nella saga sui Templari, sotterranei e tombe già visitate da Indiana Jones…  L’ambientazione potrebbe essere interessante proprio per l’amalgama di elementi  noti rielaborati con garbo. Funzionerebbe se la sceneggiatura mantenesse le aspettative oltre il  primo quarto d’ora.  Invece la tensione cala, e progressivamente si inabissa proprio come le cripte che i nostri eroi violano.

Il crollo dell’interesse in parte è conseguenza  delle ristrettezze che affliggono le produzioni televisive.  E’ ovvio che un film nato per la TV non gode degli stessi finanziamenti di una pellicola destinata alla sala, e i mezzi contenuti  penalizzano soprattutto le vicende d’avventura ed azione.  Gli inseguimenti, le sparatorie e i combattimenti dovrebbero creare tensione. Ripresi con le attrezzature più semplici, costretti in inquadrature anonime, sono stati montati con mestiere  scegliendo le sequenze più riuscite tra quelle girate in fretta e furia, e hanno ben altro sapore: quello di un innocuo telefilm da tardo pomeriggio.

Il senso di meraviglia male convive con le scenografie di cartapesta, i sarcofagi di polistirolo, i mediocri ritocchi digitali. I migliori film di genere hanno alle spalle storyboard illustrate da grandi artisti, scontri coreografati da stuntman, scenografi e artisti visuali così abili da concretizzare immagini da sogno. Le sequenze più incredibili appaiono verosimili perché sono state modellate sui gesti delle persone concrete, grazie a sofisticati software di animazione. In questo  film televisivo purtroppo manca la sinergia necessaria tra le diverse professionalità, così le scene action sono quelle che potevamo trovare trenta anni fa in Magnum P.I., o in Riptide, mentre gli effetti speciali sono quasi inesistenti, limitati a qualche breve, sciatta sequenza degna di un vecchio videogame .

E’ discutibile anche la scelta di aver vestito i personaggi secondo la moda attuale: corre l’anno 2048, c’è stata una catastrofe, e tutti sembrano usciti dalla spiaggia di Baywatch, o da un noto spot di liquore.

Si potrebbe obiettare che i soldi da soli male tamponano la mancanza di idee, ed anche I predatori dell’Arca perduta era nato come film a basso costo… Ma c’è una profonda differenza: negli anni Ottanta poche pellicole godevano di trucchi sofisticati, e anche i migliori artigiani avevano a disposizione risorse limitate.  Inoltre Spielberg sfruttò con maestria una sceneggiatura azzeccata, creando un eroe e resuscitando un genere cinematografico.  Ne I predatori della città perduta, ogni somiglianza con il capolavoro di Spielberg si limita al titolo e il soggetto viene sviluppato alla meno peggio da una sceneggiatura deludente.

I protagonisti marciano a testa alta verso lo scontato trionfo finale, tralasciando i buoni spunti che affiorano qua e là, proprio come le isole. Sono tutti macchiette dimenticabili: un ennesimo padre e mentore che vive recuperando oggetti dalle profondità del mare, due ragazzi adottati diversi per carattere, due ragazze, una semplice e abituata alla vita all’aria aperta, l’altra studiosa e rampante… Eroi bidimensionali, definiti da battute scontate, banali o peggio ancora, involontariamente ridicole. I dialoghi stavolta potevano davvero  fare la differenza, mettendo in luce i dubbi di John Kubiak, la difficoltà di conciliare la condizione di religioso con i compiti di genitore, la segretezza del suo incarico e il duro lavoro a bordo della nave. Potevano rendere più interessante Giovanna Becker, scienziata giovanissima, bella e ambiziosa, che si fa ammaliare dalle offerte del magnate. O far luce su Cara, ex barista imbarcata come meccanico, o approfondire il legame tra i due fratelli adottivi. Ne i predatori della città perduta è difficile affezionarsi ai protagonisti, asettiche presenze che convincono poco. Sono interpretati da volti televisivi, attori abituati ai ritmi massacranti delle fiction ed impreparati a reggere il confronto con i divi del grande schermo.

 L’introspezione di solito è il punto debole dei film d’avventura, viene sacrificata perché rallenta l’azione. In questo caso, i dialoghi particolarmente infelici non solo rendono poca giustizia a tutti i personaggi, ma sviliscono le diverse situazioni, e evidenziano tutte le ingenuità possibili  - anche quelle tecniche.  I poteri dello scettro sono riassunti in un paio di righe di copione, e la società segreta religiosa ha troppo poco spazio per colpire l’immaginazione dello spettatore. Tra echi del Codice Da Vinci e del Mistero dei Templari, i cenni storici sono superficiali, si riducono a vuote citazioni di nomi illustri. Tutto il fascino del Medioevo va a perdersi; si fa presto a nominare Templari, Crociate, Riccardo Cuordileone, tuttavia è difficile spiegare in poche righe chi erano quelle persone e quale sensibilità muoveva le loro azioni. Tra l’altro, non si capisce come mai uomini moderni, per quanto disperati, credano tanto facilmente a leggende antiche; addirittura c’è chi presta fede solo perché segue l’esempio di illustri personaggi del passato. L’avversario è altrettanto credulone, e con ingenuità senza pari insegue il miraggio di arricchirsi. A cosa possa servire il danaro, in un mondo devastato dall’inondazione, tra persone che probabilmente sono tornate all’economia del baratto, è un mistero ancora più grande. La caccia al tesoro diviene un prevedibile percorso a stazioni obbligate, nessuno ha incertezze su quale sia la tappa successiva, neppure quando si tratta di scegliere tra ben tre luoghi di sepoltura. Ci sono vecchi videogiochi con trame assai più elaborate...

Davanti a un action movie fantascientifico, gran parte del pubblico si lascia guidare dall’emotività, guarda il risultato finale senza chiedersi come sia stato raggiunto, e pretende sempre standard produttivi degni di Hollywood. Lo spettatore cinefilo può perdonare le scenografie di cartapesta e magari può rinunciare agli effetti speciali più sofisticati, se le ingenuità sono compensate dall’amore per il cinema di genere, e da eroi fracassoni e divertenti, che non si prendono sul serio.  I predatori della città perduta purtroppo perde di vista il compito principale di qualsiasi pellicola di genere: stupisce poco, perde il ritmo e il divertimento affonda.

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

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