DISTRICT 9

Un’astronave aliena in avaria plana su Johannesburg, carica di centinaia di migliaia di alieni simili a grossi insetti, goffi crostacei. I malcapitati, sporchi e denutriti, vengono accolti soccorsi, ma poi relegati in uno slum chiamato Distretto 9 allestito in un sobborgo della metropoli. Per venti anni sopravvivono confinati in questa malfamata riserva, in un clima di emarginazione e di crescente esasperazione da parte del resto della città, che li accusa di uccidere, rubare e provocare incidenti. Le proteste degli abitanti di Johannesburg muovono l’interesse dei politici, che decidono di deportare gli alieni in una zona franca, un territorio improduttivo lontano da centri abitati. Lo sgombero viene gestito dall’organizzazione sovranazionale Multi-National United, e affidato alla direzione del giovane Wikus Van De Merwe (interpretato da Sharlto Copley).

Durante le operazioni di rastrellamento, Wikus viene infettato da un liquido contenuto in un cilindro extraterrestre, e il suo DNA inizia a mutare suscitando così l’insano e deviato interesse degli scienziati della MNU. A rischio d’essere letteralmente vivisezionato, Wikus fugge nascondendosi nel Distretto 9, dove trova aiuto nella ‘persona’ di Christopher Johnson, un alieno che promette di salvarlo in cambio del recupero del misterioso cilindro, conservato ora in un laboratorio.

District 9 (2009) porta una ventata di novità nel panorama del cinema di genere. Il film di Neill Blomkamp recupera temi cari alla fantascienza ma riesce a staccarsi dai consueti cliché. Ci sono astronavi enormi, alieni ributtanti, mutazioni, inseguimenti degni di un action movie, tuttavia gli effetti speciali e ogni elemento spettacolare restano sempre ben subordinati e funzionali alla vicenda narrata. La pellicola è sorretta da una sceneggiatura magistrale, che fonde stili di ripresa disparati, e crea un proprio linguaggio originale. Il regista la rappresenta la società contemporanea, caratterizzata dal continuo consumo di immagini, attingendo da tutti gli strumenti possibili: le riprese alternano l’uso di attrezzature tradizionali, videocamere, dispositivi mobili, telecamere a circuito chiuso… District 9 si presenta quindi come un mockumentary, ossia un finto documentario, di fantascienza.

Il film concede poco agli stereotipi di genere e si focalizza su temi di scottante attualità. Gli alieni altro non sono che lo specchio dei profughi e degli emigranti che giungono alle porte del mondo industrializzato, cercando riparo dalla povertà o dai conflitti che dilaniano i loro Paesi di origine, ma finendo poi spesso divorati da realtà di emarginazione, e da condizioni di altrettanta indigenza e rischio. Non sappiamo quale ragione abbia portato sulla Terra l’astronave madre, se i profughi siano in fuga da un pianeta morente, se abbiano commesso crimini o se siano vittime di qualche guerra aliena. Arrivano deperiti, privi di qualsiasi merce di scambio, incapaci di svolgere mestieri utili. Sono creature raccapriccianti, ghiotte di cibo per gatti, ossessionate dalle discariche: sono ‘gamberi’ o piuttosto ‘prawns’, nome usato in Sudafrica per designare fastidiosi insetti. Gli effetti speciali indugiano su chele e tentacoli e in questo caso non c’è compiacimento, né sfoggio gratuito di abilità grafiche. Ogni dettaglio serve piuttosto per mostrarci creature d’aspetto orrido ma dagli occhi intelligenti e tristi. Se, nella prima parte della pellicola, le inquadrature descrivono soprattutto corpi, col procedere della storia la macchina da presa si inchioda sugli sguardi. Il vero alieno è l’essere umano, creatura superficiale, malata di xenofobia e razzismo, incapace di trarre lezioni dalle esperienze. L’apartheid, le lotte civili di Nelson Mandela, il passato… sembrano qui non avere insegnato nulla alla folla di Johannesburg: tutti, bianchi e neri indistintamente, odiano i gamberi e ripropongono le infami targhe della discriminazione, le stesse che fino a qualche decennio fa comparivano davanti ai negozi, nelle stazioni, perfino nelle toilette, a separare gli spazi destinati alle diverse etnie.

Le folle sono in balìa dell’ignoranza e della disinformazione impartita dai media. I militari appaiono meri strumenti del potere, gente brava solo a obbedire e a reagire con le maniere forti. I giornalisti sono avvoltoi a caccia di scoop, pronti a tutto, e le notizie vengono costruite in modo da influenzare deliberatamente l’opinione pubblica. Le organizzazioni sovranazionali sono al corrente delle violenze e le occultano quanto più possibile. Gli scienziati si dimostrano altrettanto ottusi: basta un’occhiata alla ciclopica e tecnologica astronave per dedurre l’infondatezza del mito della superiorità umana.

Nella storia compare anche una gang trafficanti nigeriani, un aspetto che ha suscitato il risentimento delle autorità del Paese africano. Anch’essi persecutori di Wikus, si tratta di criminali violenti e succubi delle proprie superstizioni: sono dediti al cannibalismo, controllano il mercato nero del cibo, la prostituzione interrazziale e la vendita di armi terrestri (peraltro molto meno efficaci di quelle aliene).

Nel prossimo futuro immaginato da Neill Blomkamp tutti hanno il diritto ad essere stupidi e condizionati, a prescindere dal colore della pelle o dalla provenienza. Bianchi o neri, terrestri o alieni.

Wikus è l’emblema di questa società superficiale: arrivista, incapace, ingenuo, privo di carisma caratteriale o intellettuale, ha fatto carriera sposando la figlia del direttore della MNU. Finge di ignorare, o forse ignora davvero, le violenze perpetrate ai danni degli extraterrestri, e la sua unica preoccupazione è rivolta ai possibili negativi risvolti mediatici delle azioni militari sugli alieni inermi; e così tenta di orchestrare le riprese dei rastrellamenti in una forma tale che la gente possa credere a uno sgombero pacifico, condotto nel rispetto delle leggi e dei diritti ‘umani’. Ogni occasione però è buona per abbandonarsi ad azioni degne di un ufficiale nazista: coglie ogni atto di diffidenza o di resistenze da parte dei prawns come pretesto buono per far aprire il fuoco; stacca addirittura la spina alle incubatrici dei piccoli alieni, definendoli ‘aborti’. La sua maturazione come personaggio avviene a partire dalla sua contaminazione. La mutazione del suo corpo lo costringe a calarsi a poco a poco nei panni degli extraterrestri: braccato dagli umani, imprigionato e sottoposto a esperimenti crudeli.

Il vero protagonista positivo è l’alieno Christopher, creatura sensibile e intelligente, genitore amorevole e combattente pronto a lottare per la libertà. La sua figura eroica e il suo sacrificio diventano anche per Wikus un modello retto a cui ispirarsi.

L’epilogo rifugge da scontati drammi e lascia spazio alla speranza. Con grande rigore morale, Blomkamp sceglie di mostrarci un Wikus che, trasformato in alieno, ha in realtà completato il suo processo di umanizzazione, l’esatto rovesciamento rispetto al personaggio iniziale: ora disumano nel corpo ma finalmente umano nell’anima.

District 9 è un film che tutti dovrebbero vedere, a partire da quanti credono che la fantascienza sia sinonimo di effetti speciali e disimpegno ideologico.

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

Questa recensione è stata edita da TERRE DI CONFINE https://www.terrediconfine.eu/district-9/

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