CRUEL PETER
Nessuno vorrebbe lavorare come babysitter, se dovesse badare a un ragazzino come Peter Hoffman, detto Cruel Peter a causa dalla sua indole malvagia oltre ogni immaginazione.
Il lungometraggio Cruel Peter di Christian Bisceglia e Ascanio Malgarini, alla seconda incursione nell’horror dopo Fairytale, racconta le malefatte da vivo e da morto di questo ragazzino vissuto a Messina a inizio 900 e morto tragicamente nel terremoto del 28 Dicembre del 1908. La brutta fine che fece fu conseguenza della sua giovane vita, giovane sì, ma anche tanto scellerata e caratterizzata da comportamenti omicidi e sadici. Era il rampollo del defunto signor Hoffman, ricco mercante inglese morto suicida in circostanze poco limpide. La famiglia aveva una sontuosa magione nei pressi della città, con poderi e parco. Ricco e viziato, Peter si divertiva a torturare e uccidere barbaramente gli animali, sfregiava le coetanee figlie di popolani che lavoravano nella villa e aveva più di una colpa sulla coscienza, oltre a una madre pronta a difenderlo. Un giorno fece morire il cane di un figlio di lavoranti, chiudendolo in una cassa e seppellendolo. Per vendetta, venne rapito e rinchiuso lui stesso in una cassa dal ragazzo, che voleva farlo morire o forse dargli una meritata bella lezione. Quando, dopo le suppliche paterne, il ragazzo andò per liberarlo, era il 28 dicembre del 1908: data storica poiché si scatenò un terremoto di alta magnitudo, che rase al suolo Messina e Reggio Calabria, provocando oltre ottantamila morti, inclusi i due adolescenti. Al giorno d’oggi il professore di archeologia Norman Nash si assume l’incarico per il restauro del cimitero monumentale a Messina. Si trasferisce portando con sé sua figlia Liz, ragazza rimasta sorda in un incidente stradale in cui sua madre è morta, e subito fa amicizia con la vicina, Harriet. Viene trovata la tomba di Peter, vuota in quanto il corpo rimase nello sgabuzzino dove era stato rinchiuso e nessuno se ne preoccupò data la tragedia del sisma. Iniziano a accedere fatti inspiegabili, oggetti scompaiono misteriosamente, una figura di donna appare nel bosco e Liz, che ha cercato di comunicare con l’aldilà per parlare alla madre, scivola in una pazzia che non è malattia mentale ma possessione…
Cruel Peter è un bell’horror italiano, che ha il suo punto di forza nella caratterizzazione d’ambiente. Come Pupi Avati ha creato il gotico Padano, qui l’ambientazione siciliana fa la differenza. La vicenda, almeno per due terzi, è contraddistinta da un forte legame con l’ambiente e le sue tradizioni. La presenza di cittadini britannici era abbastanza regolare sulle coste italiane, per i commerci e perché molti benestanti prevenivano o curavano malattie respiratorie approfittando del clima mediterraneo. I cimiteri monumentali fino a pochi anni or sono versavano davvero in condizioni di degrado, spesso oggetto di furti statue e vasi d’epoca. La riscoperta della bellezze a kilometri zero e la cultura gotica hanno permesso che alcuni di essi venissero restaurati in modo da divenire a loro modo mete turistiche. La magia che si vede impiegata è stregoneria popolare, un mix sincretico di pratiche pagane e cristiane. La vicenda si basa su fatti storici, ed etnolografici di una Sicilia sospesa tra post modernità e tradizione, ovviamente reinterpretati per creare una fiaba nera. Da segnalare la struggente ballata che accompagna il protagonista nel pub con Harriet, poesia dialettale
Le locations sono suggestive, dalla città inquadrata in lunghe panoramiche alla villa, all’antico cimitero: luoghi lontani dal turismo di massa e molto suggestivi, che non sfigurano se accostati ai panorami dell’immaginaria Vigata del Commissario Montalbano.
I personaggi di contorno… sono il piatto forte, con le loro superstizioni mediterranee, con l’omertà, con i segreti che conservano gelosamente. Se il protagonista, la figlia e la bella Harriet risentono degli stereotipi delle ghost stories, ovviamente attualizzati, i comprimari sono la marcia in più. La recitazione di Henry Douthwaite ( Nash), di Zoe Nochi (Liz) e di Rosie Fellner (Harriet) è decorosa, tuttavia il sapore della vicenda arriva proprio dal discendente del giardiniere che conserva il segreto della famiglia Hoffman, dal misterioso carabiniere che invita Nash a lasciar perdere e andarsene, e soprattutto dal piccolo Aran Bevan (Peter).
Ci sono belle sequenze horror, come quella nel gabinetto, o quella nel casotto. Le sequenze con momenti horror sono giocate su cromatismi freddi, con scene cupe che ben contrastano con le parti di narrazione ambientate in spazi aperti o in pieno giorno.
La parte finale, con l’esorcismo è forse quella più scontata, risollevata però da un epilogo amaro: un lieto fine momentaneo. Sarebbero immagini un po’ di mestiere se non fosse stata costruita la giusta atmosfera, creata con l’ambientazione regionale e con il lungo incipit che ci racconta chi era Peter, prima del salto temporale per portarci nel presente. La modernità incarnata dal professore e dalla figlia scivola via poco a poco, sopraffatta da un clima di segreti spiacevoli che tutti vorrebbero sepolti insieme alle macerie. Si respira subito un’atmosfera di mistero, perché più che un horror tradizionale questa è una fiaba gotica a tinte forti.
In questo senso la scelta di rinunciare a una prevedibile storia sentimentale o almeno lasciarla fuori dal tiro della macchina da presa, è coraggiosa e vincente. Sarebbe stato un elemento di distrazione, una pausa rilassante in una vicenda che invece deve creare tensione, in un crescendo che nega un vero e proprio lieto fine.
Il film sovverte stereotipi radicati e porta un messaggio forte riguardo la genitorialità e il valore della cultura. Raramente un bambino è malvagio sullo schermo; se invece lo è, ha motivazioni ultraterrene, come l’Anticristo Damien o i piccoli alieni del Villaggio dei dannati. Invece Peter è un essere umano comune, reso sadico da un rapporto tossico con la madre: vuole che l’affetto di lei sia esclusivamente rivolto a lui. La sua condizione privilegiata gli consente di occultare ogni delitto, e perpetrare ogni angheria immaginabile. Sua madre appoggia in pieno le nefandezze, consentendo al figlio di comportarsi a quel modo. Si ignora se praticasse la magia nera prima della tragedia, o se abbia passato gli anni successivi alla morte di Peter a imparare i sortilegi pur di proseguire il torbido rapporto. E’ una figura ben diversa da quella del professore vedovo, che fa il possibile per aiutare la figlia, giungendo a rischiare la vita. Sia la vedova Hoffman sia il professore universitario sono esponenti della classe borghese: la differenza è creata dalla cultura e dall’istruzione. La lezione è giustamente fatta emergere dalle situazioni, e giunge in modo indiretto, senza retorica.
Cruel Peter è stato promosso da Rai Play, che lo ha distribuito in streaming; è però nato con ambizioni più grandi, con l’idea di portarlo in Paesi anglofoni dove il doppiaggio piace poco agli spettatori. E’ stato perciò recitato in lingua inglese da un cast internazionale.
C’è da augurarsi che le aspettative dei due registi possano realizzarsi nel migliore dei modi, e che sia un esempio da seguire: invece che ripetere le solite storie, valorizzare leggende e ambienti, con il folkhorror.
Cuccussette vi ringrazia della lettura.
Questa recensione è stata edita su questo sito. Se la volete ospitare, contattatemi. Florian Capaldi su Facebook
Crea il tuo sito web con Webador