IL GIRO DEL MONDO IN 80 GIORNI 1956

«Maestro, quanti sogni avventurosi / sognammo sulle trame dei tuoi libri! / La Terra il Mare il Cielo l'Universo / per te, con te, poeta dei prodigi, / varcammo in sogno oltre la Scienza.» scrisse Guido Gozzano nell’occasione della morte di Jules Verne. L’autore francese, spesso liquidato come autore per ragazzini e di conseguenza sottovalutato, è vissuto in pieno Ottocento, un’epoca in cui le librerie non avevano reparti per bambini o ragazzi. C’erano testi destinati a quei fortunati che sapevamo leggere abbastanza bene da potersi permettere di godere di un romanzo, e alcuni titoli potevano essere letti anche dai giovani. Le opere di Verne erano capaci di affabulare gente di ogni età. Non è un caso se il cinema si è tuffato più volte nelle pagine dei tanti romanzi, con esiti spesso memorabili.
Il giro del mondo in 80 giorni (Le tour du monde en quatre-vingts jours, 1873) è stato trasposto per la prima volta da Michael Anderson, nel 1956. Erano anni in cui la gente viaggiava raramente; a parte rari casi di gente che lavorava all’estero, e pochi ricchi curiosi, le occasioni di vedere Paesi lontani erano davvero esigue. Il romanzo era ben conosciuto, e garantiva la giusta dose di avventura, azione, esotismo e humor. Con simili premesse, gli sceneggiatori James Poe, John Farrow e S.J. Perelman avevano dovuto inventare ben poco. Il film si apre con un’introduzione del produttore Mike Todd che elogia Jules Verne, e poi la vicenda inizia, con buon ritmo. L’inventiva degli sceneggiatori si sbizzarrisce soltanto nella prima parte del viaggio, quella europea, troppo poco esotica da venir sviluppata anche sulla carta. Così Phileas Fogg e Passepartout viaggiano in mongolfiera e atterrano in Spagna, per poi seguire le tappe scelte da Verne con variazioni minime. La pellicola, con l’eccezione già detta, segue il testo con estrema fedeltà, anche come dialoghi.
A suo tempo andava benissimo così, oggi lo spettatore si sentirebbe irrimediabilmente tradito. Prima lo si illude di scoprire avventure sorprendenti, compatibili con la linea temporale del viaggio già scritta oppure create ex novo. Poi il film torna a seguire senza un minimo di originalità la vicenda nota, e subentra la noia se tutto il divertimento è affidato ai siparietti folkloristici ormai datati. La noia attende quanti vorrebbero trovate originali, o almeno un’avventura con veri pericoli, ben orchestrata e ritmata. Nel caso del Giro del mondo in 80 giorni, come nel testo, di azione ce ne sta davvero poca. A parte l’episodio apocrifo spagnolo, il salvataggio della principessa, l’attacco dei pellerossa e poco altro, tutto si risolve nell’utilizzare vari mezzi di trasporto e nell’affrontare qualche intoppo. Più che i muscoli o l’astuzia, Fogg usa il danaro; pagando può assicurarsi sempre mezzi alternativi per arrivare alla meta.
Questo film dovrebbe far riflettere tutti quei fan che si lamentano delle trasposizioni poco fedeli dei loro romanzi preferiti. A volte il rigore filologico non garantisce un intrattenimento più coinvolgente, anzi, soprattutto a distanza di anni rischia di rendere il film anonimo e prevedibile. Le parti più divertenti del Giro del mondo in 80 giorni sono quelle inventate e fracassone, oltre ai garbati contrasti tra l’irruento e pratico maggiordomo e il compassato gentleman.
Oltre all’avventura, ci sono anche altri spunti interessanti che si perdono per strada: l’anima da musical del balletto in taverna e le gag della corrida potevano far sperare in una rilettura musical o parodistica, e invece tutto rientra nella consuetudine di un film d’avventura dal soggetto così noto da eliminare qualsiasi vera sorpresa. Non è un caso se le versioni del Giro del mondo in 80 giorni successive a questa hanno dato diverse riletture tutte ben caratterizzate. C’è stato il viaggio action e brillante nella miniserie BBC del 1989, le atmosfere steampunk e le arti marziali nel 2004, oppure gli autori hanno scelto di rileggere i personaggi e riscriverli in versione attualizzata, più fragili e umani, come è avvenuto nell’ultima riproposizione della BBC. Sono opere discutibili, magari non riuscite del tutto, invecchiate male a causa delle migliorie tecnologiche, oppure datate per altri aspetti e forse in un futuro non troppo lontano appariranno più ammuffite che mai. Nonostante i limiti, sono creazioni pronte a far immaginare altro oltre a quanto c’è nella pagina scritta.
Il giro del mondo in ottanta giorni di Anderson non ha mai aspirato a tanto eppure ha alcuni pregi che lo rende un piccolo classico. Questa prima pellicola non gioca sull’essere originale, quanto sull’essere un kolossal¸ realizzato con quanto di meglio potesse offrire la scena di quegli anni. Gli sforzi produttivi si vedono tutti, il film del 1956 è capace di stupire lo spettatore con un allestimento ricco, sia come interpreti, sia come set e location, costumi e durata. Gli attori sono tutti nomi celebri, recitano con sicurezza e David Niven è la quintessenza del gentiluomo britannico, un Fogg raffinato e organizzatissimo. Il copione di Passepartout è affidato a un comico messicano, Cantinflas (al secolo Fortino Mario Alfonso Moreno Reyes), la principessa indiana è un’improbabile ma briosa Shirley MacLaine e Fix è interpretato da Robert Newton, nel suo ultimo ruolo. Anche i personaggi minori, quelli con tre o quattro battute, sono camei di volti illustri: Fernandel (il cocchiere), Luis Miguel Dominguín (il torero), Marlene Dietrich (la proprietaria del Saloon), Frank Sinatra (il pianista del saloon), Buster Keaton (conducente del treno), John Carradine (Col. Proctor Stamp), Peter Lorre (il cameriere orientale), Martine Carol (la ragazza alla stazione di Parigi), Ronald Colman (il funzionario delle ferrovie indiane), Trevor Howard (Denis Fallentin), Charles Coburn (impiegato Steamship co.), Noël Coward (Hesketh-Baggott), John Gielgud (il maggiordomo Foster), Victor Mclaglen (il timoniere), John Mills (il conducente della carrozza), Cedric Hardwicke (Sir Francis Cromarty), e tanti altri. Lo spettatore può vedere e rivedere il film anche solo per smascherare i suoi beniamini con gusto cinefilo.
Le riprese spesso sono avvenute proprio nei luoghi descritti nel libro, evitando le vistose e spesso pacchiane ricostruzioni in studio di luoghi esistenti ma troppo lontani. Solo alcune location sono state ricreate in quanto non più esistenti, o meno spettacolari di quanto venisse richiesto dalle esigenze di un kolossal.
Si vedono svariati animali, i costumi esotici sono sfarzosi, i mezzi di trasporto sono ricostruiti con puntualità. Naturalmente il tentativo di sorprendere gli spettatori con panorami insoliti e attori piacenti è esplicito, quasi sfacciato, e il sense of wonder oggi non funziona più come al momento delle prime proiezioni.
C’è tutto il tempo per apprezzare tanti sforzi; il film dura quasi tre ore con variazioni del minutaggio a seconda delle versioni distribuite in vari Paesi. Il film si regge sul glamour, sulla chimica tra gli attori principali, sul garbato umorismo. Per quanto datato e prevedibile, con battute che oggi verrebbero considerate razziste e che erano la norma per gli europei di un tempo, il film suscita un’atmosfera da festa, o può essere un comfort movie che regala un’evasione innocua e piacevole. Prevedibile, privo di violenza, lungo e con lentezze tali da non far perdere il filo a spettatori distratti, si è trasformato con gli anni in un film da festività. E’ uno spettacolo gradevole da rivedere ogni tanto, come quel vecchio parente che vediamo solo a Natale, un bel film classico che può mettere d'accordo persone diverse per gusti e cultura.
Gli anni sono passati e per tanti aspetti il Giro del mondo in 80 giorni è invecchiato meglio di quanto non fosse prevedibile.

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

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