EDHEL

Edhel (Gaia Forte)  è un’adolescente nata con una malformazione dei padiglioni auricolari che hanno un aspetto insolito, sono appuntiti come quelli di un Elfo. Orfana di padre, vive con la madre (Roberta Mattei), e nasconde la sua particolare condizione indossando sempre felpe con ampi cappucci. Introversa, adora cavalcare ed è oggetto del bullismo dei coetanei. L’ incontro con Silvano(Nicolò Ernesto Alaimo), custode dell’istituto da lei frequentato, appassionato di giochi di ruolo e illustrazione fantasy, le darà una nuova speranza…

Di film sull’emarginazione di quanti sono o si sentono diversi, ne sono stati realizzati molti negli ultimi anni; gli ingredienti sono poi sempre gli stessi, vale a dire, c’è sempre un teenager oggetto di bullismo, una famiglia poco comprensiva, lutti alle spalle, una grande voglia di riaffermazione del protagonista e, di solito, un lieto fine più o meno verosimile. A differenza di Wonder e di altre pellicole del filone, l’opera prima del casertano Marco Renda Edhel declina la vicenda mescolandola con il fantasy. La giovanissima Edhel potrebbe infatti avere antenati Elfi: ne ha l’aspetto, comunica con gli animali, ha una mira eccezionale, potrebbe avere premonizioni, e si sente attratta da un angolo del bosco prossimo al maneggio che frequenta. Gli indizi vengono abilmente centellinati attraverso tutta la vicenda, che lascia irrisolto ogni dubbio e lascia da parte qualsiasi rappresentazione esplicita di creature leggendarie e regni incantati. La scelta è molto appropriata, perché il film è stato realizzato con mezzi modesti e niente è più fastidioso di un’esibizione gratuita di trucchi dozzinali in un intreccio che vuole parlare d’altro.
Tutto quanto viene offerto allo spettatore è una danza di piccole luci che Edhel vede davanti al bosco, la fotografia sovraesposta delle fronde che evoca lo scenario dove dovrebbe trovarsi un portale magico, qualche voce che bisbiglia e i dialoghi evocativi. Fenomeni che potrebbero essere reali come potrebbero essere frutto della fantasia della ragazzina: l’unico fatto concreto è la scomparsa della piccola, fuggita nel corso di una gara di equitazione e ricomparsa qualche giorno dopo, nonostante le ricerche della polizia abbiano fallito. Lo spettatore resta indeciso su cosa credere, il regista evita di fornire soluzioni al mistero, apparentemente senza assumere una sua posizione netta. O forse ha fatto la sua scelta e il film solo in apparenza promette una rivincita dei ‘diversi’, ai quali non resterà che continuare a subire la discriminazione, appena alleviata da qualche volo di sterile fantasticheria.

L’unico a credere alle leggende è un bidello dai gusti marcatamente nerd, un ‘diverso’ egli stesso: il giovane prova a convincere Edhel di essere un elfo, le fa conoscere il mondo dei giocatori di Dungeons and Dragons, dove non solo è accettata, ma anche viene considerata bella in quanto ricorda le illustrazioni ben note… e questa nuova consapevolezza darebbe forza alla ragazzina. Lo spettatore può assumere il punto di vista di Silvano e credere davvero nell’esistenza del Popolo Fatato, ma probabilmente non lo farà, perché il bidello appare goffo, buono solo a disegnare e a improvvisare colpi di scherma senza nemmeno muovere un passo per dare ai colpi la dovuta energia . Non so se sia voluto, ma quella goffaggine con la spada in mano è un indizio che fa capire come non abbia mai scambiato colpi con altri appassionati. E’ un povero fallito, oltretutto incapace di tenersi il lavoro. Viene picchiato anche da altri nerd per il possesso di una rudimentale arma di gommapiuma: uno sconfitto tra gli sconfitti, interpretato con qualche sbavatura e mortificato da un copione assai naif. Purtroppo il regista non ha osato fino in fondo scegliendo un nerd di successo, magari un disegnatore professionista, un regista  o uno scrittore emergente, o un giovane professore con ambizioni intellettuali. Sarebbero state figure estranee alla vita e agli ideali dell’uomo comune, che pure sarebbe stato costretto a guardarle negli occhi e riconoscerle come ‘diverse da sé, ma altrettanto capaci’. E degne di credito, a differenza del povero bidello sfigato.
Non che si possa far il tifo per i bulli, per il ragazzino che prima si finge amico e poi svela il segreto di Edhel durante una festa di compleanno o per le ‘amichette’ che la gettano nella piscina poco dopo averla fotografata con i cellulari. Le angherie purtroppo vengono in parte sminuite dall’ingenuità che contraddistingue ogni atto; il vero bullismo probabilmente è più sottile, e più insidioso proprio perché si nasconde dietro comportamenti apparentemente innocui e socialmente accettati, come non invitare a feste, come non comunicare i compiti scolastici, come promettere di prestare qualche oggetto e poi negare il piacere. La condanna verso le ragazzine gode di attenuanti nella banalità che caratterizza le prevaricazioni e nell’ambiente ipocrita che le circonda, mentre la scelta di indossare il cappuccio enfatizza semmai l’immaturità di Edhel che non riesce ad accettarsi ma non si decide ad operarsi. Peggio ancora, vuole comunque frequentare l’ambiente neo paninaro, e la mamma la spinge ad inserirsi in quell'umanità senza capire che non si può piacere a tutti e avere una personalità, perlomeno non si può in quell'ambiente patinato e stereotipato. Le prevedibili aggressioni nei bagni, le offese scontate sussurrate durante le lezioni,  i sorrisi al veleno, le riprese con i cellulari sono resi meno scontati grazie all’ uso accorto della macchina da presa e dal lavoro del montatore.  
La recitazione a volte impacciata peggiora la situazione, soprattutto nel caso del bidello e dei comprimari, visibilmente sottotono rispetto alla madre. Il rapporto tra Edhel e la mamma è trattato con sensibilità e senza troppa retorica, e le interpretazioni valorizzano l’amore e l’odio della piccola e dell’adulta, i rimorsi, i rimpianti. Tanta maturità narrativa risolleva la piattezza degli altri personaggi, e salva la pellicola dal diventare un racconto edificante sorretto da messaggi triti.  Edhel è un film ingenuo per molti aspetti, e per altri assai maturo, ed è ambiguo nel messaggio che veicola. Condanna il bullismo, quando è rivolto a persone dall’aspetto singolare, ma l’episodio del pestaggio subito dal bidello non è accompagnato da altrettanto biasimo. Poteva essere trovata un’altra scusa per impedirgli di recarsi da Edhel, bastava un banale furto del motorino, un guasto al motore, e invece il regista ha scelto di mostrare anche nerd bulli. Avesse conosciuto direttamente l’ambiente, o si fosse informato, avrebbe scoperto un mondo inclusivo, almeno verso quanti condividono una mente aperta e una buona capacità di astrazione. Anche i patiti del fantasy purtroppo possono cedere alla discriminazione, tuttavia in quel caso è quasi sempre rivolta a quanti sono di mentalità pragmatica, a quanti per limitata intelligenza non riescono ad astrarre e immaginare altri mondi divertendosi a inventare e recitare storie, non ad altri ‘simili’.  La morale della favola di Edhel è invece tutta concreta, ovvero, la fantasia è un necessario momento di pausa per poi ritornare con i piedi per terra. Forse è anche un’arma per cambiare concretamente le bruttura della realtà con mezzi non violenti ma efficaci, ma il negare allo spettatore una seppure fugace visione del futuro della protagonista dopo essere stata nel bosco elude una risposta decisa. La fantasia è una zona relax che ci fa riposare per tornare poi ad accettare la realtà così come è, oppure la fantasia è una delle poche armi non violente efficaci verso chi vuole imporci ruoli ed aspettative che non ci appartengono ? Non c’è risposta, purtroppo. Considerato che una pellicola come Edhel ha una distribuzione limitata a poche sale, e probabilmente il pubblico interessato è in buona parte formato proprio da nerd, alcune scelte mi appaiono inappropriate, come se a narrare fosse una persona che è tutto, tranne che nerd. Forse il regista contava di coinvolgere i teenager meno smaliziati, cavalcare la moda di Wonder e farsi distribuire nei cineforum delle scuole. Forse ha ricercato un compromesso tra l’opinione della maggioranza e quella di chi crede davvero che la fantasia ci salverà: forse per un piccolo spettatore la storia ha i suoi aspetti educativi validissimi. Nonostante il successo al Festival di Giffoni, vista con lo sguardo disincantato di un nerd adulto la fiaba convince solo a metà.

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

Questa recensione è stata edita da FENDENTI E POPCORN: potete adottarla ! Contattatemi!

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