RETURN TO THE PLANET OF APES
L’ambientazione del Pianeta delle Scimmie, tratta dal romanzo di fantascienza omonimo di Pierre François Marie Louis Boulle, ha avuto ben cinque film usciti in sala tra il 1968 e il 1973. L’ultimo capitolo Anno 2670 - Ultimo atto era fiacco, anche per i fan più accaniti della serie, e mostrava come ormai il filone fosse arrivato ad esaurire le idee e anche i mezzi con cui concretizzarle. Per rivitalizzare la saga nel 1975 venne trasposta in un cartone animato sviluppato da David H. DePatie e Friz Freleng, ( Looney Tunes, Pantera Rosa). Si pensava così di ovviare ai notevoli costi di una pellicola con attori in carne ed ossa: Return to the Planet of the Apes nasce come reboot a basso costo, con l’intento di rilanciare il franchise e estendere l’interesse per i primati sapienti anche ai ragazzini.
La situazione di partenza delle tredici puntate da venticinque minuti ciascuna trasmesse nel 1975 è più o meno la solita: i tre astronauti Bill Hudson, Jeff Allen e Judy Franklin volano verso un pianeta sconosciuto ma invece si ritrovano sulla Terra nel 3979 A.D.. Le scimmie dominano il mondo, gli esseri umani sono ridotti in schiavitù e spesso nemmeno sanno parlare. Anche se potessero farlo, le scimmie credono a una profezia che predice disgrazie se mai uno di loro pronunciasse parola, e ucciderebbero il malcapitato. Pochi superstiti di quella catastrofe che ha ribaltato la società vivono e lavorano nel sottosuolo, mutilati e sfigurati dalle radiazioni. I tre astronauti iniziano a esplorare il pianeta; Judy viene inghiottita da una voragine, i superstiti incontrano una tribù che sa parlare ma vengono cacciati. Jeff fugge con l’aborigena Nora, Bill viene catturato e studiato dagli scimpanzé Cornelius e Zira. Quando però vogliono operare Bill per vivisezionarlo, questi si risolve a parlare. La notizia di un umano capace di articolare parole e ragionare arriva al Concilio delle Scimmie che decreta la sua morte. Viene fatto fuggire dagli scimpanzè stessi e nella fuga ritrova Jeff e Nora, e poi anche Judy… Di lì in avanti, la trama fino ad allora interessante, collassa, riproponendo situazioni di fuga e inseguimento con poche varianti.
La prevedibilità e lo scarso pathos che ne consegue smorzano l’interesse da parte dello spettatore adulto. Fino alla reunion con Judy la trama è interessante, lascia dubbi sulla sorte della ragazza e dà spazio e descrivere quel futuro distopico. La narrazione va di pari passo con la descrizione delle varie locations e dei costumi dei popoli, e risulta efficace in quanto lo spettatore può non aver visto i film o letto il romanzo e deve venire informato delle caratteristiche del mondo che fa da fondale ma è anche parte integrante delle vicende. Stabilite le regole si poteva osare molto di più, anzi: si doveva. Lo schema del nascondino tra scimmie agguerrite e dotate di tecnologia pari agli anni Sessanta dell’America Settentrionale e gli umani ridotti all’età della pietra funziona per le prime puntate e presto stanca. Il crollo emotivo è palpabile soprattutto se si è spettatori che hanno più di dieci anni e sono stati attratti dal titolo, magari sperando in un’operazione di revival low cost analoga a quella proposta con Star Trek – The Animated Serie. Non basta aver introdotto un’astronauta donna, tra l’altro troppo fragile per quel mestiere e prima a mettersi nei guai e a dover essere soccorsa, per dare nuova linfa. O avere l’astronauta di colore, in un’epoca in cui solo bianchi riuscivano a studiare abbastanza da poter volare tra le stelle. Iniziative apprezzabili ieri come oggi, se avessero dedicato qualche battuta alla definizione dei caratteri, donando un background ai tre malcapitati e esplorando le loro reazioni emotive davanti alla difficoltà di sopravvivere e alla certezza di non poter più far ritorno a casa. Invece i personaggi sono bidimensionali e se un bambino piccolo si diverte con corse e inseguimenti con sparatorie senza conseguenze drammatiche, il teenager o l’adulto si annoiano. Un fan che ha conosciuto i primi cinque film inoltre ritrova alcuni personaggi provenienti da epoche diverse ma accozzati assieme in una vicenda che altrimenti poteva benissimo rispettare il continuum spaziotemporale della saga. Il generale Urko viene dalla serie TV, mentre Zaius, la coppia Zira e Cornelius, e Nova appartengono alla serie di film. Krador e gli abitanti del sottosuolo sono ispirati agli umani mutanti di L’altra faccia del pianeta delle scimmie e di Anno 2670: ultimo atto.
Purtroppo anche senza andare nel realismo crudo le avventure sul Pianeta delle Scimmie hanno una dose di violenza, qui troppo edulcorata proprio come nei cartoni animati destinati ai piccoli. Se la serie fosse stata creata per la fascia d’età pre scuola media, è il soggetto stesso ad essere inadeguato. Si può adattare il Pianeta delle Scimmie, ma al prezzo di così tante edulcorazioni da restituire appena un’ombra di quanto ci ha offerto la filmografia. Se è animazione per adulti, in quel caso gli adattamenti mancano di tanti temi importanti: il Pianeta delle Scimmie è anche una storia di caccia all’uomo, ma va a toccare altri argomenti assai più interessanti. La società ha forti conflitti di classe tra gli altolocati Oranghi, i militareschi Gorilla e i curiosi Scimpanzé. C’è il dibattito tra la fede tradizionale delle Scimmie e le innovazioni portate dalla scienza. La presenza dei sopravvissuti nelle caverne fa pensare alla possibile evoluzione umana e ai rischi di una catastrofe atomica. La scelta di donare la parola a Nova è particolarmente infelice. Nel romanzo e dl film non parla, quindi gli spettatori possono riflettere sulla solitudine del protagonista, emarginato dalle scimmie in quanto umano, e diverso dagli umani regrediti. Sebbene tenti di insegnare alla bella ragazza il linguaggio, la povera creatura non apprende o comunque non va oltre a qualche vocabolo. In pratica si innamora di una persona capace di sopravvivere ma con la maturità affettiva e intellettiva di un bambino. Questi spunti interessanti sono lasciati in ombra dalla serie, che sceglie la semplicità e fatica a trovare un suo spettatore ideale.
Anche l’animazione è povera: riesce sì a raccontare i fatti, ma l’occhio gioisce solo degli sfondi e di alcune rappresentazioni con stencil neri su fondali di colori vivaci. I personaggi sono disegnati in modo estremamente bidmensionale, in modo ancora più semplice dei Masters of the Universe. Se i nerboruti abitanti di Eternia hanno grande dinamismo, in Return to the Planet of the Apes i personaggi si muovono poco, ripetendo più o meno le stesse animazioni in sfondi diversi. Si muove la bocca, ma lo sguardo cambia direzione solo se proprio quel personaggio deve osservare qualcosa di essenziale ai fini della trama.
Tra l’altro il doppiaggio è infame, non tanto per le voci usate che sono belle, quanto per il fatto che i soliti attori devono interpretare più personaggi. Reperibile in Castigliano, ha comunque la stessa piattezza recitativa.
Se siete fan della saga questa serie può essere un’interessante rivisitazione, altrimenti capirete come mai questo show è durato poche puntate, lasciando un finale affrettato. Tanta mancanza di creatività riduce la serie a un prodotto per bambini di poche pretese.
Cuccussette vi ringrazia della lettura.
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