NOSTOS IL RITORNO

 

L’Odissea è stata più volte trasposta per cinema e tv, in pellicole che, riviste oggi, accusano il peso degli anni: effetti speciali superati, caratterizzazione ingenua dei personaggi, stereotipi… Vicende poco emozionanti perché troppo note al grosso pubblico, mentre gli spettatori più smaliziati stentano a ritrovarvi la poesia dei versi di Omero. Neanche l’evoluzione del ritocco digitale può porre rimedio, se a mancare è la capacità di trasmettere le emozioni del poema.

 

Una delle rivisitazioni più suggestive è sicuramente Nostos – Il ritorno, scritto e diretto da Franco Piavoli nel 1989. Il documentarista ha rielaborato le avventure di Ulisse in modo assai personale, coerente con la poetica degli altri suoi lungometraggi (Il pianeta azzurroAl primo soffio di ventoVoci nel tempo). In tutti è lasciato alle sole immagini il compito di raccontare gli eventi, siano essi una Terra vista dal cielo, una giornata vissuta nell’afa della campagna oppure il volgere delle stagioni nel borgo di Castellaro. Un modo di fare cinema, quello di Piavoli, molto distante da quanto di solito oggi fa spettacolo. Il parlato è ridotto al minimo indispensabile e le sequenze si susseguono con una lentezza necessaria alla credibilità della narrazione intimista.

 

Nel caso di Nostos – Il ritorno, la vicenda è ambientata in un imprecisato ma lontano passato, e i pochi personaggi si esprimono in una lingua inventata per l’occasione, un misto di suoni delle antiche parlate del Mediterraneo. La trovata può apparire bizzarra, eppure aiuta lo spettatore a calarsi nella sensibilità di un mondo arcaico, a staccarsi dalle consuete rappresentazioni dei film in costume. L’intensa espressività di Luigi Mezzanotte, attore con alle spalle una solida esperienza teatrale (ha lavorato con Carmelo Bene) compie il miracolo. Poco importa se non sentiamo mai chiamare il suo Ulisse/Odisseo con questi nomi, né si nominano Troia o Itaca. Lo spettatore fa proprie le sonorità di quell’esperanto arcaico, decifrandole in base all’intonazione e al contesto che le accompagna, quasi facessero parte anch’esse della raffinata colonna sonora.

Piavoli racconta il ritorno di un eroe da una sanguinosa guerra. Il viaggio è ostacolato dalle avversità climatiche e presto il protagonista si ritrova solo, ad affrontare i suoi avversari più grandi: i ricordi dolorosi, la paura dell’ignoto, l’immensità del mare. È un percorso di conoscenza di sé, e un cammino di purificazione.

 

Alcuni episodi si accostano al testo omerico, altri se ne distaccano – come è comprensibile date le scelte narrative radicali. La distruzione di Troia è riassunta in un rogo vegliato da una statua di divinità; l’incontro con i mangiatori di loto consiste in una sequenza con uomini nudi distesi su un’arida roccia vulcanica; le sirene divengono foche monache, mentre s’intravede tra le acque una indistinta figura dai lunghi capelli; la fuoriuscita dei venti dall’otre donato all’eroe da Eolo è una tempesta; Calipso offre un momento di eros a cui segue la contemplazione delle onde, e il desiderio ancor più forte di poter riprendere la via. Molte sono le inquadrature ricche di simbolismi; la trasposizione si distacca da una rappresentazione letterale del testo e ne coglie piuttosto la poesia. Di notevole suggestione risulta la sequenza in cui l’eroe varca una porta: con un gioco di prospettiva, la figura del protagonista si staglia all’interno di uno spazio trapezoidale oltre il quale si intravede il cielo.

 

La visione ricorda i riti del mediterraneo, e in particolare un tipo d’iniziazione prevista nello sciamanesimo sardo con l’immersione dell’eletto nell’oscurità dei pozzi sacri in cerca della comunione con la terra e con i suoi misteri. L’impressione di trovarsi davanti a una cerimonia sacra è enfatizzata da un’altra sequenza in cui l’eroe scruta l’acqua e, sulla superficie liquida, si disegna una sagoma luminosa circolare. Secondo alcune teorie, i pozzi sacri erano orientati in base precisi criteri astronomici affinché la Luna ogni diciotto anni e mezzo si specchiasse nelle acque.

 

L’eroe purificato dal contatto con la spiritualità delle forze della natura può finalmente riconciliarsi con sé stesso, e tornare all’innocenza ‘rinascendo’. In questo senso sono notevoli le sequenze in cui il protagonista nuota dentro il tondo riflesso della luna, come uno spermatozoo all’interno di un ovulo. Solo allora, recuperata la purezza originaria, può superare le onde e fare ritorno in patria, in un epilogo che nulla concede alla vendetta perpetrata contro i Proci ma ricorda piuttosto la conclusione di 2001 – Odissea nello spazio: lo scorrere della macchina da presa sulle acque è la discesa dell’astronauta David Bowman verso l’ignoto; le stanze vuote e la tavola imbandita di frutta ricordano la camera in cui l’astronauta cessa di vivere come uomo per rinascere come Bambino Cosmico; la quercia da sughero accarezzata è quasi il contatto della mano con il monolito. La citazione, neppure troppo velata, ben si accorda con il tono onirico e astratto della pellicola.

 

Nostos – Il ritorno racconta una storia immortale con un linguaggio poetico, e fa poche concessioni al gusto contemporaneo: le sequenze erotiche mai risultano volgari, la violenza della guerra viene solo suggerita all’immaginazione, scompare il massacro che chiude il poema così come le peregrinazioni di Telemaco in cerca del padre. I personaggi vengono drasticamente ridotti nel numero e vengono eliminati tutti gli episodi che necessiterebbero di una rappresentazione resa artefatta da effetti speciali, come l’incontro con Polifemo o la trasformazione in porci dei compagni di Ulisse.

La pellicola si allontana con decisione dalle trasposizioni a cui il cinema tradizionale ci ha abituati, anche dalla raffinata miniserie Odissea (1968) di Franco Rossi, Piero Schivazappa e Mario Bava. Quest’ultima introduce il linguaggio dei classici all’interno di un contesto noto, quello di un’avventura epica; compare il coro come in una tragedia greca e i dialoghi riprendono spesso le parole del poeta, accompagnati però da elementi di facile presa, come la disavventura con Polifemo o lo sterminio dei Proci, o la presenza di attori noti al grande pubblico. Elementi appunto assenti in Nostos – Il ritorno.

Il film di Piavoli è poco conosciuto proprio a causa della comprensibilità non immediata. Quanti amano Omero e la sua poesia rimarranno incantati dalla superba fotografia e dalla resa astratta degli eventi; quanti cercano nel cinema una forma d’arte saranno estasiati. Per gli altri, il rischio di annoiarsi è quasi una certezza.

 

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura

La recensione è presente in Terre di Confine https://www.terrediconfine.eu/nostos-il-ritorno/

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