IL MONDO PERDUTO 1998

L’uscita nelle sale di Jurassic Park e dei suoi seguiti ebbe un’eco mediatica tale da rendere potenzialmente interessante qualsiasi soggetto avesse a che fare con i dinosauri. La grafica digitale stava diventando sempre più performante ed economica, tanto che parecchie produzioni televisive potevano permettersi qualche effetto speciale all’avanguardia. Queste riflessioni probabilmente hanno portato all’ennesima trasposizione del Mondo Perduto di Arthur Conan, realizzata da Bob Keen per la televisione nel 1998.
Il regista si è trovato per le mani un soggetto collaudato, ormai troppo noto per poter strappare meraviglia e, con i mezzi di una produzione televisiva, problematico da mettere in scena.
Il romanzo è stato edito nel 1912, in un’epoca in cui ancora restavano angoli di mondo sconosciuti, ed è arrivato sullo schermo per la prima volta nel 1925. La storia del manipolo di raffinati esploratori gentiluomini che sfida i pericoli di un angolo di Terra incognita ha incantato i lettori e poi gli spettatori di ogni età, ci sono stati svariati remake, alcuni motivati dalle migliorie della tecnologia applicata allo spettacolo, altri meno necessari. Tutti i rifacimenti hanno reso la vicenda conosciutissima. Per cercare di renderla di nuovo interessante, Keen ha necessariamente introdotto modifiche.
I fatti sono ambientati in Mongolia invece che in Amazzonia, e avvengono nel 1934 invece che a fine secolo, in modo da poter disporre di una tecnologia più avanzata e poter inserire variazioni sul tema.
Ci sono nuovi personaggi, o piuttosto, personaggi ‘canonici’ pesantemente rivisitati e nuove entrate piuttosto superflue. Tutti appaiono in qualche misura ‘out of character’, o per l’aspetto, o per il carattere, o per l’interpretazione. Challenger (Patrick Bergin) ha perso la barba iconica e il carattere impetuoso; in confronto a come appare descritto nel libro, è un agnellino, non è più lui. Summerlee è senile e chiaramente inadatto all’avventura; pare fare il verso al Richard Attenborough del Jurassic Park, senza però averne il carisma. Malone non deve far colpo su colleghi e donzelle perché trova un’indigena tutta per lui, inventata apposta per avere un personaggio femminile etnico e inserire qualche insipida pausa sentimentale. Amanda White è la figlia dell’esploratore Maple White e c’era già nella prima trasposizione del romanzo, quella del 1925, solamente si chiamava Paula White. Il gruppo è accompagnato da Djena e da Myar, giovani orientali che si offrono di guidare gli esploratori; mentre il ragazzo viene eliminato senza rimpianti dopo qualche sequenza, la ragazza si lega a Malone. Lord John Roxton diventa il villain o almeno, ci prova, perché la caratterizzazione è troppo povera e lontana dall’aristocratico cacciatore incaricato di portare a Londra un animale vivo.
Purtroppo l’introspezione latita, anche per gli standard esigui di un film di avventura creato per la televisione. Mancano pause di riflessione necessarie per far affezionare ai protagonisti e per evitare il ritmo serrato da filmetto horror spaventoso ma non troppo.
Ci si potrebbe chiedere quali personaggi verranno uccisi dai dinosauri per primi, ma la caratterizzazione stessa ci suggerisce chi è destinato a morire, con una sola eccezione.
Se l’imperativo poi fosse il ‘show – don’t tell’, comunque si mostrano troppo poco i sentimenti e il carattere degli esploratori attraverso episodi significativi. 
Diverso è, soprattutto, lo spirito che sostiene le vicende: invece di celebrare l’amore per la conoscenza, la poesia dell’uomo novello Ulisse, il cameratismo tra uomini di scienza, tutto si riduce a uno slasher movie con un cattivo bolso e con personaggi che sembrano ignorare come mai sono in scena. L’epilogo è significativo in questo senso, si distacca dalle pagine e dalle versioni precedenti, eppure soddisfa poco.
Il Mondo Perduto di fine millennio partirebbe bene, la prima mezz’ora è un decoroso film televisivo d’avventura, poi si trasforma in un soft horror a base di improbabili dinosauri, e uomini primitivi vari, in un crescendo di violenza e di prevedibilità. La sceneggiatura di Barry Barnholtz e Omar Kaczmarczyk ha ibridato la storia originale con gli inseguimenti nelle giungle visti nella saga di Jurassic Park. Ha poi giocato la carta del gore, ma si affretta troppo e lo splatter è quello che si può concedere un film da seconda serata. Il ritmo concitato toglie al regista l’arma principale che poteva essere usata quando i soldi sono pochi: far affezionare ai personaggi, creare aspettativa, suspance, far vedere poco e immaginare tantissimo. Invece i modestissimi trucchi vengono esibiti in tutta la loro goffaggine, con dinosauri piccoli e con ingenuità di ogni genere. Sono in parte affidati alla grafica digitale, e più spesso sono tecniche tradizionali con animatronic e effetti ottici vari ritoccati in post produzione.
Il film dovrebbe funzionare senza però avere gli effetti speciali del cult di Spielberg, o anche solo attori convincenti, e purtroppo manca di entrambi. Gli attori sono volti poco noti, stelle di terza grandezza che non sanno se tenere un registro drammatico o ironico, e generalmente sembrano poco coinvolti da quanto accade.
Probabilmente a fine millennio il buonsenso doveva suggerire che certi soggetti non erano ancora a portata di film televisivo…

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

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