LOVE LIES BLEEDING
Il personaggio di Jack lo Squartatore (Jack the Ripper) colpisce l’immaginazione della gente anche a distanza di tanti anni dalla fine dei suoi delitti. L’assassino terrorizzò i bassifondi londinesi tra l'estate e l'autunno del 1888 uccidendo e mutilando prostitute, senza un movente dichiarato e senza farsi mai scoprire. Le vittime furono un numero ancor oggi imprecisato, forse assai più alto dei cinque casi accertati, in quanto la disagiata zona di Whitechappel era teatro di delitti e regolamenti di conti tra criminali.
Naturalmente il cinema ha approfittato del fascino macabro di questo serial killer sospeso tra cronaca nera e leggenda metropolitana, e lo ha immortalato sullo schermo in svariate occasioni, proponendo soluzioni al mistero più o meno credibili, romanzate oppure sostenute da opinioni di storici.
Jack lo Squartatore, o meglio Love lies bleeding è un film australiano e americano diretto dal poco noto William Tannen. Si tratta di una pellicola giunta in sala nel 1999, in anticipo sul famoso From Hell e storicamente altrettanto inattendibile. Love lies bleeding fornisce una versione abbastanza fantasiosa dei fatti, creata per intrattenere spettatori poco esperti di storia e suscitare qualche modesto brivido nel rispetto della sensibilità delle minoranze e dei sovrani britannici. Oggi le teorie più accreditate identificano il serial killer in un membro della famiglia reale, oppure in Aaron Kosminski, un barbiere ebreo, o in altri immigrati. Pur di evitare spiacevoli malintesi, la vicenda scansa le ipotesi più accreditate e narra una diversa versione dei fatti. Protagonista è un’aspirante giornalista, la bella Catherine Winwood. La donna vuole sfondare nella cronaca nera, un campo solitamente riservato ai maschi; è di famiglia ricca e ha idee progressiste rispetto alla morale diffusa, frequenta un chirurgo destinato a divenir primario e ha le conoscenze giuste, un ricco zio e una redattrice femminista che la prende sotto l’ala. Catherine sa quello che vuole e possiede in quantità tutte quelle caratteristiche che oggi rendono parecchi personaggi ‘woke’. A fine millennio si chiamavano Mary Sue, epiteto poco lusinghiero importato dal mondo delle fanfiction. Nei racconti derivati da ambientazioni celebri accanto ai personaggi presenti nella storia originale, spuntano eroine belle, perfette, coraggiose, dette Mary Sue. Sono proiezioni dei sogni mostruosamente proibiti delle scrittrici e perciò sono destinate a rubare la scena a tutti gli altri personaggi. Catherine è un personaggio scritto come uno di questi alter ego letterari e la sua vita si intreccia con i delitti di Jack lo Squartatore. Come giornalista si precipita per prima sulle scene dei crimini, come attivista femminista prende le difese delle prostitute e della povera gente di Whitechapel, e come donna ama un abile chirurgo quando Scotland Yard crede che l’assassino sia proprio un medico…
Preso atto dell’ingombrante presenza della protagonista, lo spettatore è costretto ad accettare anche i tanti alti e bassi della storia che ne derivano. La sceneggiatura perde tempo e fluidità in quanto è obbligata a tessere le lodi di questa donna emancipata, e fatica a dosare romanticismo e orrore. Raramente il film mantiene il ritmo adeguato a una storia di paura, thriller in costume o a un poliziesco a tinte forti. Ci sono alcune scene di nudo e qualche particolare esplicito da horror erotico, manca però una costruzione ben orchestrata della tensione e dei personaggi secondari. I delitti sono raccontati per filo e per segno, telegrafati allo spettatore che ormai è preparato all’arrivo di sequenze gore, sgranocchia popcorn e non salta sulla sedia. C’è il richiamo sessuale più spiccio, in contrasto però con il ruolo attribuito a Catherine. Prima si esalta la donna emancipata e poi si cerca il facile effetto speciale ottenuto con qualche seno al vento tra rasoi e bisturi da autopsie.
In particolare il rapporto sentimentale è il cuore della storia ma purtroppo è gestito in modo discutibile. La storia d’amore sembra idilliaca, con due giovani di successo, ricchi, belli e ambiziosi. Addirittura il bravo medico Jonathan è pronto ad accettare lo stile di vita indipendente della compagna. La trasformazione improvvisa dell’uomo, fatta di sguardi duri e feroci, di reazioni impulsive che contraddicono il carattere mostrato fino ad allora piomba sullo spettatore in modo troppo repentino. Mancano cause esplicite tali da motivare la trasformazione, traumi o comportamenti tali da scatenare il cambiamento. Gli sprazzi di crudeltà sembrano un espediente troppo puerile per allontanare le simpatie dello spettatore da quello che fino a pochi minuti prima sembrava un santo, un luminare della medicina sempre pronto ad aiutare anche i più umili.
Tra l’altro la pellicola ha un titolo ambiguo, con ‘l'amore giace sanguinante’, ma ‘lies’ vuol dire ‘giace ma anche ‘bugie’. C’è l’amore carnale venduto dalle prostitute e vittime fatte a pezzi, e quello di Catherine, destinato a finir lo stesso nel sangue. Ci sono le bugie. Sono tutti elementi che considerati nell’insieme rischiano di accelerare troppo le deduzioni degli spettatori e portarli presto alla soluzione del caso. Non occorre essere Sherlock Holmes per indovinare il colpevole, a metà spettacolo è possibile aver risolto il caso. Le discutibili scelte narrative dello sceneggiatore Tony Rush fanno arrivare al finale già preparati alla tragedia. A quel punto non resta che accompagnare Christine e Jonathan nel loro dramma umano.
A una visione disimpegnata, il film è piacevole, ripercorre i fatti noti inquadrandoli da un punto di vista nuovo e, almeno nel 1999, inusuale. E’ interessante trovare personaggi inventati di sana pianta mescolati a altri esistiti per davvero come l’ispettore Abberline o le prostitute. Il ritmo della narrazione è prevedibilmente brioso, sospeso tra il dramma e l’ironia. Visivamente la ricostruzione della Londra Vittoriana è accattivante, per un film realizzato in anni in cui la grafica digitale era ancora rozza e costosa e quindi dovevano essere scelte location suggestive. Le buone scelte di inquadrature minimizzano l’artificiosità di alcuni set, e i costumi sono un buon compromesso tra aderenza alla Storia e spettacolarità.
Di contro, i protagonisti sono out of character, vivono nel tardo 800 e in parecchi pensano come uomini e donne nostri contemporanei, con un’apertura mentale sconosciuta all’epoca. Ovviamente anche a quei tempi c’erano eccezioni: venivano considerati eccentrici se ricchi o folli se erano di condizione modesta, ed erano una minoranza. Nella pellicola invece sembrano essere in molti. Purtroppo la caratterizzazione troppo moderna penalizza le performances dei due mostri sacri presenti all’interno di un cast modesto, Malcolm McDowell e Faye Dunaway. Lo zio di Catherine (McDowell) incoraggia la nipote nelle sue stramberie, le dispensa buoni consigli, appare quando lei ha dubbi e angosce, come se fosse la Fata Madrina di Cenerentola. La redattrice (Dunaway) pure accoglie Catherine sotto l’ala, la coinvolge nelle battaglie femministe e la spinge a cercare ogni possibilità per fare scoop. Sono due personaggi recitati bene, afflitti dal limite di essere stati scritti in funzione di Carherine. Nonostante abbiano copioni finalizzati al valorizzare la protagonista, la bravura dei due attori contrasta con le prestazioni del resto del cast, ben più modeste. Se Emily Raymond è quasi sconosciuta in Italia e ha un curriculum assai breve anche nel Regno Unito, è proprio perché brilla poco, a dispetto del copione cucitole addosso, su misura. Gli altri ruoli, incluso quello del fidanzato, hanno poche battute, tutte funzionali a far avanzare le indagini.
Il titolo Love lies bleeding potrebbe incuriosire, salvo poi deludere in quanto pur intrattenendo tutti gli spettatori, accontenta (forse) solo platee femminili vecchio stampo, attirate da bei protagonisti e da una storia d’amore. Per gli altri davvero merita il più anonimo titolo Jack lo Squartatore.
Cuccussette vi ringrazia della lettura.
Questa recensione è stata edita da Fendenti e Popcorn. Vuoi adottarla ? Contattami !

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