IL COMMISSARIO RICCIARDI
Le fiction poliziesche abbondano sui teleschermi, con sacerdoti detective, investigatori privati, poliziotti coinvolti in indagini. Il crime piace perché quasi sempre rassicura lo spettatore, certo di vedere i colpevoli assicurati alla giustizia, almeno nella finzione televisiva. Negli ultimi anni sulla scia di serie internazionali quali Shetland, Broadchurch, Gli omicidi del lago, e tante altre, ha preso piede il giallo d’ambientazione regionale, a chilometri zero. Si va dalla Sicilia solare di Montalbano, all’Umbria medievale percorsa dalla bicicletta di Don Matteo, alla Valle d’Aosta di Rocco Schiavone... Al piacere della trama gialla si è aggiunta la promozione turistica delle splendide località che fanno da sfondo alle indagini, posti che lo spettatore può desiderare di scegliere per una prossima vacanza e che in molti casi rubano la scena ai detective. Esce dal coro la fiction Il commissario Ricciardi, basata sui romanzi di Maurizio De Giovanni ( I bastardi di Pizzofalcone), trasposti anche in graphic novel e realizzata nella prima stagione da Alessandro D'Alatri e nella seconda da Gianpaolo Tescari. La serie si basa su due innovazioni rilevanti, capaci di distaccarla dalle altre produzioni: l’ambientazione inconsueta e la presenza del paranormale. Il commissario di polizia Luigi Alfredo Ricciardi vive a Napoli negli anni del Fascismo, piuttosto che in una qualsiasi località del nostro presente. Si vedono le indubbie bellezze di Napoli, ma l’effetto da cartolina turistica è pesantemente smorzato in quanto la città oggi è cambiata e non troveremmo più la stessa atmosfera, i vicoli con i femminielli in bella posa o le piazzette con i carretti di legno che fanno da bancarella, gli scugnizzi per la via o altri elementi di colore locale di un’epoca passata. Qualche agenzia di viaggi propone i Montalbano tour con visita alle locations dell’eroe di Camilleri, se invece proponessero un Ricciardi tour potrebbero ‘solo’ far conoscere dal vivo splendide locations di Napoli già incluse nei giri turistici. Droni riprendono Piazza del Plebiscito o il litorale, le riprese esaltano il Teatro di San Carlo, il Teatro Sannazaro, il Museo nazionale di Capodimonte, Villa Pignatelli, Reggia di Portici, la Basilica della Santissima Annunziata Maggiore, il Palazzo Reale, e il Caffè Gambrinus, monumenti già molto celebri, oppure scorci di Nocera Inferiore, di Taranto e di Capua. Il resto è frutto dell’abilità degli scenografi Carlo De Marino e Gianni Coletti, che rievocano una realtà cupa, fatta di miserie e lussi, e di regime e censura, e lo fanno con un tono claustrofobico e tutto teatrale, impossibile da ritrovare in un tour o da riprodurre ad uso e consumo di turisti in cerca di emozioni.
I toni dark si esasperano con l’entrata in scena del protagonista, Luigi Alfredo Ricciardi (Lino Guanciale). Il poliziotto è di nobili origini, ha soldi e cultura, è giovane e bello e veste con ricercata eleganza, tuttavia ha un doloroso segreto che non osa confidare. Da parte della madre ha ereditato la capacità di poter vedere i fantasmi di persone morte di morte violenta, e ne sente l’ultimo pensiero, ripetuto all’infinito. Il potere paranormale non agevola necessariamente le indagini, e incupisce il povero detective, che continua a vedere le presenze fino a quando non riesce a risolvere i casi, vendicandole. Ricciardi è consapevole di essere succube della facoltà medianica, la chiama ‘il Fatto’ e sa che è ereditaria, gli preclude ogni possibilità di avere una famiglia. Con coerenza alla mentalità dell’epoca, sposarsi per lui implica avere prole.
La scelta di portare il paranormale all’interno di vicende gialle in costume è coraggiosa, e gestita con garbo, proprio come avveniva negli sceneggiati anni Settanta. Gli effetti speciali che creano i corpi eterei sono vistosamente innaturali, ben integrati nel contesto palesemente artificioso delle scenografie. Se il cinema d’oltreoceano tende a voler creare esseri sovrannaturali inseguendo la verosimiglianza, la serie si nega al realismo e mette in primo piano l’atmosfera, rivisitando la narrazione di genere e valorizzandola, fondendo il glorioso passato degli sceneggiati del mistero con le narrazioni contemporanee.
Un aspetto positivo della serie è il non cedere troppo alla tentazione di far agire persone vissute quasi cento anni fa con la sensibilità di oggi. Ci sono i fascisti convinti, quelli opportunisti, un antifascista e il protagonista che non apprezza troppo il Duce ma non si espone, e c’è la gente comune che vive secondo i valori di quei tempi, con pregiudizi, ideali, donne indipendenti ma non troppo, uomini soggetti a norme sociali che comunque condizionano il loro agire e soffocano le loro aspirazioni.
Quanti circondano Ricciardi seguono stereotipi abbastanza consueti, con personaggi più o meno tipici del genere poliziesco, dall’onesto brigadiere Raffaele Maione (Antonio Milo) padre di famiglia oppresso dal peso della morte del primogenito, al medico legale Bruno Modo (Enrico Ianniello) apertamente antifascista, alla governante Rosa Vaglio (Nunzia Schiano) da sempre al servizio della famiglia Ricciardi, al vicequestore Angelo Garzo (Mario Pirrello) superiore del protagonista e fervente fascista, al femminiello Bambinella (Adriano Falivene) informatore del brigadiere... sono personaggi ormai resi classici dalla cinematografia poliziesca, funzionali alla storia e tutti, per qualche motivo, infelici o incompleti, qualsiasi sia lo status sociale, la professione o le idee politiche. Non è solo il regime a dare un tono cupo alla narrazione, piuttosto sono le tante declinazioni dell’infelicità a accentuare l’ombra della dittatura. Anche se vivessero senza l’onnipresente culto del Duce, sarebbero comunque oppressi da tragedie e drammi personali. Sono personaggi secondari ricchi di umanità, interpretati da bravi attori con esperienza sia di cinema che di teatro e le performances sono di tipo teatrale, valorizzate dall’abbondanza di primi piani e da un montaggio lento che lascia il tempo agli spettatori per apprezzarli e seguire le deduzioni del poliziotto.
Abbastanza stereotipata è la storia d’amore vissuta da Ricciardi, attratto dalla cantante Livia ( Serena Iansiti ) e dalla timida maestrina dirimpettaia Enrica Colombo (Maria Vera Ratti). In molti casi la narrazione scivola nel melò, e forse quei momenti sono l’unica vera concessione al gusto commerciale, in quanto una fiction che manchi di sequenze sentimentali è mal proponibile sul mercato. Purtroppo gli sceneggiatori Salvatore Basile, Viola Rispoli, Maurizio De Giovanni, Doriana Leondeff si sono trovati a dover includere questi elementi concedendo loro parecchio minutaggio, sui 100 minuti previsti dal format delle dieci puntate, sei per la prima stagione e quattro per la seconda. Si ha la sensazione che la storia d’amore sia prolissa, e riconduca la narrazione verso quanto di solito si vede nelle fiction nostrane. Nella necessità di dover dare spazio alla sottotrama romantica, almeno viene sfruttata per sottolineare la solitudine del protagonista, metter in luce i costumi dell’epoca e il senso di mancanza di libertà che affligge tutti quanti, almeno per quegli spettatori che apprezzano una doppia lettura degli eventi e non si fermano a guardare le grazie dei protagonisti.
Tra i prodotti realizzati in Italia negli ultimi quindici anni Il Commissario Ricciardi appare come un prodotto confezionato con creatività, con un occhio volto al presente e uno sul passato. Purtroppo la notevole qualità narrativa della prima stagione cala rispetto a quella della seconda, che si rivela più breve, con i personaggi fissi nei loro ruoli ed incapaci di evolversi per davvero. Alcuni addirittura involvono, come Livia: da coraggiosa ricca vedova pronta a vivere una relazione più libera di quanto non concepisca la morale comune, si ritrova a casa a spasimare per il bel commissario come una damina ottocentesca. E’ un vero spreco, considerando che nella serie i ruoli femminili sono quelli più forti, capaci di superare le avversità. Sfiora il ridicolo la defunta governante che appare in uno specchio e continua a dare consigli al suo protetto. Il Brigadiere è poi sotto sfruttato, proprio lui che tra i personaggi secondari era forse quello più umano e toccante. Continua a esercitare il suo mestiere e adorare la famiglia, ma questo ce lo avevano già raccontato. Davanti alla piattezza dei comprimari non bastano più i fantasmi posticci o le scenografie della Napoli di ieri, per interessare lo spettatore. Difficile immaginare una terza stagione, che copra tutti i romanzi finora usciti, anche perché prevedono eventi molto drammatici, con l’uscita di scena di alcuni coprotagonisti: bisognerebbe osare tanto.
Cuccussette vi ringrazia della lettura.
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