SHERLOCK HOLMES E LA CORONA DI INGHILTERRA
Sherlock Holmes, il celebre investigatore creato da Arthur Conan Doyle (1859-1930), ebbe un successo immediato. Divenne così popolare che quando lo scrittore scozzese volle farlo morire per potersi dedicare ad altri progetti letterari, ci fu una protesta popolare tale da convincere l’autore a resuscitare il personaggio. Accanto alle opere accreditate fiorirono tanti romanzi apocrifi, veri antesignani delle fanfiction che oggi spopolano nel web. Fino a qualche anno fa questi gialli fatti in casa da appassionati erano esclusi dal circuito commerciale, in quanto i diritti d’autore durano per 70 anni dalla morte dell’autore nel Regno Unito e nei paesi dell’Unione Europea e scadono prima per le leggi americane. Dal primo gennaio 2001 i diritti d'autore sono scaduti: è stato possibile usare liberamente Holmes e Watson, e dato che i due investigatori ancora riscuotono le simpatie della gente, editoria e cinema si sono sbizzarriti.
Sherlock Holmes e la corona d’Inghilterra è un film del 2010 diretto da Rachel Goldenberg e prodotto dall’Asylum, casa famosa per i suoi b-movies che imitano titoli celebri riprendendo personaggi e situazioni. Si tratta di mockbusters realizzati con pochi mezzi, creati con l’intento di andare direttamente sul mercato dell’home video o dello streaming. Ovviamente la povertà è ben visibile, gli attori sono volti sconosciuti e spesso sono inadatti ai ruoli che dovrebbero interpretare, le sceneggiature si arrabattano sfruttando effetti speciali pacchiani, e il trash domina sovrano, anche perché i soggetti che implicano mostri, astronavi, fantasmi e catastrofi necessiterebbero di ben altri capitali alle spalle.
Questa avventura di Sherlock Holmes in parte sfugge agli standard proverbiali dell’Asylum.
Watson morente detta alla sua badante i ricordi di una sua avventura con Holmes, avvenuta molti anni prima e sempre taciuta dal detective in quanto rivela particolari dolorosi della sua vita privata. Nel 1882 Holmes si trova ad investigare sull’affondamento di una nave ad opera di un misterioso mostro, forse il leggendario Kraken. Il detective crede che le farneticazioni dell’unico marinaio superstite abbiano un fondo di verità. La paura si fa più concreta quando in città viene avvistata una sconosciuta belva che uccide e terrorizza gli abitanti dei bassifondi. Si tratta di un dinosauro, e il ritrovamento di un frammento di gomma suggerisce che si tratti di un automa. I due detective poco a poco svelano il mistero, portando alla luce un drammatico segreto nel passato della famiglia Holmes…
La pellicola è chiaramente modesta sotto tanti aspetti, come è prevedibile attendersi con simili premesse, tuttavia riserva anche qualche piacevolezza.
La piovra e il mini tirannosauro sono visibilmente finti ed esibiti senza ritegno, e tanta approssimazione potrebbe essere accettabile in quanto l’intreccio stesso prevede che i mostri siano macchine. Quando compare il drago ormai è ovvio che si tratta di un velivolo adatto ad attaccare dall’alto, come un areoplano. Invece le esplosioni e gli incendi hanno l’aria di essere state aggiunte sulla scena da una postproduzione maldestra. Le location, quando non sono ambienti ricostruiti in studio grazie a un’indecente grafica digitale come il centro di Londra teatro dello scontro finale, sono monumenti minori del Galles sfruttati per l’occasione, il Gwydir Castle, la Glynllifon Mansion, le strade antiche di Caernarfon…di per sé una scelta azzeccata, comune a tante produzioni in costume britanniche.
La fotografia fa miracoli per donare un tocco antico alle sequenze, sebbene le scene di azione con movimenti di macchina quasi casuali o a mano libera risentano di questa scelta tecnica e male rivaleggino con quanto si vede di solito in film più blasonati.
Watson (Gareth David-Lloyd, noto per aver interpretato Ianto Jones in Torchwood) rende bene la descrizione libresca mentre Sherlock (l’esordiente Ben Syder) è un omino basso e magrolino con una faccia da schiaffi e semmai ricorda Rathe, l’avversario del detective in Piramide di paura – Young Sherlock Holmes.
Si potrebbe perdonare la licenza estetica, in fondo tante produzioni attuali ci chiedono uno sforzo analogo tra cambi di genere e di etnia spesso arbitrari. Vedere un Holmes lontano dai canoni proposti prima delle illustrazioni d’epoca e poi dalle performance di Basil Rathbone o Jeremy Brett obbliga più o meno alla stessa elasticità mentale.
Il nostro eroe però declama le sue deduzioni e poi osserva da vicino i reperti che dovrebbero guidare le sue elucubrazioni. Trae le conclusioni prima di esaminare, e questo è l’errore più evidente e imperdonabile, quello che declassa la pellicola a un b-movie. Le altre ingenuità sembrano perdonabili in quanto sono la conseguenza diretta dei pochi mezzi, questi errori invece sono provocati direttamente dalla sceneggiatura di Stephen Fiske, che lascia anche altri vuoti nell’intreccio e prevede copioni con battute un po’ scontate per tutti.
Non piacerà ai puristi di Sherlock Holmes anche la scelta di dargli un primo nome, Robert, e un fratello che non è Mycroft ma è Thorpe Holmes, il cui passato si intreccia con quello dell’Ispettore Lestrade.
Le altre trovate sono tutto sommato spassose, in quanto la pellicola imbocca la strada dello Steampunk più esplicito, con tanto di scienziato pazzo con l’armatura da robot fatta col rame rubato, con un’algida donna meccanica pronta a fare da kamikaze, col rocambolesco scontro finale tra l’avversario a bordo di un drago meccanico e Holmes su una mongolfiera tecnologizzata al massimo.
Non è la solita baracconata targata Asylum, proprio perché gli attori si difendono, il ritmo è abbastanza sostenuto e la vicenda esaspera le suggestioni Steampunk. In questo modo si distacca dagli stereotipi più triti che spesso caratterizzano le pellicole ispirate ai personaggi di Conan Doyle ma non tratte direttamente dai libri. Da vedere, per crederci, a meno di essere fan irriducibili.
Cuccussette vi ringrazia della lettura.
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