ASTRONAUT - THE LAST PUSH

La ricerca del senso della vita è la protagonista del film Astronaut - the last push, scritto e diretto da Eric Hayden nel 2012. E’ una storia di esplorazione spaziale sui generis: quando immagini di creature simili a balene giungono dalla luna di Giove Europa, viene approntata una missione esplorativa. Due sono gli astronauti a bordo della Life One, un veicolo spaziale costruito da Moffit Industrie, Nathan Miller (James Madio) e Michael Forrest ( Khary Payton). Viaggiano in animazione sospesa in quanto la missione prevede una durata di svariati anni. Un incidente provoca la morte di Miller e Forrest si trova a dover tornare indietro con la nave compromessa da svariate avarie. Durante i due anni del viaggio di rientro ha tutto il tempo per riparare i guasti e per riflettere sul senso della vita, e sulla sua scelta…
Astronaut – the last push spiazza lo spettatore, soprattutto quello che si immaginavano esplorazioni spaziali stile Star Trek, con extraterrestri e razzi e tanta azione. Gli alieni ci sono e sembrerebbero simili a balene, però non avviene il contatto e la loro presenza è limitata a poche immagini statiche, a foto che suggestionano la curiosità dei terrestri e li spingono a organizzare il volo. I razzi non sono le comode astronavi del Capitano Kirk, capaci di attraversare il cosmo in pochi giorni, popolate da decine di esploratori dello spazio e dotate di ogni comodità immaginabile. L’astronave è una versione più avanzata di quanto oggi abbiamo sulla stazione internazionale che orbita attorno al nostro pianeta, è realizzata in modo spartano e dotata di una tecnologia abbastanza verosimile che concede pochi comfort ai viaggiatori. Di conseguenza i due astronauti quando si destano dal sonno indotto condividono spazi ristretti e bui, devono fare i conti con una durata del viaggio calcolata in anni e sopportare i disagi dei pochi metri quadrati disponibili. L’atmosfera è claustrofobica e opprimente a prescindere dal carattere degli astronauti e dagli imprevisti che funestano il viaggio. Con la morte di Miller il protagonista rimane solo con i suoi pensieri, occupato a sopravvivere senza impazzire per la solitudine. Come se non bastasse è tormentato dalla consapevolezza che, in caso di fallimento, la missione verrà annullata e per decenni, forse per secoli, l’umanità rinuncerà ad esplorare il cosmo.
Ci sono gli effetti speciali, ovviamente, perché è pur sempre un’avventura tra le stelle, ma non la fanno mai da padrone. Lunghe suggestive sequenze descrivono il ruotare concentrico del velivolo, i pianeti a cui si avvicina per sfruttare l’effetto fionda e venir diretto verso l’ignoto o verso la Terra. Tutto il sense of wonder è funzionale alle riflessioni dell’astronauta, al motivare pienamente la sua scelta finale apparentemente folle se ponderata col buon senso dell’uomo comune. Fatta ammirare la maestosa immensità del cosmo, si giustifica la risposta che Forrest si dà e porge alla Terra in un ultimo messaggio\monologo. E’ una scelta coraggiosa e coerente, in quanto questo film è tutto tranne che una storia di sopravvivenza nello spazio, o una sorta di Robinson Crusoe riadattato in versione spaziale. E’ invece una pellicola intimista e coraggiosa sulla ricerca del senso profondo della vita e quindi le risposte saranno quelle che appagano l’animo di questo astronauta, piuttosto che quelle che avrebbero rassicurato molti spettatori.
Forrest è un novello Ulisse, che torna a Itaca e messo sul trono Telemaco riparte verso l’ignoto, e la sua presa di coscienza è tutta individuale, mal condivisibile da una platea che quasi sicuramente ragiona in modo diverso. L’empatia con il protagonista è quindi più che mai subordinata all’accettare o meno il suo punto di vista.
Ci sono poi le allucinazioni del povero superstite, che ha davanti la scelta tra morire tra una manciata di anni come un uomo qualsiasi, tornando sulla Terra vivo ma sconfitto, oppure completare la missione in solitaria, probabilmente finendo i suoi giorni tra le stelle quando termineranno cibo, acqua o ossigeno oppure avverrà un nuovo incidente.
Il ritmo narrativo appare lento, e delude quanti sono abituati alle sequenze di azione adrenaliniche tipiche del cinema di genere fantascientifico attuale. C’è l’incidente, ci sono le avarie, e tutto è raccontato senza sequenze mozzafiato tali da scatenare tensione nella platea, proprio perché lo scopo è far vedere la maturazione, il cambiamento che avviene nel protagonista che impara ad essere un eroe.
La pellicola alterna riprese negli angusti ambienti del modulo abitativo a sequenze stile mockumentary, con i messaggi di incoraggiamento registrati sulla Terra e con le interazioni con la Moffit Industrie. In teoria questo soggetto potrebbe funzionare bene anche a teatro, sfruttando una scenografia con grandi schermi per proiettare i panorami dello spazio e dei pianeti, le trasmissioni registrate sulla Terra o i dialoghi col comando della missione.
Purtroppo quando uno spettacolo si basa soprattutto sulla performance di un unico attore, questi ha da essere più che bravo. Le parti assegnate al responsabile della missione sulla Terra, ai vari messaggi, lo stesso copione del copilota Miller sono tutto sommato brevi. La storia grava su Khary Payton che se la cava modestamente, senza infamia e senza gloria. Non è un fatto di presenza scenica, di bell’aspetto, anzi, l’attore accontenta l’occhio e finalmente c’è un protagonista di colore in un ruolo che non impone di esserlo, ma funziona poco in quanto sarebbe stato necessario un interprete dotato di grande carisma e capacità interpretative sopraffine.
Si ha l’impressione di un film fatto in economia, e in parte Astronaut – The last push è anche questo, come rivelano gli allestimenti spartani, gli effetti speciali sottotono e il cast di professionisti poco noti al grande pubblico. Tutti gli attori hanno un lungo curriculum di ruoli secondari, o sono poco più che comparse.
C’è da dire che probabilmente, se fosse stato un film di serie A, la libertà narrativa ne avrebbe risentito e sarebbe scivolato negli stereotipi dei ‘soliti’ esploratori spaziali, magari celebrando i valori più condivisi, tradizionalisti e collaudati. Invece è un B-movie che fa pensare e scardina la visione rassicurante dell’eroe. Buon viaggio Michael Forrest!

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

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