LE AVVENTURE DI SHERLOCK HOLMES - serie Granada Television
Sherlock Holmes, il famoso detective nato dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle, è stato e resta un vero fenomeno di costume. Ha raccolto consensi e ha sviluppato quella che oggi si direbbe una fanbase di ammiratori fino al suo apparire, nel lontano 1887, con Uno studio in rosso. Il successo letterario è stato immediato, e nel corso degli anni i libri sono diventati classici, esempi di longseller d’autore capaci di conquistare lettori in tutto il mondo. Non sorprende che al diffondersi delle televisioni nelle case il detective sia stato trasposto in svariate serie tv, più o meno aderenti al testo.
A fine anni Settanta i film con Basil Rathbone come protagonista soddisfacevano poco, in quanto lo stile della regia era decisamente invecchiato, essendo stati girati negli anni Quaranta; la durata di circa ottanta minuti li rendeva più simili a telefilm lunghi e come tali vennero proposti. Le serie con Peter Cushing era andata perduta, tanto che oggi ne sopravvivono pochi episodi. In entrambi i casi il sobrio ed elegante bianco e nero, gli intrecci che privilegiavano la recitazione sull’azione pure presente nelle opere originali, apparivano datati. Per i cinefili erano pregevoli classici, per il grosso pubblico erano ormai troppo lontani da quanto si vedeva comunemente nei palinsesti televisivi. Lo sceneggiato italiano con Gazzolo aveva ritmi da teatro, e anche se ben recitato appariva fuori moda, più lontano che mai dallo stile cinematografico.
Nel 1979 venne realizzato Sherlock Holmes e il Dottor Watson, gustoso telefilm anglo polacco che condensava alcuni casi in soli venticinque minuti, semplificando parecchio gli intrecci. I fan erano soddisfatti in parte, in quanto l’adattamento tagliava parecchi momenti delle indagini e la realizzazione risentiva di mezzi limitati. Come se non bastasse, era composta di un’unica stagione.
A risollevare l’umore degli appassionati fu la serie realizzata dalla Granada Television tra il 1984 e il 1994.
Stavolta, pur con i limiti di una produzione televisiva, e con qualche libertà narrativa, la resa della pagina è molto fedele. Sono stati adattati ben quarantuno dei sessanta racconti e romanzi scritti da Doyle, con trentasei episodi della durata di circa cinquanta minuti, e cinque speciali con il minutaggio di un film da sala. Nei dieci anni necessari alla realizzazione sono state trasmesse quattro stagioni, ciascuna intitolata come una delle raccolte di racconti: Le avventure di Sherlock Holmes (The Adventures of Sherlock Holmes, per 13 episodi), Il ritorno di Sherlock Holmes (The Return of Sherlock Holmes per altri 13 episodi), 9 episodi per Il taccuino di Sherlock Holmes (The Case-Book of Sherlock Holmes), e infine Le memorie di Sherlock Holmes (The Memoirs of Sherlock Holmes, in 6 episodi). La scelta dei soggetti non segue l’ordine scelto dall’Autore; vengono trasposte per prime quelle storie che meglio si prestano alla narrazione con il media televisivo. Viene dato per scontato che Holmes e Watson lavorino assieme ai casi, vengono presentati già affiatati e pronti per l’azione. Vero mattatore è Jeremy Brett, che dà vita a un memorabile Sherlock Holmes. Questo attore britannico resta ancor oggi per molti fan il miglior compromesso tra il rispetto del ‘canone’ e della descrizione libresca del personaggio, e quanto attraverso i vari media si è impresso nell’immaginario collettivo. Eccentrico, a suo modo affascinante, si rivela poco disposto a rispettare le norme sociali o a empatizzare con vittime o carnefici. E’ un eroe asessuale o meglio sapiosessuale dato che è attratto dall’intelligenza sopraffina della Adler, e si dimostra insensibile al fascino delle clienti, potenziali vittime che non brillano per acume e sono incapaci di difendersi da sole. Lo Sherlock di Brett ha una recitazione di stampo teatrale, può apparire esagerato nelle sue reazioni, nelle battute declamate con convinzione e gestualità perfettamente dosata ma istrionica. O si ama o si odia, a seconda dell’idea dell’investigatore che lo spettatore si porta dietro. Del resto Holmes non è un uomo comune; l’interpretazione sopra alle righe rende un personaggio straordinario e risponde alle richieste dei fan più esigenti, senza trascurare la possibilità di attrarre nuovi appassionati.
Lo spettacolo mai scade in rappresentazioni truculente dei delitti o delle scene del crimine, sebbene narri storie gialle con delitti e violenza; i particolari crudi restano omessi, lasciati immaginare oppure vengono inscenati senza troppi compiacimenti. Holmes conquista spettatori anche tra i più giovani, in quanto a loro appare come un super eroe che non disdegna lo scontro fisico, a differenza delle precedenti incarnazioni del detective, meno inclini a travestimenti, inseguimenti, e azione. Proprio la popolarità del telefilm tra i giovani spinge Brett a apportare una variazione al suo personaggio: viene mostrato il detective intento a seppellire la siringa, abbandonando il vizio della droga che invece è presente nelle opere di Doyle, vissuto però in un’epoca in cui si ignoravano gli effetti della dipendenza ed era legale.
Brett regge lo show e quasi ci si dimentica come tra la prima e la seconda stagione sia stato cambiato l’attore che interpreta il dottor Watson. David Burke viene sostituito da Edward Hardwicke, e la variazione incide poco sulla qualità delle vicende. Entrambi gli attori sono capaci, il dottore è ritratto come un uomo capace e affidabile, non dotato dell’acume di Holmes ma nemmeno stupido o buono per regalare qualche pausa comica. Watson ha la sua dignità, tuttavia è Brett a rubare la scena, tanto che, alla sua prematura morte avvenuta nel settembre del 1995, la serie venne interrotta. Sembrava improponibile trovare un nuovo interprete all’altezza, nonostante i sintomi del declino fisico e mentale di Brett fossero da tempo fin troppo evidenti. L’attore soffriva di sindrome bipolare e anche di gravi problemi cardiaci; ingrassato dal litio contenuto nei farmaci, dalla terza stagione in poi assomiglia molto meno all’idea di Sherlock Holmes che la gente di solito ha. Lo straordinario talento di Brett gli ha consentito di andare avanti nonostante tutto, perché come affermava, «Ma, miei cari, lo spettacolo deve andare avanti», e è andato avanti fino all’irreparabile.
La differenza qualitativa tra i primi ventisei episodi, e le altre stagioni è in parte dovuta al tracollo fisico e mentale dell’interprete: nelle Memorie di Sherlock Holmes l’attore compare poco, in un episodio si limita a fare un cameo. Le sceneggiature di solito seguono il più fedelmente possibile le pagine, e invece sono state costrette ad assecondare gli sbalzi d’umore e le ridotte capacità fisiche del pover’uomo. Il dramma di Brett, aggravato dalla forte dislessia e dall’essere rimasto vedovo è però solo una delle concause del calo qualitativo degli episodi. La produzione ha sfruttato subito tutto il materiale più adatto alle trasposizioni lasciando i racconti meno adatti per ultimi. Oltre a questi due fattori, anche i mezzi a disposizione probabilmente sono meno abbondanti, e l’ultima stagione sembra vivere di rendita, sfruttando monumenti e residenze d’epoca e i set costruiti a grandezza naturale negli studi della Granada. Anni fa facevano parte del circuito per i visitatori, erano una vera e propria attrazione turistica, oggi scomparsa in quanto sono stati demoliti.
Nonostante gli alti e bassi, la serie è stata accolta con entusiasmo dai fan del detective, spesso assai critici verso produzioni poco rispettose delle situazioni e della natura dei personaggi. Le polemiche su interpretazioni dei personaggi troppo lontane dalle pagine non è un’invenzione contemporanea nata in odore di ideologie woke: accompagna qualsiasi trasposizione di personaggio di saga letteraria famosa, e Sherlock Holmes non è immune dalle critiche degli appassionati. In questo caso la scomparsa dell’attore protagonista ha avuto come conseguenza una mitizzazione del ‘suo’ Sherlock Holmes, anche negli episodi meno riusciti. A distanza di tanto tempo per molti Brett è il migliore Sherlock Holmes, con buona pace della versione fracassona di Robert Downey Jr, o della rivisitazione (post)moderna creata da Moffat.
Oltre alla fedeltà iconografica e a copioni più che adeguati, gli spettatori trovano un cast formato da attori esperti, e una rappresentazione della Londra Vittoriana credibile e ben fatta. La Londra in cui si muovono Holmes e Watson è verosimile, soprattutto se si pensa che è “solo” un telefilm, un tipo di prodotto di consumo che raramente poteva, soprattutto in passato, rivaleggiare con le ricche pellicole destinate alle sale. Oltre alla ricostruzione di Baker Street, vengono sfruttati monumenti storici d’epoca, i costumi e gli accessori tendono a essere credibili, o almeno sono un buon compromesso tra la moda del periodo e i canoni estetici attuali.
Le caratteristiche positive e l’affetto dei fan hanno giustamente reso onore a questa serie, trasformandola in un piccolo classico capace di intrattenere con intelligenza anche a distanza di tanti anni.
Cuccussette vi ringrazia della lettura.
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