A COME ANDROMEDA

Nei primi anni ’70 la televisione era assai diversa da quella che conosciamo oggi: c’erano solo due canali, le  trasmissioni erano limitate alle ore di maggiore ascolto, i programmi erano destinati ad essere visti da tutta la famiglia riunita, e replicati più volte. Gli sceneggiati, ovvero le trasposizioni di romanzi, biografie oppure opere originali create per la TV. Qualche volta questi antenati delle miniserie erano memorabili, e in mancanza di videoregistratori, grandi e piccini continuavano e parlare delle scene più emozionanti. Talvolta il risultato invece era imbarazzante, soprattutto per quanti erano abituati al cinema internazionale con attori ed attrici dalla bellezza  esplicita, riprese in esterno e ritmo narrativo vivace. I  toni pedanti e troppo esplicitamente didattici potevano irritare gli spettatori più colti e smaliziati, mentre i ritmi lenti da teatro applicati indiscriminatamente a testi con maggiore azione scenica rendevano goffamente gli intrecci d’azione. Con tutti i possibili limiti, lo sceneggiato era un evento che incollava la gente al divano per un numero di puntate ben stabilito, e spesso restava nella memoria.
‘A come Andromeda’ è uno degli esempi meglio riusciti di questo genere, e testimonia nel bene e nel male come è stata la televisione prima della diffusione delle reti commerciali. E’  diviso in cinque puntate, ed è un remake del britannico ‘A for Andromeda’. E’ molto difficile capire quanto le cinque puntate del prodotto nostrano debbano alla versione della BBC, poiché l’originale, proprio come le prime stagioni di Doctor Who e tante altre produzioni divenute poi cult, è andato perduto per quasi l’intero minutaggio. Entrambe le opere sono trasposizioni da  un omonimo romanzo di fantascienza scritto dallo scienziato  Fred Hoyle e e dallo sceneggiatore John Elliot, La versione italiana è stata Inisero Cremaschi, scrittore di genere.
Andromeda è un personaggio della mitologia greca che dà il suo nome ad  una costellazione nella Via Lattea, la più vicina alla Terra. Nella vicenda televisiva, dalle stelle di Andromeda giungono sulla Terra degli strani segnali. Vengono captati grazie ad un sofisticato radio telescopio situato in piena campagna nel Regno Unito. Gli impulsi vengono “letti”: sono formati da sequenze di 1 e 0, il sistema binario che era (ed è tutt’ora, anche se non ce ne accorgiamo più, a causa delle accattivanti interfaccia ) la base del funzionamento dell’informatica. Paginate di 1 e di 0 arrivano al  potente radiotelescopio, proprio alla vigilia della sua inaugurazione. Lo scienziato Fleming, responsabile delle ricerche astronomiche, riconosce nelle sequenze un messaggio proveniente da una galassia lontanissima. Sulle prime la sua curiosità fa di tutto per scoprire la natura della comunicazione, poi subentrano dubbi e scrupoli di ogni genere. La trasmissione, una volta decodificata, si rivela essere un manuale di istruzioni per assemblare un potente computer capace di comunicare con lo spazio. La  macchina viene costruita e dimostra subito la sua indiscussa superiorità sugli esseri umani che la circondano. Per quanto sia contenuto in un involucro apparentemente simile a tante pareti attrezzate di laboratori, e la superficie sia coperta di pulsanti, il calcolatore elettronico è così avanzato da poter creare artificialmente un essere umano. Queste trovata potrebbe apparire illogica, infantile o dettata dal bisogno di limitare gli effetti speciali piuttosto che mostrare realtà troppo avveniristiche con trucchi dozzinali. In parte è vero, gli effetti speciali sono decisamente sottotono e con intelligenza hanno cercato di minimizzare la povertà, anche scegliendo un sobrio bianco e nero per le riprese. E’ altrettanto vero che i computer si sono diffusi a macchia d’olio solo quando l’interfaccia con gli utenti è diventata meno “tecnica”, con il colorato Windows invece delle complicate stringhe della programmazione.

Una volta costruito il super calcolatore, questo fornisce formule chimiche che permettono di sintetizzare cellule viventi e di creare quindi la vita. Lo scienziato passa dalla curiosità all’orrore. E’ convinto che la macchina altro non sia che un' appendice di un'intelligenza superiore che cerca il dominio sulla Terra. Tenta invano di fermare gli esperimenti: nonostante i vari incidenti che accompagnano le ricerche, si giunge alla "creazione" in laboratorio di una donna. Nasce così “Andromeda", creatura sintetica che ha aspetto umano, ma non lo è del tutto, in quanto non sembra provare sentimenti e comunica con il computer, trasmettendogli dati. Sarà proprio la dipendenza della creatura dal suo creatore a causarne la rovina, in un finale coerente e un po’ prevedibile.                      
"A come Andromeda" è il primo vero sceneggiato televisivo di fantascienza anche se, molto probabilmente, la RAI credeva poco in un argomento così poco tradizionale. L’indizio più evidente dei dubbi nelle scelte produttive è probabilmente la sotto trama gialla, che mi è parsa posticcia e un po’ gratuita. "A come Andromeda" non aveva assolutamente bisogno di un intrigo spionistico, a complicare e pasticciare gli eventi. La storia si regge benissimo da sola, senza dover appoggiarsi ad altri generi pur di garantirsi il successo. La spy story è stata introdotta per fare accettare l’insieme anche a quanti non erano appassionati di fantascienza…cioè al grosso degli spettatori, abituati alle gesta di Maigret o del Tenente Sheridan o alle biografie romanzate. Dello stesso impasto giallo - fantastico sono intrisi anche i grandi “Segno del Comando”, "Gamma” e "La traccia verde ", proprio perché pur volendo sperimentare generi nuovi, la R.A.I. voleva garantirsi un audience ampio e diversificato
L'emozione più vecchia e più forte del genere umano è la paura e la paura più vecchia e più forte è quella dell'ignoto"  scrisse H. P. Lovecraft. A patto che si sappia rendere la giusta atmosfera a chi ci guarda o ascolta, la “regola” espressa dal grande autore horror si dimostra azzeccata anche in questo caso. Vittorio Cottafavi, regista di peplum prestato alla televisione, è stato abile nel creare quest' atmosfera di meraviglia e di paura dell'uomo nei confronti di questa fredda intelligenza superiore. Dapprima gli scienziati sono sbalorditi dall'imponenza e dalla bellezza del calcolatore elettronico che pulsa e studia l'uomo attraverso i due terminali discoidali che lo attirano inesorabilmente. Sono estasiati dai risultati raggiunti grazie alla prodigiosa macchina, eppure provano anche timore per la creatura che ne scaturisce. La donna creata è uguale nelle sembianze ad un essere umano, però è una macchina nel comportamento e nell'assenza, almeno iniziale, di emozioni. Il ruolo di Andromeda è difficile da inscenare, per la necessità di rappresentare questa creatura fredda e imperscrutabile e per questo affascinante e misteriosa e al tempo stesso inquietante. In realtà la stessa attrice interpreta anche, nella prima parte, il ruolo di un'assistente. In un'indimenticabile sequenza di grande tensione viene attirata dai terminali a disco del calcolatore. Li tocca con le mani nude restando così uccisa dalla scarica elettrica, ma permettendo al computer di ricevere le informazioni necessarie per la "clonazione".
Sono le interpretazioni degli attori, e la sceneggiatura che costruisce meticolosamente la suspance, a rendere questo sceneggiato indimenticabile. Luigi Vannucchi e Paola Pitagora da soli varrebbero la visione, e anche i comprimari sono professionisti affermati. Nicoletta Rizzi è l’insipida scienziata che fornisce il modello per Andromeda, e Andromeda stessa. Ovviamente la recitazione è di tipo teatrale, come era normale nei prodotti televisivi del periodo. Gli attori sembrano impacciati nelle poche sequenze in cui c’è un minimo di azione, ma rendono al meglio i personaggi nei loro conflitti e nella loro evoluzione. Tutti hanno sentimenti ben descritti, come è giusto in una vicenda di fantascienza intimista e speculativa, altrimenti povera di colpi di scena, inseguimenti e sparatorie, razzi e mostri... C’è il dramma di Fleming, uomo sospeso tra la sua curiosità da scienziato, il terrore e il fascino della creatura né donna né macchina e nemmeno, esteriormente, aliena. E quello di Andromeda, creatura sintetica che impara il valore dei sentimenti ma non sa e non può farli propri. C’è il mondo scientifico con i suoi segreti, le omissioni, l’entusiasmo e la spietatezza, e un clima da Guerra Fredda oggi superato ma allora assai attuale.
Gli effetti speciali sono esigui, anche per gli standard televisivi del periodo. Si mostra pochissimo, si lascia immaginare parecchio grazie a dialoghi efficaci e a una sceneggiatura che asseconda l’intimismo. Tanta parsimonia funziona poiché la storia è breve e si sviluppa in sole cinque puntate; non ha bisogno di mostrare alieni, razzi o scenografie ricostruite in studio, magari con robot ricavati da bidoni dell’immondizia o astronavi appese al lampadario.
A come Andromeda è girato quasi tutto in interni spogli, a parte brevi incursioni in location particolari, ma pur sempre a buon mercato. Capo Testa, sulla costa sarda nei pressi di S. Teresa di Gallura, con i suoi paesaggi lunari rappresenta la località scozzese dove avvengono gli esperimenti scientifici. La vasta costruzione che appare nella sigla della prima puntata, quando i giornalisti arrivano al grande radiotelescopio è una cascina d’epoca nella Piana Padana, il  telescopio è una delle antenne di Telespazio del Fucino. Tutte location molto particolari e sconosciute al grosso degli Italiani, quindi d’effetto e relativamente economche.

La narrazione ha una fotografia semplice ed essenziale, con abbondanza di primi piani e un montaggio che costruisce l’atmosfera nella lentezza.
La grandissima colonna sonora firmata da Mario Migliardi ci immerge in un mondo familiare e insieme sconosciuto.
Molto adeguata, in questo senso, la scelta di ambientare la vicenda non in un preciso anno, ma l’anno prossimo. 

"A come Andromeda", in un'epoca in cui Ufo Shado spopolava in TV, ebbe un ottimo successo di pubblico e rimane una delle produzioni RAI più riuscite.  

 

              

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

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