OVUNQUE NEL TEMPO

 

L’amore può tutto, almeno nel romanzo Bid Time Return di Richard Matheson. L’autore, famoso per l’horror Io sono leggenda, e per avere collaborato a diversi inquietanti episodi di The Twilight Zone, fuse due generi considerati di solito piuttosto inconciliabili, la fantascienza e il romanticismo. Si ispirò ad un episodio autobiografico; durante un viaggio aveva avuto l’occasione di vedere il ritratto dell’attrice Maude Adams esposto al Piper’s Opera House in Nevada. Fece accurate ricerche sulla vita della diva vissuta un secolo prima, e ne scoprì le abitudini riservate. Per narrare il viaggio in un’altra epoca si ispirò alle teorie sullo scorrere del tempo di John Boynton “J.B.” Priestley. Nelle opere dell’autore britannico presente, passato e futuro non scorrono lineari, ma si intersecano e si influenzano, un po’ come nei romanzi del nostrano Valerio Evangelisti. Matheson diede così vita alla vicenda di Richard Collier, sceneggiatore malato di tumore al cervello che decide di trascorrere i suoi ultimi giorni al lussuoso Hotel del Coronado. Durante il soggiorno vede il ritratto di un’attrice vissuta a inizio secolo e se ne innamora perdutamente. Pur di incontrarla, sperimenta una tecnica di training autogeno innovativa. Si chiude in una stanza dell’albergo, si circonda di oggetti d’epoca, e guidato dalla sua stessa forza di volontà, si trasporta indietro di molti anni, fino al giorno in cui l’attrice recitò nel teatro della prestigiosa residenza. Il viaggio funziona, l’amore sboccia e poco a poco i ricordi del presente sbiadiscono, inclusi i dolori causati dalla malattia. La vita sembra tornare a sorridere a Richard, fino al giorno in cui da una tasca esce una moneta del 1970. Basta una sola occhiata e lo scrittore è costretto a tornare nel presente. Poco dopo muore e ovviamente i medici interpretano i diari lasciati dal defunto come allucinazioni di un povero moribondo. Solamente il fratello di Richard nutre qualche dubbio, e dà alle stampe gli scritti.

Era il 1975 quando Matheson pubblicò il romanzo e l’anno seguente vinse il World Fantasy Award for Best Novel, premio riservato alle migliori opere di genere in lingua inglese. Il successo attirò l’attenzione del produttore cinematografico Stephen Deutsch, e Matheson stesso sceneggiò il romanzo, con diversi adattamenti, a partire dal titolo. Bid time return è tratto da una battuta del Riccardo II di Shakespeare, atto III, scena 2 – ” O call back yesterday, bid time return. ” (“Oh, richiama indietro il giorno che fu ieri, comanda al tempo di tornare!”). La dotta citazione venne sostituita dal più commerciale Somewhere in time, Ovunque nel tempo in Italia. La produzione dovette cambiare le locations previste inizialmente, in quanto l’Hotel de Coronado era stato restaurato e trasformato, e pur conservando tutto il lusso del passato, male si adattava a far da sfondo alle vicende. Venne scelto il Grand Hotel di Mackinac Island, sul lago Huron nel Michigan,edificato in stile “Queen Ann“, di gran moda a cavallo tra XIX e XX secolo. In conseguenza di questo adattamento i fatti narrati si svolgono nel 1912, invece che alla fine dell’Ottocento.

 

Alcuni cambiamenti si limitano all’esteriorità ed incidono poco sullo sviluppo della vicenda, altri la influenzano, esasperandone i toni melò. Nel romanzo il viaggio nel tempo è un pretesto per dare vita a una storia d’amore impossibile, tuttavia la vicenda sentimentale convive con garbo con le teorie pseudo scientifiche dal sapore New Age. Lo scrittore approfondisce la psicologia dei vari personaggi, dà loro spessore e ne motiva i comportamenti, ben sottolineando la differenza di mentalità che intercorre tra la società contemporanea e quella odierna. Troppo spesso i protagonisti dei viaggi nel tempo hanno incontrato esclusivamente ostacoli di tipo tecnico, avarie delle macchine, calcoli sbagliati, errori umani involontari o sabotaggi, oppure avversari. Lo scontro tra culture diverse è sempre passato inosservato ai più, oppure è stato risolto in poche battute superficiali; Matheson invece lo porta in primo piano. Richard Collier si rende conto della mentalità chiusa e bigotta delle classi abbienti americane a cavallo tra i due secoli. Il sogno d’amore è contrastato dal possessivo impresario William Fawcett Robinson, e dal senso comune di parenti ed amici. Il mentore ha speso anni ed anni per costruire l’immagine di Elise e consacrarla diva del palcoscenico; teme che le scelte impulsive della giovane rovinino il suo lavoro. La madre invece diffida dell’elegante giovanotto comparso dal nulla, privo di chissà quale posizione sociale, beni e titoli nobiliari compresi. Elise stessa è attratta ed allontanata dal mistero che circonda lo spasimante.

Nella pellicola le riflessioni sociali si attenuano fin quasi a scomparire, e il corteggiamento del protagonista verso la donna dei suoi sogni diviene il tema dominante, ben sottolineato dalla colonna sonora di John Barry e dalle variazioni sulla Rapsodia di Sergei Rachmaninoff. Richard Collier non rivela mai di essere arrivato da un’altra epoca; nel testo, poco a poco i ricordi del presente svaniscono, mentre nel film ignoriamo le possibili motivazioni. Le pagine richiedono un bello sforzo da parte del lettore, ovvero impongono una sospensione dell’incredulità più che notevole. Per viaggiare nel tempo occorre recarsi in un luogo storicamente importante, circondarsi di oggetti d’epoca ed ipnotizzarsi. Sullo schermo ogni spiegazione, per quanto risibile, viene liquidata in breve, per bocca di uno strampalato accademico che sostiene di aver raggiunto per un istante la Venezia del 1571.

Con pari leggerezza nel film vengono descritte le indagini del protagonista sul conto di Elise McKenna, eccentrica antesignana di Greta Garbo. L’attrice ormai anziana e prossima alla morte compare all’inizio della pellicola e consegna un orologio da taschino al protagonista, dicendogli ‘Ritorna da me’. Nella vita reale un giovane drammaturgo ben avviato sulla via del successo probabilmente vorrebbe rendersi conto di quanto gli sta accadendo. Potrebbe rischiare di essere oggetto di qualche beffa crudele da parte di colleghi rivali o di critici buontemponi, oppure subire la vendetta di qualche interprete scartato ai casting. Inoltre, se l’attrice era davvero famosa e Richard si è laureato in una facoltà universitaria con indirizzo storico artistico oppure in un’Accademia d’Arte Drammatica, è incredibile come possa ignorare la biografia di un personaggio tanto celebre. A voler seguire le teorie cospirazioniste oggi tanto di moda, Richard si è laureato grazie a meriti sportivi, oppure i professori sono sedicenti stregoni, mascherati da insegnanti…

Lo spettatore è quindi costretto a mettere da parte ogni perplessità. Richard si stampa un sorriso sul bel faccione e per otto lunghi anni l’orologio resta chiuso in un cassetto, fino al giorno in cui lo scrittore, in un momento di crisi creativa e sentimentale, decide di occuparsene. E’ ovvio che Ovunque nel tempo non è un giallo e l’espediente dell’orologio immette lo spettatore in un’atmosfera rarefatta, da sogno. La sceneggiatura riassume i passaggi necessari a racimolare le informazioni e va dritta alla meta. Richard riesuma l’orologio, trova l’albergo, e inizia a fare rapide ricerche, parte per la bizzarra destinazione. Lo spettatore è avvertito, non assisterà all’ennesima vicenda di viaggi nel tempo a base di prodigiose invenzioni e mostruosi alieni, quanto a una struggente celebrazione del sentimento e del ricordo. Il film decolla nel momento in cui Richard si risveglia nel 1912, ed è la parte centrale del film ad essere davvero convincente, con la splendida fotografia e le magnifiche locations.

 

La regia di Jeannot Szwarc, autore del sequel de Lo squalo e del fantascientifico Bug insetto di fuoco, e di numerose serie Tv, è di solido mestiere, e gli attori se la cavano, con qualche disomogeneità. Christopher Plummer nei panni dell’impresario convince, Jane Seymour è graziosa, il compianto Christopher Reeve invece ha un’aria impacciata. Il fisico atletico e la faccia da bravo ragazzone di provincia erano perfetti per incarnare Superman, mentre rendono poco l’idea di un intellettuale, un romantico sognatore; inoltre appare poco espressivo. E’ pur vero che l’eroe letterario e quello cinematografico sono personaggi molto distanti. Lo sceneggiatore del romanzo è un trentaseienne malato terminale, un disperato che niente ha da perdere. Nella pellicola incontriamo un giovane sano e forte, che abita un lussuoso loft a Manhattan e guida una rombante spider, ed è un uomo all’apice del successo. L’epilogo è doverosamente diverso, pur mantenendo tutta la dovuta tragicità.

Al momento del debutto nei cinema d’oltreoceano, Ovunque nel tempo venne preceduto da opinioni entusiastiche e fu annunciato da una campagna pubblicitaria condotta in grande stile. I critici avevano concesso fiducia pressoché illimitata all’inventiva di Richard Matheson, e le immagini patinate del trailer potevano trarre in inganno anche persone esperte e in buona fede. Fu sufficiente la prima visione per disattendere ogni aspettativa, e purtroppo le pecche risaltarono più dei pregi anche a una buona fetta di pubblico. Gli appassionati del cinema di genere ravvisarono pochi elementi fantascientifici, diluiti in una trama troppo sdolcinata e farcita di richiami paranormali dal sapore new age. I critici notarono le lacune nella sceneggiatura, trovarono il film troppo pretenzioso, e stroncarono senza pietà l’interpretazione di Christopher Reeve. Salvarono solamente la protagonista, l’antagonista, i comprimari ed i cosiddetti ‘mestieri del cinema’.

In effetti, è merito della fotografia, delle splendide locations, dei costumi raffinati, delle belle musiche, se questa pellicola riesce a suscitare ancora oggi vive emozioni ed è stata rivalutata. La ricostruzione degli ambienti appare ancora oggi accurata, grazie alla scelta del resort d’epoca sulla Mackinac Island, dove soggiornò anche Mark Twain. Lo scenografo valorizzò gli splendidi panorami e le architetture d’epoca, i costumisti fecero un lavoro impeccabile, conciliando la moda di un tempo con il gusto attuale. La fotografia, calda e luminosa, immortalò atmosfere sognanti.
In Estremo Oriente il film ebbe tanto successo da venire replicato per mesi, in Sud America è stato un celebre blockbuster, e negli stessi Stati Uniti l’International Network of Somewhere In Time Enthusiasts organizza periodiche riunioni di fan. Lo stesso hotel ha fatto tesoro della pellicola: oltre ad ospitare le conventions, ha allestito un piccolo museo con i memorabilia, ed ha apposto targhe esplicative nei luoghi stessi delle riprese.

Ovunque nel tempo è un film poco armonico, capace però di suscitare emozioni durature, e di far presa nel cuore dei sognatori. Un pregio che pochi titoli di oggi hanno, e che ha trasformato un pretenzioso B movie in un meritato cult.

 

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

La recensione è stata edita su FANTASTICINEMA https://www.fantasticinema.com/ovunque-nel-tempo/

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