L'ISOLA DEL TESORO serie tv
L’Isola del tesoro, romanzo uscito dalla penna di Robert Louis Stevenson nel 1883, ha avuto svariate trasposizioni cinematografiche e televisive. Fin quando i registi si sono mantenuti il più possibile fedeli ai fatti narrati nel romanzo, le opere hanno trovato consensi unanimi o comunque hanno evitato le critiche più feroci. Dopo tante versioni, le avventure del giovane Jim Hawkings ormai erano conosciute da tutti, e i vari remake affascinavano sempre meno, nonostante le migliorie tecniche rendessero l’azione più spettacolare che mai. I registi iniziarono a esplorare la possibilità di narrare la vicenda cambiando ambientazioni. Antonio Margheriti diresse lo sceneggiato L’Isola del tesoro, con il giovane Gimmi che lascia la Terra per andare a cercare il tesoro su un lontano pianeta. Uscito tra mille polemiche, lasciò la platea perplessa, forse perché lo spettatore generalista era poco preparato a una storia di fantascienza. Nonostante l’insuccesso, qualche anno dopo la Disney ripropose la sua versione steampunk della vicenda, con l’altrettanto sfortunato Il Pianeta del Tesoro. Colpa del marketing sbagliato, colpa di un momento di uscita poco felice in quanto c’erano altri titoli di forte richiamo, colpa del pubblico che come leggeva ‘Disney’ si attendeva film per ragazzini pieni di lezioni morali esplicite, buffi animaletti, leziosaggini e canzoncine. Qualsiasi sia stata la causa principale del flop, sembrava ovvio che le trasposizioni fedeli avevano stancato mentre quelle ricche di soluzioni narrative sperimentali erano rischiose, funzionavano con una platea di spettatori consapevoli, desiderosi di innovazioni, capaci di fare confronti tra versioni diverse.
La versione in serie animata italiana realizzata in computer grafica nel 2015 da Rai Fiction in co-produzione con Mondo TV tiene conto delle caratteristiche della potenziale platea. Composta da 26 episodi in onda su Rai Gulp dal 22 novembre 2016, si rivolge ai ragazzi senza escludere gli adulti, in particolare gli appassionati di cinema di genere. La vicenda viene ibridata con suggestioni provenienti dal fantasy, dall’horror, dalla fortunata saga dei Pirati dei Caraibi e anche dalla storia vera. Il Capitano Flint dovrebbe essere morto, ucciso dal pirata Silver, ma è stato riportato in vita dal dio Hurakan, che intende usarlo per vendicarsi dei massacri compiuti dai bianchi che hanno massacrato i suoi fedeli. Per raggiungere lo scopo, il dio dona al Capitano l’aspetto del governatore Blade, e gli toglie ogni piacere terreno, dal poter assaporare il cibo al godere di piaceri carnali. La privazione continua rende Flint\Blade schiavo del dio. Questi lo sprona alla vendetta contro Silver e soprattutto lo motiva a perseguire gli ordini, affiancandogli un esercito di zombie che dovranno conquistare l’Europa. Jim si trova suo malgrado coinvolto in un’avventura che lo trasformerà in un uomo, mettendolo alla prova…
La caccia al tesoro narrata nel libro è solo l’innesco di un’avventura molto più complessa, che non risparmia momenti horror, riflessioni sul colonialismo, e elementi fantasy innovativi.
Di solito quando si pensa al fantasy abbiamo davanti agli occhi rielaborazioni della mitologia nordica, mentre qui si ha uno dei rari esempi di uso di un immaginario non europeo, con stregonerie africane, culti amerindi, zombie e uomini medicina. Il bello è che questi credi non sono presentati con l’ennesimo senso di superiorità figlio del retaggio coloniale, con l’uomo bianco che guarda dall’alto in basso idoli e magie e li deride, certo di avere in tasca la verità. La violenza subita da quei popoli è ben presente, è un fil rouge che muove gli eventi, e i poteri mistici sono reali quanto e più delle credenze dei bianchi. C’è un ribaltamento dei ruoli, un non giudicare le altre culture ma proporle alla curiosità sincera degli spettatori. Il dio Hurakan sembra crudele e invece cerca giustizia per la sua gente; la magia africana è pronta a proteggere e invita alla saggezza, la società costruita dai pirati appare come un’utopica forma di socialismo forse non perfetta tuttavia meno crudele del mondo ‘civile’.
Il ribaltamento dei ruoli investe anche i protagonisti, che nel corso dei tanti episodi mostrano tratti insoliti e hanno un loro percorso evolutivo. Jim non è uno sfaticato scavezzacollo, è piuttosto un ragazzo appassionato di medicina, con saldi principi morali e una squisita sensibilità. Probabilmente il personaggio più statico è proprio lui, in quanto apprende nuove capacità, matura, si impossessa di un libro magico, tuttavia il suo è uno sbocciare alla vita adulta, più che uno scoprirsi diverso da come era partito. Anche il pirata John Long silver perde la sua forza narrativa dopo le prime intense puntate, divenendo in buona parte una prevedibile figura paterna. Le sorelle Tracy e Lynn Stenforn vogliono sfuggire al loro triste destino di giovani donne orfane, destinate a venir oppresse. La piccola Lynn può essere una spalla comica, un personaggio creato per divertire i più piccoli, un po’ come il pappagallo Capitan Flint (che però è funzionale alla trama); la sorella è invece abile nell’uso delle armi, una giovane donna che ben bilancia una certa coerenza storica con la volontà di avere un personaggio femminile forte. Si evitano gli eccessi di certo girl power: il personaggio resta figlio del suo tempo e spesso resta in seconda linea quando ci sono scontri o azioni molto fisiche, lasciando fare i lavori pesanti a Ben Gunn, vecchio naufrago macilento che si crede un fantasma. Jojo, giovane schiavo, è figlio di una regina sciamana, e compie un grande percorso, dall’essere un uomo oppresso dall’odio al divenire uno stregone pronto ad aiutare la sua gente. Bella è anche la caratterizzazione dei villain, lontana dai soliti stereotipi. Flint\Blade viene usato dal dio che gli promette di rendergli un corpo vivo se obbedisce, oppure viene minacciato di perdere ogni residuo di umanità e diventare uno zombie. Il sicario Portoghese è poi un capolavoro di ambigua crudeltà, e i potenti dei vari Regni, quando non nascondono segreti oscuri, appaiono viziati nobili vissuti a debita distanza sia dalla gente di mare, sia dai popoli che hanno soggiogato.
I personaggi presenti nel libro funzionano al meglio fin quando la sceneggiatura naviga vicina alle pagine. Quando deve distaccarsi, la forza narrativa si indebolisce, rendendoli meno efficaci se non proprio macchiette. Tra l’altro ogni avventura è un flashback narrato da Jim ormai adulto e medico nelle isole caraibiche, davanti alla tomba di Silver. Lo spettatore sa bene che il protagonista è sopravvissuto alle imprese più pericolose. Di Silver, già anziano ai tempi delle avventure raccontate, si vede subito la tomba, e l’epitaffio recita ‘sazio di giorni’, quindi anche per il pirata si immagina una lunga vita. Non resta che trepidare per i compagni d’avventura, e quindi proprio loro diventano interessanti.
L’intreccio complesso cede ad alcune trovate un po’ ingenue, inserite per attirare i ragazzi: la presunta giovane età di Jim, le gag della bambina piccola, il pappagallo tuttofare. I momenti leggeri oltre a avvicinare gli spettatori più giovani, stemperano una vicenda che altrimenti è decisamente cupa. E’ una storia di vendette, quella del dio profanato dai bianchi, quella di Flint\Blade ucciso da Silver, e i protagonisti sono pirati, gente violenta e pronta a tutto. L’immagine idealizzata ci arriva dai romanzi ottocenteschi e dalla cinematografia, non certo dalla cruda realtà. C’è una guerra e la gente muore, sacrificata alla ragione di Stato, massacrata perché considerata inferiore, caduta senza neppure un gesto eroico da cantare nelle taverne dei porti dei mari del Sud. C’è la barbarie della schiavitù e c’è la forca per chi si ribella al suo destino di miseria. Anche se non si vedono sangue o dettagli splatter estremi, le atrocità sono suggerite nei dialoghi. I nemici sono zombie putrescenti ottenuti dalla gente che cade per mano di Flint\Blade e del suo esercito di non morti. Le loro anime sono sospese in un limbo e l’unica maniera per distruggere i corpi sarebbe colpirli alla testa. La vicenda si svolge a metà Settecento, le armi da fuoco sono ancora rudimentali e si inceppano facilmente nel clima umido dei mari dei Caraibi, i proiettili possono uccidere esseri umani ma faticano a perforare la carne dei non morti. Di conseguenza i pirati soccombono davanti all’orda di cadaveri animati. In un contesto narrativo simile i momenti umoristici un po’ allentano la tensione e un po’ sembrano concessioni davvero inutili, tanto più che la complessità dell’intreccio allontana comunque i più piccini. Gli episodi durano circa venticinque minuti, tutti sfruttati con un buon ritmo e tanti eventi che sfuggono all’attenzione dei bambini. L’isola del tesoro è un prodotto per ragazzi, per adolescenti e per appassionati dell’immaginario dell’horror e dell’avventura più classica. Probabilmente non c’era bisogno di inserire personaggi e gag destinate a un target di età comunque poco coinvolto. La vicenda invece si presta a più livelli di lettura, con citazioni di altre opere, dalla saga dei Pirati dei Caraibi al fumetto steampunk Graystorm alle opere di Salgari, da Conrad a Pratt con il suo indimenticabile Corto Maltese, fino a una lettura anticolonialista. Non è un caso se i personaggi dei governatori europei hanno tratti grotteschi e caricaturali mentre i pirati giunti da tutto il mondo per combattere la flotta dei vari regni sono disegnati con realismo, mettendo in luce la bellezza dei loro tratti e l’eleganza dei loro costumi. O se il dio dei Nativi non è poi cattivo quanto ci si aspetterebbe e ha un design che sottolinea sia l’essere ‘alieno’ alla cultura europea, sia l’essere a suo modo maestoso.
Se la sceneggiatura funziona e convince, l’animazione alterna belle trovate a una certa rozzezza artigianale. La serie è realizzata in computer graphic, animata con programmi che non sono paragonabili alle raffinatezze della Disney, alle meraviglie visive della Pixar o di altri prodotti d’oltreoceano. I personaggi hanno un loro perché in quanto sono bene caratterizzati, gli sfondi esotici fanno sognare, a patto che non si pongano paragoni con quanto si vede al cinema, uscito dai grandi studios. La forza de L’isola del tesoro è nei contenuti, nell’introspezione dei personaggi, nel riuscito mix tra horror e avventura, nell’aver saputo attingere a suggestioni diverse amalgamandole in modo creativo. Non è poco, in un panorama di prodotti d’animazione che troppo spesso badano alla forma lasciando indietro i contenuti.
Cuccussette vi ringrazia della lettura.
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