BRIGADOON

Musical e fantasy classico sono quasi un ossimoro, di solito. Il Fantasy richiede una buona dose di scene d’azione e ruoli lontani dagli stereotipi dettati dalle vocalità tradizionali. Il musical si basa su parti assegnate a partire dalla voce, di solito impostata come i registri della lirica o a voler essere d’ampie vedute, del jazz. Sono pregiudizi e stereotipi, e forse le battaglie per l’inclusività di cui tanti si lamentano e che spesso toccano estremismi poco raccomandabili cambieranno la situazione. In ogni caso il musical nasce per il palcoscenico, per essere rappresentato dal vivo, e questo fino ad ora ha inibito ogni tentativo. Se è raro trovare qualcuno che reciti, canti e balli bene, ancora più difficile sarebbe trovare interpreti che oltre a tutto questo sapessero anche simulare duelli all’arma bianca. Ci sono stati spettacoli con combattimenti, come il musical su Giovanna D’Arco con Antonella Lo Coco, ma la parte armata si limitava ad una breve parte dello spettacolo, ed era affidata a figuranti altamente specializzati. Ci sono opere liriche con parti di azione, si potrà obiettare, ma nessuno pretende la minima verosimiglianza, già ci vuol fantasia a immaginare soprano in carne morir di tisi o improbabili geishe intonare Un bel dì vedremo.
Ci sono stati film fantasy con qualche bella canzone, come La Storia Infinita o anche le trilogie trasposte dallo Hobbit e dal Signore degli Anelli. Senza pensare poi alla difficoltà di inscenare trucchi decorosi, problema che in un futuro nemmeno troppo lontano potrebbe essere risolto dall’impiego di ologrammi sempre più realistici.
 Il fantasy in senso stretto pare un tabù, ma il discorso cambia radicalmente se si va verso la fiaba musicale, che affonda le sue radici nella cultura dei balletti russi e delle fiabe mitologiche del Seicento. In teatro, vale la stessa regola di buonsenso dell’opera, si accettano parecchi compromessi , quindi Pinocchio o il Piccolo Principe o Peter Pan impersonati da donne, cavi in bella mostra a simulare voli, e trucchi artigianali… e al cinema, un buon doppiaggio e effetti speciali quanto basta.
Brigadoon è una fiaba musicale del 1954, periodo d’oro del genere. Il mondo era uscito dalla Seconda Guerra, la società si stava lentamente riprendendo dai massacri e dalle miserie, e tante persone volevano sognare. Non sorprende se questo film di Vincente Minnelli assecondi questa utopia di pace e amore, instillando allo stesso tempo il tarlo del dubbio: a cosa rinunceremmo in nome della pace?
Durante una battuta di caccia nelle Highlands scozzesi, gli americani Tommy Albright e Jeff Douglas si perdono. Appare loro nella nebbia Brigadoon, grazioso villaggio non segnato sulle mappe e dove gli abitanti vestono come usava nel 1700 e sono sconvolti dal vedere due stranieri. Tommy ha un colpo di fulmine per  Fiona Campbell, Jeff dubita e si chiede cosa stia accadendo per davvero. Mentre si moltiplicano le stranezze, la sorella di Fiona si prepara a sposarsi, il fidanzato Harry Beaton respinto maledice tutti e Tommy prosegue l’idillio… La verità viene a galla per bocca del signor Lundie, maestro: due secoli prima le streghe minacciavano il piccolo borgo e il Pastore chiese un miracolo, sacrificando la propria vita pur di salvare dal Male la sua cittadina, che sarebbe vissuta e apparsa una sola volta ogni cento anni, fino alla fine dei giorni. In quel giorno nessuno può lasciare il paese, o il villaggio scomparirà per sempre; può restare solo chi si innamora ricambiato di una persona del posto, condividendone la sorte…
La fiaba ha una trama esilissima, e per molti aspetti discutibile agli occhi di uno spettatore di oggi. La bolla spaziotemporale garantisce sì la pace, la serenità, ma ha un prezzo da pagare altissimo. Nessuno infatti può andarsene, pena far morire chi resta. Il paesino si chiama Brigadoon e già il nome richiama Bridge of Doom, ponte del destino ultimo; un ponticello separa quel paradiso dalla vita moderna, e guai a oltrepassarlo!
Per i residenti c’è una vita che ha l’illusione dell’idillio, e che può divenire una prigione perché ogni contatto con l’esterno è limitato a quell’unica giornata ogni cento anni. Inoltre si può morire anche in quel paese, e ne abbiamo la prove, e forse anche nascere e crescere, un giorno ogni cento anni. Per il resto la cittadina deve essere autosufficiente , e i paesani devono accontentarsi di quello che offre il posto, rinunciando di fatto ad ogni ambizione. Per quanto si possa stare passando un brutto periodo, probabilmente il grosso di noi sarebbe come Harry Beaton, il fidanzato scartato che non può neppure trovare un’altra compagna o consolarsi buttandosi negli studi. Orribile poi l’idea che tutto sia avvenuto per scelta deliberata di una sola persona, che ha imprigionato anche gli ambiziosi e i delusi senza dar loro il tempo di fuggire se lo avessero desiderato, magari per finire macellati da eroi nella Battaglia di Culloden e nella guerra civile tra Giacobiti e Lealisti.
Erano altri tempi, e gli spettatori forse si facevano meno domande, accettavano la fiaba così come ci viene raccontata e magari sognavano di trovare un simile Paradiso accanto alla persona amata.
L’epilogo è un inno all’Amore Vero, quello che può fare miracoli, e una protesta contro la modernità. Dal punto di vista stilistico, è pregevole la parte che riguarda la vita di Tommy una volta che ha rifiutato di unirsi a Fiona ed ha fatto ritorno negli Stati Uniti. Le belle musiche si sovrappongono al chiacchiericcio futile degli abitanti della metropoli, la bella fidanzata sembra fatua come gli altri. Poco a poco il dialogo della coppia si smorza, sommerso dalle note dei canti del villaggio scozzese, simile alla Shangrilà di Orizzonti Perduti.
Lo spettatore può solo abbandonarsi alla poesia o vedere in Brigadoon la succursale della Zona del Crepuscolo prospettata nei fumetti di Dylan Dog o a essere tanto ottimisti, la cittadella dei Time Lords occultata in una tasca dimensionale nella serie Doctor Who.
La vicenda va apprezzata come una poetica fiaba che celebra l’Amore vero e il ricordo idealizzato della Scozia rurale, oltre a essere un grido contro la modernità e l’idea di un progresso che riduce le persone a vuote figurine gracidanti, affannate per motivi futili.
Gran parte del musical è cantato e danzato: Gene Kelly è una garanzia, ci sono stupendi pezzi di tap dance alternati a coreografie ispirate ai balli folk scozzesi. E’ bene sottolineare ispirati: pur essendoci tantissime danze e canzoni, sono rielaborazioni delle musiche originali. Non è come Riverdance, musical con danze e canti irlandesi fatti conoscere con amore a tutto il mondo. Le danze sono state coreografate da Kelly stesso, e sono mostrate con lunghi piani sequenza. Essi da un lato esaltano l’abilità dei ballerini, dall’altra danno irrimediabilmente l’idea di veder uno spettacolo di teatro, ammesso che qualcuno potesse credere di veder la Scozia. Le musiche sono state scritte dal paroliere Alan Jay Lerner, musicate da Frederick Loewe e orchestrate da Conrad Salinger, professionisti che probabilmente non avevano una goccia di sangue scozzese nelle vene. La Great Bagpipe si sente solo nel momento delle nozze, la giga è una coreografia di gruppo lontana anni luce dalle contraddanze tipiche. La bellezza dei testi delle canzoni di Brigadoon rimane un piacere riservato a quanti conoscono a lingua inglese, dato che il doppiaggio italiano tocca solo le parti recitate.
L’impatto estetico c’è, e quello deve bastare,  con i costumi sgargianti e la fotografia traboccante colori accesi. Negli anni Cinquanta non si stava tanto attenti alla correttezza di abiti e costumi, di coreografie e musiche. Gran parte degli Scozzesi in America inoltre erano immigrati dopo la Guerra civile, e la Scozia da un centinaio d’anni aveva avuto il boom economico trasformandosi nella meta privilegiata dell’immigrazione. Per gli Scoto Americani, ormai inseriti nella vita d’oltreoceano, il film era un bell’omaggio alle loro origini, nulla più.
In linea con questo spirito di rivisitazione, le discusse scenografie. La Scozia è stata ricostruita in studio, nemmeno una sequenza è stata girata sulle Highlands, o in spazi aperti che vagamente assomigliassero. Il film ha un sapore marcatamente teatrale, con cottages dal tetto di comune paglia, con il famoso ponticello che sembra quello dei vecchi presepi della Moranduzzo, con kilt di foggia moderna dai colori squillanti di solito riservati ai clan più ricchi.
Davanti a tanto spettacolo lo spettatore può solo accettare gli artifici e calarsi in una visione spirituale: in questo caso, la fede in un’utopia che non delude e lascia commossi.

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

Questa recensione è ADOTTABILE: contattatemi su Facebook sono Cuccussette Loris o Florian Capaldi

LEGGI ALTRO FANTASY

HOME

Crea il tuo sito web con Webador