CASSANDRA
Una volta si chiamavano sceneggiati, oggi sono le miniserie, racconti televisivi che si completano in una manciata di episodi quasi sempre autoconclusivi. Proprio la relativa brevità e i costi minori rispetto a quelli di un film da sala rendono questa tipologia di prodotto un interessante campo per le sperimentazioni, le ibridazioni tra generi, la ricerca di nuovi linguaggi. Cassandra è una miniserie tedesca creata da Benjamin Gutsche; è sviluppata in sei puntate da cinquanta minuti l’una, e il soggetto è basato sulla domotica ovvero sull’applicazione di tecnologie di intelligenza artificiale alla gestione della casa.
La famiglia Prill si trasferisce in fretta e furia in una magnifica dimora isolata nella campagna nei pressi di Colonia, una villa realizzata negli anni Settanta. C’è stato un dramma a spingere i Prill a una repentina fuga dalle comodità di un grande appartamento nel centro città. La sorella malata di mente della signora Prill si è suicidata proprio in quella casa e Juno, la figlia minore, ha trovato il cadavere della zia. La fuga dall’appartamento funestato dal dramma sembra la migliore soluzione per ritrovare la serenità. David (Michael Klammer), scrittore di gialli pulp, la moglie scultrice Samira (Mina Tander), la piccola Juno (Mary Tölle ) e Fynn (Joshua Kantara) il fratello adolescente gay si ritrovano nel fabbricato che ha i suoi anni ma pare abitabile. Durante il rapido trasloco i ragazzi trovano monitor in ogni stanza, un automa e una parete attrezzata con un enorme elaboratore. Fynn riesce a riattivare il robot, che si presenta come Cassandra, macchina multifunzione che pulisce casa, cucina, provvede al giardino, compila la lista della spesa e fa da baby sitter. La convivenza tra la famiglia e il robot sarà però disastrosa…
La serie si sviluppa su due piani temporali ben distinti, raccontando sia il presente che il passato, le difficoltà dei nuovi inquilini e il dramma umano di Cassandra, la donna che è stata il modello per realizzare l’androide tuttofare. Le due narrazioni si alternano, con parallelismi dolorosi, momenti di forte presa emotiva, altri che richiedono alla platea una coraggiosa dose di sospensione dell’incredulità - e nonostante tutto funzionano. Lo spettatore è catturato e fa poco caso alle ingenuità che si presentano numerose. Le suggestive scenografie con mobili ed accessori tipici degli anni Settanta, la colonna sonora vintage, le interpretazioni molto convincenti di un cast molto affiatato o piuttosto la sceneggiatura che racconta una storia sopra le righe scivolando con maestria tra i linguaggi dell’horror, del cinema sociale, del thriller sono tutti elementi pregevoli, compiono il miracolo e si rimane a vedere una puntata dopo l’altra.
Il robot conquista subito i ragazzi, con il volto umano sorridente che appare nel monitor che ha per testa e l’animazione gioiosa che propone. Il padre è felicissimo di potersi chiudere nel suo studio a scrivere, trascurando la moglie e i figlioli. L’unica a dubitare delle intenzioni del robot è Samira: crede che l’automa voglia eliminarla... e purtroppo è vero, ma non viene creduta e, accusata di aver provocato incidenti, finisce in un manicomio di lusso.
La parte ambientata nel passato ha una maggiore forza espressiva rispetto a quella ambientata nel presente, in quanto la famiglia appare davvero poco credibile. Hanno comprato casa in fretta e furia senza visitarla prima della firma del contratto, non hanno una planimetria da consultare per conoscere i volumi dell’edificio, e ignorano dove sia collocata l’impiantistica e come funzioni. Data la necessità di uscire quanto prima possibile dall’appartamento del centro città dove si è consumato il dramma, l’acquisto impulsivo ci può anche stare, così come la formula ‘visto e piaciuto’ che permette la vendita di immobili d’epoca con impianti conformi all’epoca di realizzazione ma non a norma.
Quanto convince poco è che tutti si comportano in modo troppo ingenuo verso la tecnologia, idolatrandola come poteva avvenire a metà anni Novanta, quando il web sembrava un miracolo. Invece usano poco internet, tanto che in tutta la vicenda si vedono i monitor di Cassandra disseminati nelle stanze, e tanti cellulari usati solo per i social e la messaggistica. L’unico computer mostrato esplicitamente è quello utilizzato come macchina da scrivere da David, eppure internet è un servizio fondamentale per quanti vivono in campagna, a fare i conti con la quiete bucolica e l’isolamento in caso di problemi. Da un lato i Prill sembrano una famiglia di intellettuali moderna, multirazziale e che accetta tranquillamente il figlio omosessuale. Forse sono troppo ‘alternativi’, ignorano le applicazioni dell’intelligenza artificiale, usano internet solo per lavoro e non sanno difendersi dalle insidie dell’antenata di Alexa. Il robot ignora l'esistenza di internet altrimenti controllerebbe anche le comunicazioni via social, mentre al massimo fa chiamate d’emergenza. Padre e figli, tutti danno illimitata fiducia al robot senza controllare se meriti davvero tanta considerazione, quasi che la natura artificiale di un software ne implichi l’infallibilità. Addirittura Juno nega che Cassandra le abbia detto dove trovare una pistola e l’abbia esortata a usarla durante un’audizione a scuola. Sembrano tutti incantati dall’androide, anche se si capisce benissimo che è pericolosa, e quando si rendono conto della natura del robot, ormai è troppo tardi.
In questo senso la serie fa pensare su quanto si possa davvero essere liberi dalla tecnologia: ignorare come essa funzioni espone a pericoli analoghi a quelli che possono derivare da un uso anche poco consapevole. La smart house può essere una soluzione comoda, nessuno si diverte a cucinare e pulire tutti i giorni, a lavare e stirare, ma prima o poi si diventa dipendenti da questa tecnologia apparentemente utile, e soprattutto se ci sono fragilità irrisolte, si può finire manipolati. Cassandra prende il controllo sulla famiglia approfittando della debolezza dei vari membri, pur di realizzare il suo sogno di tornare ad essere quanto era stata un tempo.
Per capire come mai l’androide si comporta a quel modo, bisogna capire come è stato creato. La sceneggiatura alterna quindi momenti di vita nel presente, sempre più tesi a causa del comportamento dell’androide, al racconto della vita della vera Cassandra. La donna che si vede inquadrata nel monitor aveva vissuto proprio in quella casa col precedente proprietario, era la moglie di Horst Schmitt, ambizioso e spregiudicato inventore di apparecchiature tecno medicali, uomo poco incline a tollerare le inclinazioni poco virili del figlio Peter o la presenza di una bambina disabile. Il personaggio di Cassandra, interpretato da una magnifica Lavinia Wilson, è un villain straordinario, tale da empatizzare con lo spettatore. Nel corso della sua vita Cassandra ha sacrificato tutta sé stessa per la casa e la famiglia, realizzandosi solo in questa prospettiva e annullando ogni altra sua propensione, desiderio, sogno. Inizialmente la donna sembra uniformarsi alle consuetudini sociali imposte dal ruolo prestigioso del marito, e difende il figlio cercando di farlo sembrare come tutti gli altri bambini. Peter è strambo ed effeminato, e viene bullizzato e emarginato nonostante lo status dirigenziale del padre lo renda privilegiato. Cassandra evita di dire la verità alla gente sul ragazzo, lo sconsiglia di mostrarsi per quello che è, accetta che il padre lo obblighi a giocare a calcio anche se non è portato e nemmeno gli interessa. Il ragazzo reagisce nel peggiore dei modi a anni di soprusi, e Cassandra fa in modo di coprire gli errori più estremi della sua creatura. Quando infine si ammala di tumore poiché il marito l’ha sottoposta a esperimenti, accetta di essere cavia per venire trasformata in un androide. Da robot spera di poter proseguire la sua vita, ma purtroppo è l’ennesimo annichilirsi. Prima si è annullata nel ruolo di massaia di lusso, cornificata e usata per sperimentare macchinari con radiazioni micidiali, poi viene ignorata dal marito che giorno dopo giorno si accorge del fallimento del suo esperimento. Quel corpo meccanico elegante e dotato di accessori manca delle sensazioni di un corpo vivo. Risvegliata a distanza di anni dall’incidente in cui morirono il marito ed il figlio, Cassandra vuole rifarsi di quanto ha perso senza rendersi conto di essere soltanto un’ombre di sé stessa. Non è quindi il solito fantasma che viene dal passato, e che terrorizza gli inquilini della casa stregata in versione tecnologica, è invece una creatura dolente che prende progressivamente coscienza del fallimento totale della sua vita, sull’impossibilità di essere la vera moglie di Horst Schmitt, o di divenire madre di Juno e Fynn sostituendosi a Samira.
Il sogno transumanista di poter trasferire coscienza e ricordi in un software da inserire in un corpo meccanico fallisce miseramente, o almeno è destinato a naufragare fin tanto che la coscienza non si risveglierà in un involucro che offra le stesse sensazioni provate in vita, e prestazioni identiche o migliori. L’androide Cassandra non è una miniserie sull’omosessualità o sulla multietnicità, quanto sul diritto ad essere sé stessi che viene spesso negato, una volta come oggi. Vale per i gay, ma anche per le due donne protagoniste, per la sorella disabile di Peter, e per qualsiasi essere vivente. Del colore della pelle dei Prill nemmeno ci si accorge, nel senso che è un dato ininfluente allo svolgersi dei fatti. La storia d’amore omosessuale invece stabilisce un legame col doloroso passato dell’androide, e non è una ‘quota gay’ inserita per poter diffondere la serie nel mondo rispettando le richieste produttive attuali.
Se la vicenda del robot casalingo ha dei precedenti, possono essere cercati nel romanzo di Buzzati Il grande ritratto, e nel vecchio e profetico film di Sordi Io e Caterina. Cassandra è un soggetto che assimila elementi da varie opere però mantiene una sua originalità, sorprende per la capacità di affabulare gli spettatori, incarna quel tipo di narrativa televisiva che da troppo tempo mancava all’appello.
Cuccussette vi ringrazia della lettura.
La recensione è stata edita su questo sito nel 2025. Vuoi adottarla? Contattami su Facebook, sono Florian Capaldi !

Crea il tuo sito web con Webador