IL RITORNO DI CAGLIOSTRO

Ogni tanto negli ambienti degli storici del cinema si favoleggia l’esistenza di film maledetti, progetti andati a finire male, fatti sparire per ragioni politiche o ideologiche, puniti dalla censura, rimasti interrotti per mancanza di sovvenzioni. Ce n’è per tutti i gusti: da Freaks mai giunto in sala nel nostro Paese e trasmesso in televisione cinquant’anni dopo l’uscita ufficiale, al mai realizzato Dune secondo Alejandro Jodorowsky e il Don Chisciotte rivisitato da Terry Gilliam, da Yūkoku di Mishima fatto sparire per lunghi anni dalla famiglia del controverso autore, a leggendari episodi conclusivi di serie animate mai distribuiti, a film di kung fu realizzati montando e ridoppiando più titoli. Si favoleggia anche di film giapponesi ambientati nell’era dei samurai fatti a pezzi e poi distribuiti in spezzoni in siti hard per feticisti, in modo da eludere la censura o i diritti d’autore. Le leggende metropolitane abbondano, alcune fondate e altre no, e l’Hollywood di Sicilia è un’invenzione sulla scia delle varie iniziative che vennero davvero intraprese, come avvenne nella zona tra Tirrenia e Marina di Pisa, nel Pisorno.
Il ritorno di Cagliostro è un immaginario film realizzato nel secondo dopoguerra da una fantomatica casa di produzione siciliana, la Trinacria. La genesi e lo sviluppo fallimentare della pellicola sono narrati in forma di finto documentario da Ciprì e Maresco. Niente di quanto viene narrato dai talentuosi registi infatti è mai avvenuto, un po’ come in Zelig di Woody Allen.
La vicenda si apre con il ritrovamento di alcune pizze del film Il ritorno di Cagliostro, creduto perso. La scoperta è annunciata da veri mostri sacri della critica cinematografica. Partecipano a questo film  il compianto Gregorio Napoli e Tatti Sanguineti nei ruoli di loro stessi, e il “purista” apocalittico Totò Lipari viene interpretato da Maurizio Laudicina. Gli esperti iniziano a raccontare la genesi della Trinacria Cinematografica, azzuffandosi per sostenere le proprie posizioni. Per qualcuno i film della Trinacria hanno la poesia delle opere di Pier Paolo Pasolini, per altri quanto è uscito dal capannone della Trinacria, oggi adibito a ovile, è spazzatura inguardabile. La Casa di produzione era nata per volontà dei fratelli La Marca (Burruano e Galezza), proprietari di una modesta ditta di artigianato sacro. Come tanti Italiani del periodo antecedente al boom economico, amavano il cinema americano e sognavano di poter avere una Hollywood tutta loro. Naturalmente vivevano il cinema nel modo più naif, e ignoravano le minime nozioni necessarie per diventare registi o produttori. Il loro desiderio s’era concretizzato con l’aiuto dell'Arcivescovo di Palermo Mons. Sucato e di svariati finanziatori. Così la Trinacria Cinematografica aveva realizzato alcune pellicole, una più brutta dell’altra. Privi come erano delle minime competenze specifiche della Settima Arte, i fratelli reclutavano gli interpreti dalla strada, senza procedere a una seppure minima selezione. I registi coinvolti erano poco più di volenterosi dilettanti e la  gente accoglieva sempre peggio ogni loro lavoro. La parabola discendente della Trinacria incontrò le smanie del Barone Cammarata, un nobile spiantato con il chiodo fisso del Conte di Cagliostro e la voglia di donare i suoi beni per realizzare un kolossal sul personaggio. Con  Pino Grisanti, un regista poco meno scadente dei predecessori e Erroll Douglas, divo in declino fatto arrivare con la moglie dall’America, le cose non potevano andare che di male in peggio. Ma forse, dietro alla sfortunata vicenda c’era solo la lunga mano di Cosa Nostra e di Lucky Luciano…
Il ritorno di Cagliostro è un film dirompente che sfugge a qualsiasi catalogazione di genere. Inizia come un falso documentario, e fino all’arrivo in scena dell’Arcivescovo mecenate la componente parodistica rimane comunque contenuta nei binari di tante docufiction.  Brevi video con i pareri tecnici si alternano a qualche ricostruzione un po’ sopra le righe, comunque ancora verosimile. Il cambio di registro si ha con l’avvio della produzione, e la serie di estratti da pellicole irrimediabilmente brutte sposta i toni verso il grottesco. Ci sono Sante che assomigliano a Janare pronte a lanciare il malocchio invece delle benedizioni, alieni che rapiscono ignare spose, c’è il Tribunale dei Beati Paoli con un accusato che balbetta le battute, attori che parlano un italiano incomprensibile, in un crescendo di incapacità che trasforma l’avventura dei fratelli La Marca nella Settima Arte in una farsa. Si tocca l’apice con l’intervento del Barone Cammarata: il mecenate viene posseduto dal Conte di Cagliostro in sequenze degne dell’Esorcista e dona ogni suo avere per far rivalutare il personaggio storico, tra una vomitata di fluido sovrannaturale e l’altra. O con la puzzolente madre dell’Arcivescovo, che sferruzza e odora di capra. L’arrivo di Erroll Douglas, interpretato da un divertito ( e bravissimo) Robert Englund, riporta la vicenda nel tragicomico. Ormai schiavo della bottiglia e innamorato dei piedini della moglie ballerina, per quanto navighi in cattive acque, l’attore si rende conto di tante cose che non funzionano. Tutto va a rotoli, fino al tragico epilogo. Senza fare spoiler, posso solo suggerire come esista una conclusione dopo le vicende raccontate, e si passa ad allo schermo esce un nano che rivela un’altra verità, assai meno disincantata...
Di certo il Ritorno di Cagliostro non è il solito film comico, rassicurante, innocuo, accessibile a tutti anche senza avere una minima istruzione o una minima età. Non è solo colpa dei sottotitoli che accompagnano i dialoghi, spesso asincroni come avveniva nei film prodotti con pochi mezzi. Senza quelle sovrimpressioni sarebbe davvero difficile capire le battute. Esse sono spietate e sono adulte perché devono essere feroci sia verso i potenti, sia verso la plebe che si illude. Appaiono uomini vestiti da donna, un nano (il Marotta noto per aver interpretato l’alieno Ciribiribì per la Kodak), preti e suore che ballano, volti popolani. C’è perfino l’icona horror Robert Englund, interprete di Freddy Krueger e stavolta volto dello sfortunato Erroll Douglas. Non mi sorprende che il mostro sacro dell’horror americano abbia accettato un simile copione perché  dispetto dei tanti ruoli truci a lui assegnati,  è un uomo di grande autoironia, innamorato della vita.
Nessuna bellezza procace è lì per creare gag scollacciate o per farsi ammirare. Il ritorno di Cagliostro assomiglia poco ai titoli prodotti negli ultimi cinquant’anni con l’intento di farci ridere in tutta semplicità, con battute magari volgari però innocue. Se ha qualche radice nel passato, va cercata nella produzione precedente di Ciprì e Maresco, o in alcune pellicole grottesche della commedia all’italiana, come La  donna scimmia o Brutti sporchi e cattivi. Tutti film dove si ride in modo estremamente scorretto, crudele e decisamente amaro.
I registi hanno amalgamato sequenze volutamente sgangherate e le hanno intervallate con i saporiti interventi dei critici, di Douglas o della di lui moglie, finti cinegiornali e interviste a quanti hanno in qualche modo partecipato al progetto. Lo stile solo in parte ricorda Zelig e Ed Wood. Le vicende del camaleonte umano sono molto meno bizzarre rispetto a quelle della Trinacria, in quanto il modo di narrare conserva lo stesso stile per tutto il film e lo spettatore si abitua alle paradossali invenzioni. Ed Wood pure mantiene canoni estetici da biografia, perché quello è, sebbene sia un biopic d’autore e racconti la vita di un regista molto particolare. Lo spettatore medio, quello che riempie le platee o le lascia vuote e decreta così il successo o l’insuccesso di un film, può sentirsi spiazzato dai tanti cambi di registro narrativo e da una comicità inusuale, oltretutto recitata o in Siciliano o in Inglese.  Anche le citazioni sono comprensibili a patto che si abbia una vaga idea dei tentativi italiani di imitare Hollywood, si conosca il clima che regnava sul set dei film realizzati in ristrettezze, si abbia qualche notizia del Cagliostro con Orson Welles e di quanto fossero fantasiosi i film storici degli anni Cinquanta. Il ritorno di Cagliostro non è quindi uno spettacolo ingenuo. Ciprì e Maresco invece ci chiedono uno sforzo supplementare: seguirli in un irriverente caleidoscopio di invenzioni dissacranti, per farci capire che il cinema non è solo innocua finzione.

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

Questa recensione è stata edita da FENDENTI E POPCORN

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