LA BALLATA DI BUSTER SCRUGGS
La ballata di Buster Scruggs è un film dei fratelli Cohen realizzato nel 2018. Si presenta come un’opera coraggiosa sotto molti punti di vista, a partire dal fatto che è composta da sei episodi indipendenti tra loro. Nel passato era abbastanza consueto trovare in sala pellicole costituite da cortometraggi accomunati da un tema. Ci sono stati sia capolavori immortali come L’oro di Napoli, Sogni, Eros, sia prodotti commerciali anche del filone erotico e finti documentari con tanto di morbose invenzioni etnografiche. Oggi è raro trovare questo modo di narrare, il format più diffuso pare essere quello della serie televisiva o della pellicola da sala con un’unica vicenda. I cortometraggi hanno bei festival dedicati, vivono di sovvenzioni e vengono spesso considerati trampolini di lancio, saggi per autori che vogliono farsi conoscere. Di certo non riempiono i canali di streaming a pagamento. Anche La ballata di Buster Scruggs nelle intenzioni dei registi doveva diventare una miniserie, prodotta da Annapurna Television e distribuita da Netflix, tuttavia questa possibilità sfumò. I registi scelsero allora di condensare il materiale narrativo in 133 minuti, creando un film a episodi moderno, anzi: postmoderno.
Le sei vicende sono accomunate dall’ambientazione western, un genere che oggi è fuori moda e sembrerebbe aver espresso tutto quello che poteva dire. La sensibilità degli spettatori, almeno considerando una distribuzione internazionale, è cambiata. C’è la consapevolezza del genocidio dei Nativi, c’è la certezza che l’Ovest descritto da Hollywood è un pezzo di storia reinventata e mitizzata pur di creare radici per una terra di immigranti. In questa prospettiva i cowboy non incantano più, i pistoleri hanno perso attrattiva, i grandi spazi delle praterie e dei canyons sono immagini da cartolina, e anche la scanzonata rivisitazione offerta spaghetti western risulta troppo solare e epica. Il Far West ormai può essere solo una dimensione parallela, un’ucronia paragonabile a quella dei mondi del Fantasy, dove tutto può e deve essere reinventato e narrato di nuovo.
La Frontiera dei Fratelli Cohen è rivisitata con sensibilità attuale, il grottesco si alterna alla malinconica poesia. Ci sono tutti gli stereotipi del genere, la diligenza, le carovane di pionieri, i ‘pellerossa’ pronti ad attaccare i coloni, il saloon con il poker, i duelli alla pistola, gli spettacoli ambulanti, i cercatori d’oro, i grandi spazi… e c’è la Morte a accompagnare lo spettatore in questo viaggio. Molte avventure hanno una conclusione tragica per i protagonisti, e anche quando sopravvivono, si lasciano alle spalle una scia di sangue. Nessuno si allontana verso il sole che cala sulle praterie, pronto a vivere nuove avventure con tanto di musica altisonante e titoli di coda. Tutti o quasi sono incrudeliti dalla dura vita del pioniere, oppure sono schiavi di pregiudizi, della miseria, della tracotanza e della stupidità. C’è una vena grottesca e fantastica che attraversa i racconti, e dà spazio a atmosfere da sogno o da incubo, con incursioni nel musical, nell’horror, nel dramma.
Gli omaggi alla storia del cinema di genere (e non) sono molteplici, la contaminazione tra generi rivitalizza storie altrimenti già viste. In questo senso è comprensibile l’uso di effetti speciali un po’ trash, apparentemente rozzi. I trucchi non hanno lo scopo di rappresentare verosimilmente i fatti e ben contrastano con la colonna sonora magistrale, con l’estrema cura della fotografia e con le interpretazioni di attori davvero validi e affermati.
A sottolineare la vocazione onirica e favolistica, come usava nei film fiabeschi o pseudo storici del passato le prime sequenze mostrano un libro di racconti che si apre. Le vicende sono intervallate da primissimi piani sull’ultima pagina del racconto e dall’illustrazione relativa all’episodio seguente, mentre l’epilogo mostra il libro che si chiude. La varietà degli episodi poteva rappresentare una debolezza, rendere la pellicola frammentaria e dispersiva, e invece aumenta l’interesse dello spettatore che non sa mai cosa attendersi, se un musical o un dramma in costume, uno spaghetti western o un racconto di Bierce.
La ballata di Buster Scruggs apre la pellicola con le gesta di un pistolero azzimato come Elvis Presley nelle sue incursioni nel West da commedia musicale. L’uomo (Tim Blake Nelson) è dedito al gioco d’azzardo e al canto. Quando finisce ucciso nell’ennesimo duello alla pistola visivamente ispirato allo spaghetti western, la sua anima svolazza nel cielo con in mano una lira come nei cartoni animati degli anni Cinquanta e Sessanta e intona il brano che intitola il film.
In Vicino ad Algodones un cowboy (James Franco) tenta una rapina e viene contrastato e sconfitto da un impiegato corazzato con padelle e pentole; scampato una prima volta alla forca, non sarà sempre così fortunato, perché la sorte è bizzarra e capricciosa. La parte più riuscita sembra quella della rapina stessa, orchestrata come una slapstick comedy a suon di pallottole e clangori di metallo delle padelle.
La pagnotta è quella che l’impresario girovago (Liam Neeson) deve ricavare facendo esibire il Tordo senza ali, un ragazzo privo di arti che recita Shakespeare con trasporto (un bravissimo Harry Melling). Quando gli spettacoli di piazza non rendono più, l’impresario investe in una nuova attrazione, una gallina capace di contare e si sbarazza del Tordo. Oltre a portare in scena personaggi di solito trascurati dal western classico, c’è l’amara riflessione sulla mercificazione dell’arte e degli artisti, spesso sfruttati come galline dalle uova d’oro, e l’ottusità della gente dei villaggi, così abbrutita dalla miseria e dalla fatica da non riuscire a commuoversi per i versi di Shakespeare.
Il canyon tutto d'oro è ispirato da un racconto di Jack London scritto nel 1905. Un anziano cercatore d’oro (interpretato dal musicista Tom Waits) penetra in una valle dove l’uomo non sembra mai essere giunto, e trova un filone dopo aver scavato giorni e giorni. La sua esultanza è di breve durata perché è stato seguito da un ‘socio’ disonesto che lo vuole uccidere per arraffare le pepite. Toccante è il messaggio ecologista, porto senza retorica o buonismi: il vecchio ruba le uova, pesca, strappa l’oro alla terra, ma solo quanto gli serve, e poi se ne andrà lasciando che gli animali tornino ad appropriarsi della valle.
La giovane che si spaventò è forse, tra i vari episodi, quello che potrebbe offrire materiale per un film da sala, in quanto ha un intreccio articolato. Narra il viaggio verso l’Oregon di una donna timida e impreparata alle difficoltà (Zoe Kazan) e di suo fratello, malato e con alle spalle fallimenti lavorativi. Quando questi muore, lei decide comunque di andare avanti e sfidare l’ignoto, trovando anche l’amore. La tragedia la attende, scatenata dalla sua mancanza di coraggio, dalla bassa autostima che le ha impedito di prendere in mano la sua vita fin da prima della partenza. La triste sorte è una lezione di vita, forse, per chi sopravviverà: il coraggio va coltivato, non ci si improvvisa avventurieri.
Le spoglie mortali è ambientato su una diligenza dove viaggiano un gaudente francese, un’anziana e religiosa signora, un vecchio trapper, due cacciatori di taglie e il cadavere di un ricercato legato sul tetto della vettura. Ciascuno espone la sua visione dell’umanità, considera la gente in modo egalitario perché sa che si può comunque comunicare o perché sa che tutti sono opportunisti e cedono alle tentazioni, o la divide in peccatori e meritevoli, o in vivi e morti. Il viaggio termina in un paese coperto di nebbia, in un albergo dalla tetra facciata e con interni lussuosi ma disabitati.
La ballata di Buster Scruggs è un piccolo capolavoro, presentato in concorso alla 75ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia e giustamente premiato per la sceneggiatura col Premio Osella: è un film capace di accontentare anche spettatori esigenti e di restare nei loro cuori.
Cuccussette vi ringrazia della lettura.
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