SOUND

La fantascienza in Italia è stata il fanalino di coda della letteratura ( e spesso ancora è così) a causa dei forti pregiudizi culturali che le attribuivano un ruolo di intrattenimento per ragazzi, o la condannavano  perché insieme al fantasy si contrapponevano apparentemente all’introspezione e al disimpegno sociale. Ancora oggi, se si nomina Primo Levi, quasi tutti pensano alla testimonianza della Shoà di Se questo è un uomo e de La tregua, piuttosto che alla meravigliosa produzione fantascientifica. In televisione le cose non andavano meglio, poiché molti soggetti richiedevano effetti speciali troppo costosi. La RAI comunque tra la metà degli anni Settanta e la fine degli Ottanta provò a far conoscere un altro tipo di fantascienza, quella speculativa, meno distante dalla narrativa di impegno e meno basata del senso di meraviglia.
La miniserie Sound, diretta da Biogio Proietti nel 1989, riesce a fare a meno di effetti speciali complessi. Le due puntate narrano la vicenda di Roberto Lovari, ingegnere del centro spaziale del Fucino di Telespazio, in Abruzzo. L’uomo un giorno capta un suono simile ad un fischio; solo lui può udire quel richiamo che giunge dalle stelle, e cerca di decifrarlo e farlo sentire ad altri. Nei giorni in cui è assorbito dal difficile compito iniziano a succedergli dei bizzarri salti nel tempo. Assiste in anticipo a eventi che si verificheranno poche ore dopo; poi si ritrova dieci anni dopo, apparentemente amnesico e privo di modo per poter tornare indietro, e poi ancora anni avanti, fino al 2015. Intanto la sua esistenza cambia come se la avesse davvero vissuta, con gravi conseguenze sulla sua vita relazionale: pur di stabilire il contatto con gli alieni l’ingegnere trascorre gran parte del suo tempo in laboratorio, trascurando la moglie, i figli, l’amante. I suoi sforzi però verranno ripagati…
Prima d’essere un film su incontri ravvicinati con creature venute dallo spazio, Sound è un film sulla comunicazione e sulla sua assenza, sul tempo e sul prezzo dell’inseguire i sogni. Ci sono echi di Spielberg in quel linguaggio musicale che viene poco a poco decifrato; mentre aumenta la capacità di rivolgersi agli alieni, il protagonista perde la capacità di rapportarsi con gli altri esseri umani, a partire dalla sua stessa famiglia. Tanto è assorbito da quella che per lui è un’ossessione, da curarsi sempre meno sia del sesso, sia della cura dei bambini: regna il silenzio tra le pareti domestiche, la moglie resta sola nel letto, i colleghi diventano dipendenti. Le scene di sesso, per quanto oggi appaiano abbastanza pudiche, sono un termometro del disgregarsi emotivo del protagonista.
I salti temporali lo ostacolano ancora di più, poiché ad ogni cambio sul datario l’uomo si ritrova in un contesto sociale diverso senza sapere quali siano le cause dei cambiamenti  da lui provocati a sua insaputa. Il viaggio nel tempo avviene senza che se ne possa rendere conto, o che possa controllarlo. Ad ogni tappa si rende conto di aver perso qualcosa, l’amico musicista Giorgio, l’amore della moglie che arriverà a suicidarsi non sopportando il suo modo di vivere, i figli che scappano in Inghilterra col sogno di vivere di musica, o a studiare in un college prestigioso, la giovane amante che si è fatta una famiglia.
E’ sicuramente un prezzo alto quello pagato per soddisfare la propria ambizione e la sete di conoscenza. In questa miniserie si evidenzia tutto quanto l’uomo ha sacrificato e irrimediabilmente perso per inseguire il suo ideale, ma non si condannano le sue scelte facendo una lezione morale allo spettatore sul valore edificante degli affetti e della famiglia. Lo stesso epilogo premia il protagonista, ripagandolo di aver vissuto solo una parte della sua vita in prima persona. Saranno i singoli a valutare se l’ingegner Rovani abbia scelto bene o sia stato solo un povero illuso che ha buttato via quanto fa degna un’esistenza: è già apprezzabile che la domanda venga implicitamente formulata senza imporre una risposta univoca.
Le riflessioni sono sollecitate anche grazie alla lentezza della narrazione, che dovette apparire anacronistica anche all’uscita della miniserie su RAI 2. I ritmi sono rilassati come negli sceneggiati di vent’anni prima, il montaggio alterna lunghi dialoghi a silenzi in cui a parlare è lo stupendo paesaggio marsicano, solenne nella sua bellezza selvaggia. L’effetto speciale più potente è dato dalla situazione estraniante, con il protagonista che si ferma a chiedere indicazioni in case e bar apparentemente disabitate fino a qualche istante prima, vuote ma con le pentole sul fuoco o le luci accese. Gli alieni forse arrivano, comunque il contatto che concretizza le aspirazioni di un’intera vita resta fuori scena.
Tutto avviene senza dover improvvisare trucchi rozzi, sicuramente ridicoli in confronto a quanto si vedeva nel cinema. A coinvolgere lo spettatore c’è l’intensa interpretazione di  Peter Fonda, stralunato viaggiatore ed interprete del disagio di un tempo che ci scorre addosso senza che possiamo trattenerlo, e le belle performances recitative di Ana Obregón, Elena Sofia Ricci, Mattia Sbragia, Daniela Poggi, tutti attori di esperienza o che avrebbero avuto una bella carriera.
Altro vero protagonista è la musica, con una colonna sonora che passa dallo sperimentale al progressive con qualche tuffo nella sinfonica contemporanea e nel jazz: non a caso il titolo è Sound, suono o anche ‘tipo di suono’.
Rivisto oggi Sound appare molto invecchiato nella forma, e la lentezza sarebbe intollerabile per il grosso pubblico abituato a montaggi rapidi con effetti speciali vistosi. Questo è l’ultimo lavoro televisivo di un regista che ha fatto la storia della RAI e è cresciuto artisticamente con gialli e sceneggiati del mistero, che avevano una narrazione lenta, modi teatrali. Oggi si può fare fantascienza facendo vedere qualsiasi cosa si desideri, spesso abusando di questo potere . Sound è la dimostrazione di come, partendo da buone idee, si possa raccontare una storia appassionante anche con pochi mezzi, ponendo l’attenzione su domande esistenziali. Non è uno spettacolo per tutti i palati, ma merita una visione, a patto di non portare nel passato i pregiudizi del cinema di genere contemporaneo.

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

La recensione è stata edita su questo sito nel 2023. Contatta Florian Capaldi su Facebook per adozioni e gemellaggi !

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