AL  DI  LA'   DEI   SOGNI

Il cinema di Hollywood ha sempre dimostrato un ricorrente interesse per l’ aldilà, non tanto per i fantasmi “tradizionali”,  nati dalla letteratura gotica ottocentesca e amati dai registi europei, quanto per la vita dopo la morte. Le descrizioni del Paradso si sono sprecate, quelle dell’ Inferno sono state trattate in modo più vago, del Purgatorio, forse per la mentalità protestante, si trovano poche tracce.
Al di là dei sogni appartiene a questo fortunato filone fantastico, che pur senza conoscere veri exploit di moda, ci accompagna da cento anni, con opere isolate ma puntuali nel loro apparire. Questa volta il tema è trattato con sensibilità New Age, e l’allestimento è sontuoso, tanto da rasentare l’umorismo involontario.
La vicenda ritrae una famiglia di yuppies felici: lui, un medico, lei una pittrice affermata; i figli, due creature delicate e sensibili firmate da capo a piedi, e davvero sfortunate. Infatti muoiono entrambi in un incidente d’ auto. Qualche anno dopo, tocca al medico, schiacciato da un’ auto mentre cerca di soccorrere le vittime di un incidente in una galleria. Qualche tempo dopo la moglie si suicida: in confronto l’Amleto sembra un film di Pierino! Il nostro medico si ritrova in un bizzarro Paradiso, una dimensione parallela che assume l’ aspetto che noi desideriamo, e dove possiamo ritrovare tutto quello che ci fa piacere, a patto che lo si sappia riconoscere. Se si vuole, ci si può anche reincarnare, magari per riprovare a ottenere quello che si è mancato nella prima esistenza. Il nostro medico finisce in una terra di sogno, ispirata ai quadri della moglie. Trova ad attenderlo un bizzarro angelo nero, che ha l’ aspetto del dottore che gli fece fare il tirocinio quando gli insegnò a lavorare.
L’ aldilà di fine millennio ha un forte sapore New Age: è influenzato non tanto dalla condotta tenuta durante la vita, quanto dalla consapevolezza di se’ stessi, dal desiderio di staccarsi dalla materia. Le distanze variano secondo la percezione di chi le considera, esistono città, creature di sogno. La presenza della divinità viene lasciata da parte. Forse ispirati da un buddhismo rivisitato alla luce del pragmatismo U.S.A., gli sceneggiatori hanno optato per una soluzione soft che rispetti ogni credo. Dio c’ è, da qualche parte, ma non sembra esistere un giudizio di stampo cristiano. La destinazione delle anime è influenzata in parte dalla condotta tenuta nella vita terrena, e pesano l’ equilibrio e l’ armonia raggiunti, la capacità di essersi conosciuti, in una sorta di mistica che vagamente può rammentare certe filosofie orientali, in particolare il taoismo. Bene e male hanno un valore relativo, non perché la scelta sia indifferente, ma perché questa incide sulla conquista della serenità e della maturazione personale. Il bene ti migliora, il male ti rende gretto, immaturo, preoccupato solo di faccende che all’ inizio sembrerebbero portarti vantaggi, e che alla fine lasciano un sapore amarissimo in bocca. Nel film, però, questo modello di pensiero risulta sbiadito, un po’ come sulle pagine di certi rotocalchi alla moda che mescolano Oriente, oroscopi, mitologia, angeli, santi protettori, in un guazzabuglio che spesso svilisce religioni e metafisici di ogni tempo. Il Paradiso stesso appare come una scenografia fastosa, che può rammentare il pittore ed illustratore Maxfield Parrish, l’ Art Noveau, lo stile moresco Liberty e la pittura di paesaggi tradizionale inglese. Chi vi giunge può modificare il suo aspetto a volontà, apparire giovane o vecchio, cambiare razza, volare, camminare sulle acque, crearsi una sua piccola dimensione ma può ricongiungersi ai propri cari solo se sa riconoscerli sotto un’ apparenza assai diversa. Frammenti di memorie, piccoli tic, manie, dettagli aiutano nell’ identificazione. Preoccupazione del protagonista, ritrovare i propri figli, e poi anche la moglie. Dopo mille peripezie attraverso terre desolate, inferni o purgatori, l’ Amore Vero spezza l’ incantesimo che legava la donna agli inferi, come in una bella favola o in un romanzo rosa d’altri tempi.

Il maggior pregio  di questo film sono le interpretazioni di attori affermati. Robin Williams è credibile e bravo come sempre. Bella la prova di Max Von Sidow, nel ruolo della misteriosa guida dell’ Inferno. E’ una parte breve ma interessante, che ben figura nella carriera di un attore completo; adeguata la figura della moglie. Gli altri ruoli restano meno in evidenza, poiché nonostante questa pellicola sembri puntare molto sul carattere dei personaggi, difficilmente le caratterizzazioni superano certi stereotipi. Il protagonista è un uomo tenace e caparbio, che ha sempre lottato per affermarsi; la moglie è sensibile e nevrotica,  e alla morte dei figli ha tentato il suicidio una prima volta; l’ angelo nero soddisfa l’ occhio del pubblico femminile ed è scanzonato…

I personaggi sembrano di maniera, ma sono interpretati con sicurezza e così viene da perdonare le banalità che spuntano tra nuvole rosa e inferi popolati da guerrieri.
Grande importanza ha l’ uso del computer, che descrive paesaggi virtuali con sicurezza e lascia grande libertà all’ estro degli scenografi, finalmente liberi di far muovere i personaggi in uno spazio re inventato e onirico al punto giusto.
La trama della vicenda è il punto debole, è una specie di mito di Orfeo rivisitato in chiave New Age, addolcito per il pubblico di ogni età e credo. Nella leggenda greca, Orfeo raggiunge l’ amata, ma non resiste alla voglia di voltarsi prima di essere uscito dall’ Ade, e la perde. Qui viene scelto un finale rassicurante, anche se in fondo, poco logico. Il grande miscuglio di elementi tratti da vari credi, che non appoggia nessuna precisa ideologia ma cerca di non contraddire, unito con le scene così roboanti, quasi barocche, la schematicità dei personaggi si amalgamano in un insieme che rasenta il Kitsch. Bastava molto meno per dare l’ idea di una realtà sognante fuori dallo spazio e dal tempo. Sommerso dall’ overdose di scene al computer, misticismo da strada e buoni sentimenti, anche l’ emozione sembra in equilibrio precario tra autentica esperienza emotiva vissuta e la ricostruzione sdolcinata piena di tutti quei luoghi comuni che di solito accompagnano o lutti. Sanno di stantio i momenti della morte descritti con forti luci bianche in dissolvenza rapida e tunnel, i funerali con pioggia battente e alberi contorti, la virature nei toni del grigio; oppure gli inferni a colori cupi, con molto repertorio dantesco.

E’ un‘opera confezionata in modo impeccabile, scorrevole nella narrazione, che cerca di rivolgersi ad un pubblico ampio, e che rassicura lo spettatore medio. Per raggiungere questo risultato, la sceneggiatura scende a diversi compromessi: non ferire nessuna convinzione morale, ribadire i valori tradizionali, impiegare ottimi attori, mettere un po’ di romanticismo formato Baci Perugina, parlare di aldilà e mostrarlo mantenendo il tabù della morte. Fateci caso, si parla dell’aldilà ma si tende a rimuovere il dolore della morte e della sofferenza. Se amate il fantastico ma non quello con molta azione e volete dare spazio al sentimento, oppure se dovete scegliere un film per una compagnia composta da persone di gusti abbastanza eterogenei, il film vi soddisferà.

Diverso è il caso di un pubblico di accaniti cinefili, abituati a opere di genere, magari a chicche con pochi effetti speciali ma con idee forti che sostengono trame e personaggi convincenti e toccanti nella loro umanità. Per questo settore del pubblico, passata la curiosità e l’ entusiasmo per quello che il computer ha potuto trasmettere, rimane il sapore zuccheroso di una favola melensa spacciata per una vicenda fantastica e che tale è solo in parte. O si ride sopra il film, o si butta il dvd dalla finestra, sperando vivamente che passi chi ce l’ ha consigliata.

 

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

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