DUNE - IL DESTINO DELL'UNIVERSO
La trasposizione cinematografica di un romanzo basato soprattutto su sensazioni e monologhi interiori pone notevoli difficoltà; se poi il soggetto è fantascientifico e richiede l’uso di effetti speciali, allora diviene una sfida. E’ il caso di Dune, portato sugli schermi in uno sfortunato kolossal di David Lynch. Il regista ha creato un’opera ricca di epos tuttavia poco fruibile da quanti non hanno letto il libro. Basandosi esclusivamente su quanto la pellicola rappresenta in modo esplicito, è quasi impossibile comprendere le mire delle Bene Gesserit, donne nate da accorte selezioni genetiche e dotate di poteri mistici che vorrebbero creare un essere supremo. Gli intrighi politici e i giochi di potere che intercorrono tra l’Imperatore, gli amorali nobili della casata Harkonnen e la Gilda Spaziale che sovraintende ai trasporti di uomini e merci vengono lasciati in secondo piano, così come la vita quotidiana dei ribelli Fremen, nomadi del deserto dotati di una profonda fede nell’arrivo di un messia. Lynch ha dato scarsa importanza anche al delicato equilibrio ambientale del pianeta Arrakis, teatro dell’epica vicenda, un’arida landa percorsa da colossali vermi che creano il Melange o Spezia, l’unica sostanza capace di far muovere le astronavi e donare poteri extrasensoriali. In primo piano si susseguono le imprese del giovane Paul Atreides, figlio di una concubina del duca Leto il Giusto, e la descrizione delle sue visioni, la presa di coscienza del proprio ruolo di leader e di tanto atteso salvatore. La crescente consapevolezza viene sintetizzata in immagini poetiche, i monologhi interiori si trasformano in voci fuori campo o in sequenze sublimi, degne di un antico poema. Tanta raffinatezza richiede una minima conoscenza degli eventi, altrimenti tutto si riduce all’ennesima lotta tra Bene e Male riproposta con un’ambientazione esotica e condita da qualche incantesimo: una sorta di Guerre Stellari con pretese intellettualoidi. Il film di David Lynch è stato duramente criticato al suo apparire, e soltanto con gli anni è stato rivalutato.
La riabilitazione del kolossal è avvenuta anche grazie ad una seconda trasposizione del romanzo, realizzata per la televisione statunitense Sci-Fi Channel nel 2000. Dune – Il destino dell’universo (Frank Herbert’s Dune) è una miniserie suddivisa in tre parti, Dune, Muad’dib, Il profeta, per una durata complessiva di 273 minuti. Stavolta la sceneggiatura gode dei tempi necessari per rappresentare gli eventi così come li ha narrati Herbert, con pochi adattamenti e rare omissioni. Finalmente lo spettatore può comprendere gli intrighi e le manovre politiche, ed ha una descrizione più completa del mondo di Arrakis. Il pianeta ha acque sotterranee mentre la superficie è arida ed ospita giganteschi vermi che producono la Spezia. Senza quell’habitat tanto ostile per gli esseri umani verrebbe a mancare la preziosa sostanza, indispensabile per il funzionamento dell’avanzata tecnologia. Le astronavi vengono infatti mosse per telecinesi dai Navigatori, una specie di mutanti che grazie alla Spezia annullano il tempo e lo spazio. Senza la sostanza i poteri delle Bene Gesserit rimarrebbero capacità latenti ereditate tramite matrimoni combinati. Attorno alla raccolta della Spezia si muovono gli interessi degli esseri umani, ormai dispersi su svariati pianeti; gli abitanti di Arrakis sono i Fremen, nomadi del deserto. La loro è una società tribale fortemente ritualizzata, retta da leggi apparentemente barbare. Nel corso delle puntate vengono mostrati i costumi di questo popolo costantemente sfruttato dalle casate di altri pianeti, e vengono evidenziati i pregi e i difetti della loro cultura. La loro vita ruota attorno alla Spezia e all’acqua, e ogni usanza, anche quella che appare più crudele, è dettata dalla necessità di sopravvivere in un ambiente tanto ostile. Coltivano la speranza di vedere arrivare un giorno l’Eletto, il Mahdi, un essere speciale che li guiderà alla riscossa e trasformerà il loro pianeta. Ovviamente questo Messia è Paul Atreides: il giovane, scampato alla congiura in cui trova la morte il padre, viene abbandonato nel deserto insieme alla madre Jessica, la concubina del Duca. I due trovano rifugio presso i Fremen, e poco a poco divengono figure importanti per la comunità. A contatto con la Spezia il giovane sviluppa i propri poteri latenti, fino a trasformarsi nell’Eletto e a guidare la guerra contro l’Imperatore e i suoi emissari.
Oltre a poter descrivere adeguatamente la società dei Fremen, la serie ha il tempo di mettere in luce la maturazione del ragazzo. A differenza di Luke Skywalker, che imbocca la via della Forza e resta un uomo di animo puro, per Paul i cambiamenti non sono necessariamente tutti positivi. Il giovane e sua madre inizialmente fingono di adeguarsi alle usanze dei nomadi pur di sopravvivere, e sfruttano le loro superstizioni per costruirsi un ruolo importante all’interno della tribù. Paul è cresciuto a corte tra intrighi e complotti, è stato addestrato come guerriero e come stratega, conosce bene la ragione di stato: si dimostra accorto e carismatico, più che innocente. In seguito Jessica continua a recitare la sua parte pur di conservare lo status privilegiato di Sayanina, sacerdotessa, mentre Paul viene creduto la figura leggendaria delle profezie e finisce per credersi davvero un essere semidivino, al di sopra del Bene e del Male. La sua parabola ascendente lascia presagire quanto sarà narrato nei libri successivi, e nel seguito di questa serie, I Figli di Dune (Children of Dune), del 2003: ovvero una caduta disastrosa, dopo dodici anni di guerre e massacri. Su Arrakis nessun eroe dura per sempre, e tutti possono divenire pedine dei giochi di potere. C’è chi è malvagio e troppo ambizioso, come il ributtante Barone Harkonnen e la sua corte di depravati, c’è un Imperatore pronto a sacrificare la sua stessa figlia in nome del potere, ci sono i rappresentanti della Gilda commerciale pronti a cambiare bandiera pur di avere la Spezia e attraverso di essa condizionare i delicati equilibri politici dell’universo. Verosimilmente, la distinzione in ‘buoni’ e ‘cattivi’ tipica delle space opera più note viene a sgretolarsi, e i pochi personaggi positivi talvolta hanno un destino infausto. Con Dune – Il destino dell’universo siamo ancora distanti dalle atmosfere cupe de Il Trono di Spade tuttavia la serie fa poco per edulcorare le atrocità: le suggerisce, le lascia immaginare oppure le descrive senza arrivare a dettagli espliciti.
La sceneggiatura è lontana dai virtuosismi di David Lynch, tuttavia riesce a catturare lo spirito del romanzo e a trasmetterne le riflessioni più originali sulla natura dell’ambizione umana, sul ruolo dei leader religiosi, sull’uso e sull’abuso delle risorse di un ecosistema. Dune è un romanzo ‘ecostorico’ e le vicende dei Fremen sono l’esemplificazione di cosa può accadere quando l’equilibrio di un ambiente viene sconvolto da mutamenti repentini che apportano un fugace benessere. Si lascia presagire il disastroso domani: il deserto ridotto a poche aree, il conseguente rischio di estinzione dei vermi, la produzione di Spezia ridotta, e i Fremen male adattati alla vita cittadina che rimpiangono gli stenti del passato.
Si riflette anche sull’uso della religione asservita a fini politici: i ‘buoni’ Atreides sfruttano le loro capacità, frutto della genetica e dell’addestramento, per entrare nelle grazie dei superstiziosi Fremen. Quando Paul si convince di essere l’essere supremo tanto atteso, l’esaltazione mistica convive con la brama di potere. La guerra santa diviene il mezzo per liberare Arrakis dal giogo dei crudeli Harkonnen, e innalzare sul trono un meno iniquo rappresentante della casata Atreides. Il potere assoluto sostenuto dal misticismo esasperato corrompe e quando il giovane, si rende conto degli errori commessi è troppo tardi per porvi rimedio. Gli imperi e gli dei si levano per svilupparsi e fatalmente cadere, e anche dentro Paul batte un cuore di tenebra.
Le idee che sostengono la serie sono originali, stimolanti e per molti aspetti attuali; la realizzazione invece purtroppo risente dei mezzi contenuti tipici delle produzioni televisive.
Gli interpreti se la cavano, con alcune discontinuità. Accanto a William Hurt – Leto Atreides, che domina la prima parte della serie, c’è un abbastanza credibile Alec Newman, nei panni di Paul Atreides detto Muad’dib. Non dispiace Saskia Reeves come Lady Jessica, mentre il ruolo di Chani, affidato a Barbora Kodetova, resta un po’ sottotono. La recitazione di Ian McNeice dà vita ad un Barone Vladimir Harkonnen caricaturale, sadico e gigionesco; quanto ai numerosi comprimari, le prestazioni sono altalenanti anche a causa della brevità dei copioni loro assegnati. A farne le spese sono soprattutto la figura tragica di Duncan Idaho, amico del Duca Leto coinvolto suo malgrado negli eventi, e il mentat Thufir Hawat, lasciati inspiegabilmente in ombra.
Tutti i personaggi si muovono davanti ad gigantesche gigantografie, allestite per l’occasione in uno studio insonorizzato nei pressi di Praga. L’artificiosità dei fondali in alcune scene è davvero manifesta, e la grafica digitale utilizzata fa poco per dissimulare le scenografie tutte posticce. Quando entra in azione l’abilità degli artisti del computer, la fusione tra fondali e ritocchi non è sempre impeccabile, ed è comprensibile, in una serie tv di inizio millennio. Gli sforzi delle nuove tecnologie, all’epoca ancora agli esordi, sono rivolti alla creazione dei velivoli e delle astronavi, oppure sono finalizzati a rappresentare le visioni di Jessica o del protagonista, rapiti da presagi e premonizioni. Funzionano meglio gli effetti speciali di tipo più tradizionale, presenti in molte sequenze. Le apparizioni dei giganteschi vermi che emergono dalle sabbie sono ancora oggi di buon impatto, e altrettanto i momenti della caccia alle maestose quanto orride creature. Se le pretese dello spettatore di oggi sono adeguate ai mezzi di un intrattenimento televisivo di qualche anno fa, l’emozione decolla.
A compensare l’occhio ci pensa la pregevole fotografia di Vittorio Storaro, con i suoi colori accesi e la capacità di incantare l’immaginazione. Il premio Oscar ha contribuito a creare la giusta atmosfera, attribuendo il rosso alle sequenze ambientate nella casata degli Harkonnen, il blu a quelle dedicate agli Atreides, e il verde per i Fremen ed i loro villaggi. La maestria di Storaro minimizza il cartongesso e la povertà delle scenografie, quando possibile; in alcune occasioni, con estrema intelligenza, il Maestro sfrutta gli ambienti artificiosi rendendoli simili ad un palcoscenico teatrale illuminato da fari.
Di gusto teatrale sono pure i costumi, disegnati da Theodor Pištěk, premio Oscar per Amadeus. Gli abiti sono ispirati ai fumetti di Moebius, autore che collaborò anni prima ad un progetto di una trasposizione cinematografica di Dune ad opera di Alejandro Jodorowsky, peraltro mai realizzata. La scelta è stata criticata, in quanto abiti ed accessori possono apparire kitsch; il risultato è discutibile tuttavia era impossibile riprodurre con esattezza quanto è stato descritto, e le somiglianze con il film di Lynch dovevano essere limitate allo stretto indispensabile.
Difficile stabilire se sia preferibile il film, sintetico e visionario, adatto ad un’elite di irriducibili appassionati, oppure questa trasposizione televisiva, assai più chiarificante sebbene modesta nei mezzi e negli intenti. Di certo quanti non hanno letto il capolavoro di Frank Herbert riescono a comprendere meglio gli avvenimenti della mini serie, senza venire spiazzati dal talento immaginifico di Lynch. Chissà come poteva essere Dune nell’interpretazione di Alejandro Jodorowsky: si avvicinò al testo con un suo progetto davvero ambizioso, doveva coinvolgere grandi nomi dell’arte e dello spettacolo, tra tutti Salvator Dalì… Probabilmente la trasposizione perfetta del romanzo deve essere ancora realizzata, ma questa serie tv è un primo passo per avvicinare ai più un classico della letteratura di genere.
Cuccussette vi ringrazia della lettura.
La recensione è stata edita da Fantasticinema https://www.fantasticinema.com/dune-il-destino-delluniverso/
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