POMPEI - miniserie
La casa di produzione Lux Vide, oltre ad aver inventato Don Matteo ha prodotto svariate miniserie di argomento storico, religioso, biografico. Nei primi anni del Duemila realizzò Imperium, vari film televisivi in due puntate da circa cento minuti, di argomento più o meno storico: ‘Augusto’, ‘Nerone’, ‘San Pietro’, ‘Pompei’ e infine ‘Sant’Agostino’.
In teoria alla base del progetto doveva esserci qualche riferimento serio alla Storia dell’età imperiale romana, poteva essere un’opera di edutainment capace di istruire e intrattenere. Purtroppo basta dare un’occhiata anche rapida alle scenografie di cartapesta, ai costumi appariscenti, ai volti hollywoodiani dei protagonisti, per capire che di compromessi ce ne sono parecchi. Qualche breve spezzone viene sfruttato anche da Alberto Angela all’interno delle sue trasmissioni, perché come ricostruzione di ambiente ha oggetti e arredi abbastanza adeguati, almeno fino a quando primi piani rivelano la finzione di colonne di gesso e spade di plastica dipinta o armature di finta pelle. Costumi e scenografie prediligono quanto colpisce l’immaginazione dello spettatore, con la logica di uno spettacolo piuttosto che con i criteri di un museo o di una rievocazione organizzata dal C.E.R.S.. Spesso vengono riciclati: lo stesso tempio si trova identico a Roma e a Pompei, e lo stesso sarto veste la gente da prima dell’anno zero fino a dopo il 400, almeno tra la gente comune. E’ ovvio come pur di minimizzare i costi, abbiano ‘personalizzato’ solamente i costumi dei personaggi principali, lasciando il popolo con la stessa moda per secoli.
Davanti a scelte imposte dai mezzi contenuti c’è poco da fare, mentre sono assai più dolorose tutte quelle rivisitazioni del passato di personaggi specifici, figure su cui ci sarebbe abbondanza di fonti da poter seguire senza stare a inventare. E’ ovvio come le sceneggiature stravolgano i fatti o li reinterpretino pesantemente pur di accontentare una platea generalista. In questo senso l’episodio Pompei è forse quello più accettabile, insieme a quello dedicato a Augusto. La storia del primo Imperatore si avvantaggia della bella prova attoriale di Peter O’Toole, il disastro di Pompei è invece una vicenda inventata di sana pianta. I riferimenti alla realtà sono pochi e molto approssimativi; compare Plinio il Vecchio, ammiraglio in cerca di fatti da divulgare come un antenato di Piero Angela, c’è l’Imperatore Tito, e poco altro.
Menomale: in questo ciclo di fiction spesso gli sceneggiatori vorrebbero cercare di inserire qualche riferimento storico accertato, e finiscono invece per inventare di sana pianta fatti o situazioni molto fantasiose. Si tratta di errori dovuti a scelte superficiali in fase di scrittura, o imposte dai mezzi contenuti, poiché è inutile sognare di imbastire una battaglia campale quando non ci sono né arcieri né frombolieri e nemmeno un numero di comparse adeguate. La battaglia in cui il protagonista viene dato per morto manca sia della fanteria pesante, sia di armi da lancio. Niente armature di metallo e niente frecce o giavellotti o frombole, figurarsi le macchine da guerra, una potente catapulta o una bella ballista. Il risultato è una scaramuccia degna di un live di L.A.R.P., non una battaglia campale della Legione, ma se i soldi non ci sono è impossibile affittare attrezzature più verosimili o pagare comparse specializzate, e nel 2007 non c’erano nemmeno tanti gruppi di rievocatori disposti a partecipare gratuitamente per farsi pubblicità.
Poi ci sono gli ‘svarioni’ dovuti alla leggerezza con cui è stata scritta la sceneggiatura, scelte volute per rendere la storia più appetibile agli occhi di spettatori distratti. Esempio: per spiegare l’odio per i cristiani si arriva a dire a un legionario che ‘tanti anni’ prima era successa una cosa orribile, l’incendio di Roma. L’Urbe bruciò nel 64 d.c. e il Vesuvio eruttò nel 79, quindici anni dopo. Sono stati due eventi che hanno segnato l’immaginario di un cittadino romano, le notizie sono circolate in tutto l’Impero e difficilmente la gente ignorava i fatti, soprattutto se abitava a Pompei che era la Beverly Hills di allora, con le seconde case dei più ricchi e stretti collegamenti con l’Urbe. Quindici anni non sono poi tanti, bastano perché un babbo o una mamma racconti i fatti ai suoi figlioli… e di leggerezze come questa ce ne sono altre, purtroppo.
La vicenda narrata è praticamente un giallo in costume che trova la sua soluzione ma proprio allora avviene l’eruzione a far giustizia, almeno per i protagonisti.
Il legionario Marco (Lorenzo Crespi) sta per sposarsi con Valeria (Andrea Osvárt) quando viene mandato in Oriente per difendere la frontiera. Viene ferito e dato per morto; torna a casa anni dopo scoprendo che c’è stato un terremoto e l’amata ha perso i genitori, la casa e i beni. Questi risultano di proprietà del potente Chelidone (Massimo Venturiello), che ha costretto sia Valeria che il fratello Ennio alla schiavitù per debiti. Adesso servono come schiavi nella villa di un ricco Edile. Marco sta per comprare la libertà per la donna e il ragazzo, quando il loro padrone viene ucciso. La legge romana condanna tutti gli schiavi a morte, e Marco che non si dà per vinto, comincia a indagare, e scopre intrighi e corruzione, anche tra quelle persone che reputava degne di amicizia…
Se lo spettatore ha un minimo di passione per la storia di Roma, bisogna che faccia un bello sforzo per accettare le premesse. Un romano orgoglioso del suo status di cavaliere o di patrizio sarebbe morto prima di accettare la schiavitù, e la bella fanciulla che accetta con stoica serenità di fare da schiava è un cazzotto nello stomaco di qualsiasi cives per bene. E’ difficile credere che un legionario accettasse in moglie una donna bellissima ma animata da ideali così poco vicini alle virtù dei Romani, plebei inclusi.
Purtroppo anche in questa fiction ai personaggi vissuti quasi duemila anni fa viene attribuito il carattere di persone di oggi, non è solo una questione di trucco e parrucco, o di abiti rivisitati con tanto di evidenti reggiseni imbottiti. C’’è poco da fare, sono rarissimi i film ‘storici’ che non siano invece film ‘in costume’, e questa è una di queste produzioni che mettono avanti l’intrattenimento all’istruzione, con personaggi che reagiscono agli eventi non secondo la mentalità dei loro tempi ma come persone del terzo millennio.
Non resta che prendere o lasciare, indignarsi per il clima da festa di paese a tema Roma antica, oppure godersi un divertente film in costume che ha comunque alcune parti riuscite molto bene, come la vivace vita cittadina o l’epilogo con i morti in riva al mare coperti di cenere e simili ai calchi dei musei, oppure le ottime interpretazioni dei comprimari.
Accettate le varie forzature, il giallo decolla, e va detto, è la parte migliore della pellicola. Il mistero della pergamena con parti dell’Apocalisse e un segreto nel retro della pagina riesce a catturare l’attenzione, poiché sfrutta modi di narrare tipici dei gialli contemporanei e ha quindi un facile aggancio con quanto lo spettatore è abituato a vedere.
Nel corso delle indagini conosciamo parecchi luoghi e personaggi di Pompei, dal taverniere cristiano con la famiglia al medico scrupoloso (il bravissimo Pannofino ), dal presunto colpevole Ennio con la moglie incinta ai burocrati, dalla gente comune a Lavinia (Maria Grazia Cucinotta) la moglie godereccia di Chelidone che si consola pagando un gladiatore gigolò, dall’ambiguo amico Tito al padre cieco di Marco che controlla l’acquedotto…
La correttezza storica viene rispettata soprattutto in questi personaggi minori, più vivi e credibili dei protagonisti. Il problema più evidente del legionario e della schiava è la recitazione sottotono, da soap, l’aver voluto due attori giovani e bellissimi, due facce da Hollywood buone per far stare davanti al televisore platee disabituate all’estetica di altre epoche, troppo pigre per immaginare una sensibilità e valori diversi dai propri. La recitazione è modesta, e il confronto con Venturiello, attore con addosso decadi di teatro, o Pannofino che è uno dei migliori doppiatori in circolazione, ma anche con altri professionisti, è crudele.
La parte dell’eruzione risente degli anni, il fuoco che si muove come nei videogiochi è visibilmente fasullo, i crolli sono realizzati artigianalmente e così le scene della distruzione. C’è di buono che come disaster movie funziona, in quanto la sceneggiatura segue le storie dei vari personaggi secondari e per ciascuno di loro chiude l’arco narrativo, senza troppe concessioni al ‘premiare’ i cittadini virtuosi o simpatici o bambini.
Siamo più vicini a un peplum anni Sessanta che a un documentario di History Channel, però trattando di personaggi di invenzione, questo capitolo si lascia vedere con minori sensi di colpa.
Cuccussette vi ringrazia della lettura.
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