LA FAMIGLIA ADDAMS

Il telefilm La Famiglia Addams, trasposizione addomesticata per spettatori della televisione generalista degli anni Sessanta delle vignette ideate da Charles Addams per il settimanale The New Yorker, ebbe un grande successo. Per la prima volta l’umorismo nero arrivava nelle case di persone abituate a ben altri soggetti, a drammi ospedalieri, a polizieschi, a sit com rassicuranti. Il telefilm andò in onda dal 1964 al 1966, poi fu seguito da un crossover con Scooby Doo, un film televisivo, una serie animata, uno speciale di Halloween. Quanto si vedeva in tv erano produzioni poco esaltanti, capaci però di mantenere vivo negli anni l’interesse per la bizzarra famiglia dark. Grazie a queste modeste riproposizioni e alle numerose repliche sui network, il merchandising relativo continuò ad essere venduto nei gadget store e il telefilm originale divenne un piccolo classico.
Finalmente nel 1991 la Famiglia Addams ebbe un omonimo live action cinematografico, diretto da Barry Sonnenfeld.
Il film è un vero e proprio reboot della serie, in quanto modifica diverse parentele e non si limita quindi ad essere un semplice prequel. Il produttore apprezzava poco il telefilm, e lo riteneva piuttosto sciocco e infantile. Era necessario svecchiare l’immagine della famiglia, riportandola alle origini e distanziandola dalla serie pur mantenendo i tratti più riconoscibili.
La produzione quindi amalgama gli elementi ormai iconici con suggestioni tratte dalle vignette, e dà un tono adulto alla narrazione. C’è l’omaggio sentito al vecchio telefilm, e poi si guarda in avanti. E’ il 1991 e bisogna adattare situazioni e copioni, aggiornandoli senza stravolgere l’idea che il pubblico ormai ha ma introducendo comunque delle necessarie novità.
Ci sono sequenze splatter come la memorabile recita scolastica do Pugsley e Mercoledì, con il duello all’ultimo… pezzo.  Si esasperano i toni fetish, ben evidenti nel rapporto amoroso tra la bella Morticia (Angelica Houston) e il focoso Gomez (Raul Julia), che si eccitano a sentir parlare di cadaveri putrefatti o gente moribonda. Ci sono molte citazioni dai grandi classici dell’horror, come nel caso della attraversata del lago sotterraneo che richiama la gondola del fantasma dell’Opera che scivola lenta con a bordo il Fantasma e Christine. 
Gli effetti speciali sono strepitosi, usati senza risparmio e valorizzati da una scelta di inquadrature esemplare. Mano per esempio può zampettare tra le persone, non è più frutto di un trucco artigianale che la costringeva dentro una scatola. Le acrobazie sono spassose, e il ritmo è perfetto. Le gag si susseguono, e anche se alcune sono più riuscite di altre, il ritmo non ha mai una pausa, divertendo lo spettatore di allora come quello di oggi.
La colonna sonora è nuova, sparisce il leit motiv col celebre hully gully e gli schiocchi di dita, che compare brevemente a inizio film, quando i familiari rovesciano un calderone colmo di chissà quale schifezza sul coro itinerante che intona il natalizio Carol of the bells. E’ abbastanza per far riconoscere i personaggi, poi la colonna sonora prevede l’accompagnamento strumentale o la strepitosa danza della Mamushka, e un bel rap di McHammer, che accompagna i titoli di coda.
il target degli spettatori è decisamente più adulto e i bambini sono benvenuti al cinema, però non sono più il riferimento su cui calibrare le gag.
I personaggi hanno una forte carica sessuale, sono teneramente pericolosi come Fester, truci e disincantati come la figlia maggiore Mercoledì, pestiferi e dolci come il fratellino minore Pugsley. Il cugino Itt rimorchia, il maggiordomo torna a esprimersi con grugniti. Tutti sono interpretati da attori di grande carisma, capaci di rendere le sfumature del carattere: il compianto Raul Julia, Angelica Houston con la sua bellezza inusuale, l’indimenticabile Christopher Lloyd, una strepitosa Christina Ricci…e caratteristi affermati.
La vicenda narrata è veramente esile, si basa sulla ricomparsa di Zio Fester (Christopher Lloyd). Lo zio è disperso da ben venticinque anni dopo essere fuggito di casa in seguito a un diverbio con Gomez per una faccenda di donne. Quando finalmente Fester riappare nella vita della famiglia, dovrebbe essere un impostore, Gordon, il figlio di una strozzina (Elizabeth Wilson). L’avida donnaccia ha infatti saputo dall’avvocato Tully Alford (Dan Hedaya) che gli Addams vivono senza lavorare perché possiedono un tesoro in dobloni d’oro e che farebbero di tutto per riabbracciare lo zio scomparso. Per caso Gordon assomiglia al congiunto; per poter mettere le mani sul malloppo la strozzina decide di spacciare il figlio per lo zio e presentarlo agli Addams. Spera di ingannarli e di fare in modo che approfittando di qualche momento favorevole, Gordon possa derubarli per poi scappare con lei. Mentre gli adulti accettano subito il nuovo arrivato, i bambini dubitano, scoprono l’inganno, però l’uomo poco a poco si integra nella famiglia e manda all’aria i piani della madre…
Fino a pochi minuti dai titoli di coda lo spettatore dubita dell’identità del grosso uomo calvo che viene accompagnato alla porta della cupa magione da una psichiatra. Non si tratta però dell’ennesima commediola basata su scambi di identità, o piuttosto, è anche questo, ma è soprattutto una riflessione su cosa significhi ‘famiglia’ oggi. Per molti è un legame di sangue basato sulla biologia, con il dovere di accettare anche parenti sgraditi e l’adozione come ultimo ripiego quando ogni altro sistema per aver figli è fallito miseramente. Per altri il DNA passa in secondo piano, e a fare la famiglia sono affinità elettive, comunanza di gusti e abitudini, scelte. Fester sceglie col cuore, ripudia la madre che lo tiranneggia e lo tratta come un bambino, con un legame tossico, e si riconosce come Addams. Purtroppo il finale originale previsto dal regista è stato scartato per una conclusione più rassicurante e convenzionale. Prevedeva che Fester fosse davvero un impostore, però tanto affine a un vero Addams, da esserlo lo stesso. Avrebbe dato una risposta netta al dibattito tra biologia e sentimento: essere un Addams sarebbe diventato un vero e proprio stato mentale.
Gli Addams ovviamente sono i diversi, mostri che non possono davvero integrarsi nella società delle persone comuni. Possono provarci, con esiti tragicomici che fanno riflettere anche sul ruolo dei soldi quando si voglia essere davvero liberi. Fino a quando possiedono la magione e i dobloni, gli Addams non devono confrontarsi con la massa di persone omologate. Gli Addams non hanno bisogno di loro e loro non hanno bisogno degli Addams. Quando invece il giudice e vicino di casa li priva della proprietà, mettendola nelle mani di un Fester ancora assoggettato alla madre, allora assaggiano cose voglia dire essere diversi in una società poco inclusiva. Non c’è bisogno di inserire personaggi di colore o LGBT+ o disabili o di altra minoranza: la riflessione sull’integrazione possibile ma a volte anche mal attuabile viene porta con intelligenza. A far prendere le parti degli Addams, c’è il triste ritratto della gente comune. Con l’eccezione della moglie dell’avvocato, conquistata da Itt e destinata a unirsi al variegato clan degli Addams, la gente comune si rivela una delusione continua. La madre di Gordon è una criminale e tiranneggia il figlio. L’avvocato sfrutta l’estrema ingenuità degli Addams, e organizza il complotto. La maestra dà l’idea di un sistema educativo che, pur di far sentire tutti uguali, sacrifica le differenze, livella verso stili di vita provinciali e opachi, e falsamente include, dato che Mercoledì e Pugsley hanno un loro assolo, non sono coinvolti in scene corali, e poi vengono condannati con l’assenza di applausi fa parte della platea di genitori. Viene da chiedersi se siano meglio degli strampalati ‘diversi’, e se mai potrà esserci una convivenza capace di rispettare le differenze; almeno negli USA del 1991, la risposta è sinceramente dubbiosa.
Le riflessioni sono decisamente adulte, le battute e le gag non indietreggiano davanti al tabù delle pratiche sessuali sadomasochistiche, del fetish, del cannibalismo, della morte stessa. Lo spettatore ha modo di assaporare l’humor nero, poco corretto e satirico nel dare una rappresentazione grottesca dei fatti.
Il film è quasi perfetto. Per avere il tempo di ricreare i personaggi in versione moderna, e offrire questi spunti di riflessione c’è un prezzo da pagare non indifferente. La trama è semplicissima, quasi puerile, è poco più di uno schema su cui inserire le varie ‘vignette’. Tolte le strampalate scene di vita familiare, succede poco. I telefilm erano rivoluzionari per l’epoca più per l’humor macabro che per gli intrecci, dopotutto era une sitcom servita in salsa dark e non poteva sviluppare chissà quale varietà d’avventure. Il film eredita questa caratteristica, peggiorandola in quanto la lunghezza di novantanove minuti esaspera quanto era già latente nei venticinque minuti delle puntate.
E’ un difetto grosso e tuttavia perdonabile, a fronte della magnificenza estetica, della confezione impeccabile, delle interpretazioni. E’ una pellicola apparentemente frivola, di puro intrattenimento, un blockbuster dagli incassi eccezionali, con una marcia in più. Non è un caso se tutti i prodotti relativa alla Famiglia Addams si rifaranno come lore ai due film di Sonnenfield. O se a distanza di tanti anni resta un film godibilissimo, davvero invecchiato bene.

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

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