MOSCHETTIERI DEL RE - LA PENULTIMA MISSIONE
Oggi sembra difficile credere che pirati, avventurieri e moschettieri siano stati protagonisti di tanti film realizzati in Italia, pellicole senza troppe pretese eppure capaci di regalare un’ora e mezza di evasione consapevole e divertente. Quelle figure immortalate sulle locandine di inizio anni Sessanta ci ricordano di come un tempo si andasse al cinema per divertirsi, e di quanto sia difficile oggi poter riproporre certi soggetti, soprattutto nel nostro Paese. Forse è stata colpa di una certa critica che ha relegato le produzioni di genere nel limbo dell’escapismo, della ‘serie B’ assegnata a tavolino per l’argomento trattato, distante dal realismo e dall’impegno civile più esplicito. A contribuire al declino del genere ‘cappa e spada’ ci sono state anche le richieste del pubblico che si è fatto più smaliziato e ha iniziato a snobbare le ricostruzioni storiche approssimate. Più probabilmente le cause si sono sommate, e così D’Artagnan, Scaramouche e compari in Italia ormai sono figure lontane, relegate a un passato poco rimpianto.
Incuriosisce e sorprende la pellicola Moschettieri del re - La penultima missione diretto da Giovanni Veronesi e uscito nelle sale nel periodo natalizio del 2018. Si tratta di un apocrifo, basato vagamente sui romanzi di Alexandre Dumas padre, e ispirato piuttosto ai grandi classici della commedia in costume, dall’Armata Brancaleone a Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno fino al 2061: un anno eccezionale.
La regina di Francia, Anna d'Asburgo, richiama i moschettieri per sventare i piani del Cardinale Mazzarino, deciso a massacrare gli Ugonotti che per sfuggire alle persecuzioni si dirigono verso l’Inghilterra. Dei moschettieri sono rimasti solo i quattro protagonisti dei romanzi e ormai sono stanchi e invecchiati. D'Artagnan alleva i maiali, e viene convinto a lasciare la fattoria per andare a richiamare i vecchi compagni: Athos malato di sifilide e dedito ai piaceri carnali, Aramis rintanato in un convento per sfuggire ai creditori, Porthos alcolizzato e dedito all’oppio…. Nonostante gli acciacchi, ce la metteranno tutta per far rispettare la volontà della sovrana, raggiungendo il paese di Suppergiù…
La sceneggiatura ideata da Veronesi e Nicola Baldoni guarda per un attimo ai vecchi film di cappa e spada, poi si sofferma sull’Armata Brancaleone e rivisita la materia alla luce della lezione picaresca di Monicelli. La penultima missione è una sorta di road movie ambientato nella Francia del Seicento, una commedia in costume con una struttura a episodi analoga a quella del capolavoro di Monicelli, e personaggi che ricordano per parallelismi il medioevo picaresco e sconclusionato. Ci sono richiami all’attualità dell’emigrazione, con i barconi degli Ugonotti diretti verso l’Inghilterra, tuttavia sbiadiscono presto e il film va verso la citazione, in un’ardita sperimentazione di ibridazione di generi e in un sentito omaggio al glorioso passato. D’Artagnan parla un francese sgrammaticato e maccheronico analogo al volgare di Brancaleone da Norcia, i moschettieri si esprimono in dialetti diversi, e c’è il Servo Muto, un gigantesco servitore privo di parola che conclude la sua esistenza in una scena che ricorda la morte dell’Ebreo Abacuc. Le citazioni o meglio i parallelismi sono sicuramente un grande punto di forza di questa pellicola, e possono accontentare sia i cinefili, sia quanti sono stanchi delle solite commedie di ambientazione contemporanea e preferiscono le parodie fracassone ma non troppo.
L’intreccio avventuroso ovviamente è irrinunciabile, perché pur sempre si parla di Moschettieri con tutto l’immaginario che ruota attorno a simili personaggi, tuttavia resta in secondo piano. E’ molto interessante la fusione degli stereotipi dell’avventura in costume, della commedia d’autore di Monicelli e Salvatores, delle suggestioni da musical come quelli con Domenico Modugno, o da vecchia parodia del Quartetto Cetra. La fusione è originalissima, può però amaramente deludere lo spettatore appassionato di ‘veri’ film di cappa e spada, proprio perché la comicità ha sempre il sopravvento sull’azione. I momenti drammatici sono brevi parentesi e l’avventura resta sempre sottotono, poco verosimile e poco spettacolare, almeno per quanti sono abituati a produzioni destinate a platee internazionali.
Eventuali paragoni con la serie The Musketeers della BBC sono inopportuni, nonostante quello di Veronesi sia un film e quella di Adrian Hodges ‘solo’ un prodotto televisivo. Questo è probabilmente il problema più grosso della pellicola: la sceneggiatura punta tutto sulle interpretazioni dei quattro protagonisti, D’Artagnan (Pierfrancesco Favino), Porthos (Valerio Mastandrea), Athos (Rocco Papaleo), Aramis (Sergio Rubini). Non sono gli attori che Veronesi sperava di impiegare, avrebbe desiderato Troisi, Benigni, Nuti e Verdone, vivi e all’apice del successo negli anni in cui l’idea di fare una commedia di cappa e spada iniziò a prendere forma. Quando i nostri eroi hanno la spada in mano o devono confrontarsi con avversari, la credibilità va a farsi benedire. Probabilmente gli attori delle produzioni internazionali sono stati scelti tenendo conti anche delle capacità atletiche, mente Veronesi ha preferito quattro interpreti abili nelle parti comiche e in quelle drammatiche, sorvolando sulle altre capacità. Loro sono i veri mattatori, mentre i ruoli femminili si rivelano abbastanza scialbi, necessari per fare avanzare l’avventura e appagare l’occhio di una platea generalista. La Regina (Margherita Buy) è ovviamente presenza obbligata per innescare gli eventi, l’Ancella ( Matilde Gioli) è una macchietta, Milady (Giulia Bevilacqua) cospira con il Cardinale Mazzarino ( Alessandro Haber, qui sfruttato poco e in modo poco incisivo).
Purtroppo i movimenti di macchina non aiutano a compensare le ovvie imperizie schermistiche o la goffaggine degli scontri e inseguimenti; le riprese valorizzano i primi piani e sovrabbondano di sequenze paesaggistiche fatte col drone, unica concessione alla modernità che però serve per valorizzare le magnifiche locations della campagna di Matera.
Il montaggio risulta lento, assomiglia a quello che ci si può attendere da una pellicola di quarant’anni fa, da apprezzare con spirito vintage, lontano dalle prodezze della grafica digitale.
Manca l’adrenalina, e anche come parodia, il regista si mantiene su un registro adatto a tutti, magari non ai più piccoli perché ci sono parolacce e situazioni sopra le righe, però nemmeno rivolto a veri appassionati dei film di cappa e spada.
Le suggestioni da musical ogni tanto emergono, con stornelli alla chitarra, con abbinamenti inconsueti di canzoni moderne a scene epiche, come la partenza dei moschettieri finalmente riuniti sulle note di Prisencolinensinainciusol di Celentano. Ci sono incursioni nel jazz e brani moderni, oltre a partiture originali di Checco Zalone. L’insieme ricorda un po’i vecchi musical eroi comici con Domenico Modugno protagonista, da Scaramouche ai ‘suoi’ Tre moschettieri, e anche ammicca a Il destino di un cavaliere (A Knight's Tale). La scelta di avere una colonna sonora moderna invece di ricercare brani barocchi o imitarli è comprensibile, visto il tono generale scanzonato della pellicola, che rifugge da ricostruzioni storiche davvero accurate e fa indossare agli spadaccini occhiali da sole ultimo modello.
Il target è quello delle famiglie, nonostante tutte le volgarità che si alternano a gag invece molto divertenti. Lo spettatore si ritrova a vedere una commedia in costume simpatica e scorrevole, con un umorismo guascone, a volte di grana grossa, a volte pungente e spesso malinconico, in quanto gli eroi sono decaduti e la vecchiaia incombe su di loro.
Il sapore agrodolce ha il suo culmine nell’epilogo, che non lascia indifferenti, spiazza e motiva le varie incongruenze della sceneggiatura. Può essere letto come un escamotage necessario per motivare i buchi di trama e le ingenuità, in quanto c’è una ragione per cui la storia procede anche con forzature naif, proprio come potrebbe immaginarla la fantasia di un bambino che ama leggere romanzi storici. L’epilogo che probabilmente ha fatto storcere il naso a molti può essere letto come un messaggio di speranza. Per quanto la vita possa essere triste, gli eroi sono sempre pronti a vivere nelle utopie di quanti sanno ancora credere in loro, e dare spazio alla fantasia aiuta a superare i momenti peggiori. In questo senso, il messaggio arriva allo spettatore senza troppa retorica, e recupera in un certo senso l’affetto degli appassionati della letteratura e del cinema di genere, con un omaggio sincero.
Pur con i suoi limiti, il film è una pellicola perfetta per il periodo natalizio: non è un cinepanettone ma strappa risate ben più intelligenti, non è un film di cappa e spada tradizionale ma può essere amato da quanti gradiscono il genere, non è un musical però ha un uso della colonna sonora affine agli spettacoli teatrali… e ha alcuni dettagli dell’epilogo che ammiccano alle festività.
Senza attendersi un capolavoro, o la rinascita del cinema di genere, merita una visione.
Cuccussette vi ringrazia della lettura.
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