BAKER STREET - THE RETURN OF SHERLOCK HOLMES
L’idea di portare Sherlock Holmes ai nostri giorni e fargli vivere nuove avventure può far sorridere, perché fa pensare ai pastiches più assurdi, sulla scia dei B-movies con Dracula che faceva a botte contro Frankenstein e chi vinceva sfidava l’Uomo Lupo. Non si tratta infatti di avere uno Sherlock Holmes moderno, un personaggio ispirato alla creazione di sir Arthur Conan Doyle ma nato nella seconda metà del Novecento e cresciuto nella nostra epoca, come avviene nella serie Sherlock della BBC o in Elementary!. Il presupposto del ritorno di Sherlock Holmes è far arrivare il detective nel nostro mondo, con tutto il suo retaggio di uomo benestante vittoriano, con i suoi vizi poco edificanti e i limiti culturali dell’epoca. E non è facile. Lo spettatore deve fare una grande fatica, prima ha da accettare che un personaggio che sapeva essere di fantasia sia invece reale, poi ha da accettare un mezzo ‘magico’ che gli faccia attraversare il tempo. Che sia un incantesimo, un’arma segreta, che sia una macchina del tempo, o altro prodigio della tecnologia, è comunque un bello sforzo per la fantasia dello spettatore, che poi deve anche accettare le censure imposte al carattere di un uomo della sua epoca, classista, probabilmente razzista, misogino, e abilista. Nonostante le difficoltà, in America questa idea si è trasformata in un soggetto con un grande potenziale, tanto che ci sono stati due film televisivi che hanno sviluppato il plot, e si sono susseguiti con una distanza di pochi anni. Il primo è stato quello di Kevin Connor per la CBS nel 1987, The Return of Sherlock Holmes. Nel 1993 è uscito Baker Street - Sherlock Holmes Returns, una sorta di remake.
Questo secondo tentativo rivede e corregge quelli che sono i punti deboli della prima pellicola, o almeno ci prova.
C’è ancora una donna come ‘spalla’ di Sherlock Holmes, però stavolta è Amy Winslow (Debrah Farentino), una dottoressa per niente impacciata, un personaggio tosto che rende maggior giustizia al povero Dottor Watson, troppo spesso ridotto a spalla comica, a uomo comune, amico fedele un po’ tontolone. Invece soccorre Holmes salvandogli la vita, ma crede alle sue parole solamente quando mette insieme diversi indizi, lo strano contratto per la gestione della casa dove è conservata la capsula con Holmes, la scomparsa del misterioso acquirente, le lettere, le foto.
Holmes riemerge dall’ibernazione che si è procurato con le sue stesse mani per sfuggire alla noia. Dopo aver sconfitto Moriarty, non c’era nessuna sfida nella sua epoca che davvero lo stimolasse e stava finendo per deprimersi ed abusare di cocaina. Quindi mise a punto un sistema per ibernarsi, e sotto falso nome comprò casa in America. Prima di immergersi nel lungo sonno dispose che la famiglia del dottor Watson avesse un vitalizio per risiedere in quella casa, vigilare sulla distribuzione di corrente e quindi sull’apparecchiatura fino all’anno 2000. L’idea è sicuramente bislacca, però pare migliore di quella usata nel primo film, con Holmes che si fa ibernare poiché è malato di peste bubbonica. Stavolta Holmes si risveglia in seguito ad un terremoto che causa un black out di breve durata, sette anni prima del previsto, nel 1993. Oltre novant’anni senza una interruzione di corrente, senza un riammodernamento dell’impianto, sono sicuramente duri da accettare per gli spettatori più esigenti, però sono sempre meno incredibili rispetto alla peste curata a casa da una donna che non si intende di medicina e non teme il contagio. Più discutibile è la decisione di far accadere ancora una volta i fatti negli USA, ambientazione già vista nella prima versione e voluta sia per avvicinare il personaggio alla realtà quotidiana dello spettatore americano, sia per ridurre i costi. E’ una scelta che ridimensiona la forza della narrazione, sradicando l’eroe dalla realtà britannica che è parte del suo fascino.
Che venga soccorso e rianimato da una dottoressa invece rende la resurrezione meno improbabile, senza nulla togliere al mix di dramma e comicità dell’evento. La vicenda in fondo è una fanfiction in grande stile, e amalgama momenti hurt comfort in cui Holmes è in difficoltà e per cavarsela necessita dell’aiuto di Amy, a parti umoristiche dove ogni elemento è esagerato, quasi fosse una parodia. Si ride ovviamente del povero detective che è come un pesce fuori dall’acqua nel nostro mondo, e non capisce i cambiamenti che può aver avuto la lingua, e le usanze, così che viene preso per un povero svitato.
C’è di buono che stavolta il film non si prende mai davvero sul serio, ha una leggerezza e una giocosità che rendono accettabili le trovate più assurde. Anche l’entrata in scena di Holmes funziona, compare di colpo davanti all’ignara dottoressa, con un look da Matusalemme e un azzeccato jumpscare.
Il celebre detective è interpretato dal bravo Anthony Higgins, solido attore di teatro che già era stato Moriarty nel cult Piramide di Paura (Young Sherlock Holmes). La sua recitazione è costantemente sopra le righe, la sua faccia non è priva di un certo appeal però appare anche buffa, la parlantina logorroica e i modi sbruffoni anticipano l’Holmes demenziale e steampunk dell’Asylum (Sherlock Holmes e la corona di Inghilterra) e anche la versione fracassona di Robert Downey Jr.
Quanto il povero detective possa essere a disagio nel mondo d’oggi lo si capisce da alcune situazioni disseminate nell’arco dell’intera storia, dal suo ignorare la politica, o le invenzioni che ci sono state e che hanno modificato i costumi. Lo stesso duello contro i ladri che vogliono rubare l’auto di Amy, oltre a introdurre un gruppo di informatori, fa capire quanto Holmes sia lontano dal mondo di oggi, e indifeso. Mentre la prima pellicola perde ritmo e usa il tempo per raccontare i sentimenti di Holmes nei primi venti minuti, lasciando poi quasi da parte ogni introspezione per raccontare il giallo, in questo remake l’alienazione del detective emerge poco alla volta, durante tutta la lunghezza della vicenda. Che sia uno sguardo al cielo solcato dal volo di un areoplano, il voler indossare abiti vittoriani in netto contrasto con la folla sbracata della metropoli, il non saper usare le tecnologie e finirne vittima, il dramma di Holmes emerge poco alla volta, mano a mano che l’uomo si rende conto delle difficoltà e si dà da fare come può per restare a galla in un mondo che lo ha lasciato indietro. Tra l’altro non può più scappare ibernandosi nuovamente, poiché gli ingredienti del farmaco usato per il processo di congelamento non sono più reperibili. Holmes è condannato a quel futuro, non sa ancora rapportarsi con le donne che hanno cambiato il proprio status e possono scegliere di non essere delle cinguettanti ochette. Trova gente di colore in posizioni di responsabilità, e non è preparato alla delinquenza di una metropoli moderna. Si accorge anche che le sue deduzioni possono essere sbagliate, poiché le variabili delle cause nel mondo contemporaneo sono assai più ampie di quante non ce ne fossero in passato e si rende conto di non poterle prevedere tutte.
Battute chiariscono lo scarso interesse romantico da parte del nostro eroe, anche se si lascia immaginare che prima o poi la dottoressa possa fare breccia nel suo cuore, proprio perché Holmes può solo cambiare per adattarsi al nuovo mondo, oppure soccombere. Il gender swap del Dottor Watson in questo caso porta ad avere un secondo protagonista in cui possono rispecchiarsi le spettatrici. D’altronde si tratta pur sempre di un film realizzato per la televisione, media che impone come target di spettatori anche casalinghe abituate alle soap opera piene di storie d’amore, ai gialli privi di violenza esplicita, agli eroi di una realtà disegnata in bianco e nero dove i cattivi sono malvagi sette giorni su sette, e i buoni son angeli sulla terra.
Compare anche il super criminale Moriarty, o meglio i suoi discendenti. Stavolta l’intreccio poliziesco è più confuso, ma in fondo non è così essenziale ricostruire tutti i passaggi con logica puntualità, perché in fondo il film omaggia Sherlock Holmes e le sue indagini strampalate, la sua mente eccelsa, e si basa sul contrasto tra passato e presente.
L’idea era quella di trasmettere un episodio pilota per poi lanciare una serie con Sherlock Holmes ai giorni nostri. Purtroppo non è avvenuto, e al massimo oggi ci sono rivisitazioni ispirate più o meno alla lontana, come Elementary. Ma è un’altra cosa.
Cuccussette vi ringrazia della lettura.
La recensione è stata edita su questo sito nel 2025. Vuoi adottarla? Contattami su Facebook, sono Florian Capaldi !

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