L' UOMO CHE VISSE NEL FUTURO

CINEMA, TV E VIAGGI NEL TEMPO

Il tema del viaggio nel tempo è stato spesso sfruttato dalla letteratura e dal cinema, anche se con modalità ed esiti assai diversi tra loro. I viaggi avvengono tramite un’apposita strumentazione, come le varie “macchine del tempo”: dall’automobile di Ritorno al Futuro al T.A.R.D.I.S del Doctor Who, al Tunnel di Kronos, alle sofisticate apparecchiature di Timeline o de L’Esercito delle Dodici Scimmie, di Quantum Leap o di Terminator, fino alla magica clessidra di Hermione Granger in Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban…

Oppure attraverso tecniche di meditazione, come l’auto-ipnosi del protagonista di Ovunque nel Tempo, le droghe e la deprivazione sensoriale di The Jacket, la visione ipotetica e stralunata di Donnie Darko o quella romantica e struggente de Il Ritratto di Jeannie.

Molte opere trattano l’argomento come pretesto per imbastire commedie in cui l’umorismo si basa sugli equivoci che nascono dalla contrapposizione tra usi e abiti mentali di oggi, di ieri e di domani. Altre partono con presupposti “seri”, salvo poi risentire di sceneggiature banalizzanti e superficiali. In quei casi i paradossi temporali vengono affrontati solo perché di moda o in quanto furbo sistema per poter riciclare set e teatri di posa già predisposti per produzioni più ricche. Ciò avveniva soprattutto nel passato precedente all’uso delle animazioni computerizzate, oggi la grafica può fare miracoli con costi più ridotti e la necessità di adattare la sceneggiatura al budget è meno impellente. Ci sono stati film e telefilm che hanno invece fatto un uso intelligente del tema dei viaggi nel tempo, abbinando di volta in volta all’azione e all’avventura riflessioni sull’uomo e sul suo destino, sulla possibilità di essere o meno artefici di sé stessi e della propria sorte, sul ruolo dell’arte e della memoria, sul senso della legge e il ruolo della morale nel formarsi delle civiltà, sull’evoluzione della specie, sul rapporto tra classi sociali…

IL PRECEDENTE LETTERARIO

L’uomo che visse nel futuro è un film del 1960; ha alle spalle il romanzo breve di Wells, The Time Machine, scritto nel 1895. Wells è stato uno dei Padri della Fantascienza e in particolare di quella corrente che, cento anni dopo la sua nascita, sarebbe stata catalogata come “Steampunk”. Nelle opere di questo sottogenere, il futuro viene caratterizzato dalla presenza di macchine straordinarie, mosse dal vapore o da altri carburanti, grandiose come nelle fabbriche della Rivoluzione Industriale. Si respirano atmosfere vittoriane, espresse dall’abbigliamento che rivisita finanziere, tabarri, camicie accollate e pizzi; dalle decorazioni di utensili, armi e quanto altro; dall’arredamento delle case, molto spesso edifici antichi o neogotici; fino al comportamento dei personaggi, misurato e nel caso dei protagonisti mai volgare, spesso pronto ad abbandonarsi al sentimento. Le diverse opere possono essere state scritte in epoca vittoriana-edwardiana, oppure essere un’interpretazione moderna delle caratteristiche attribuite a quel periodo storico. Gli elementi tipici compaiono, anche se non è una produzione “genuina” – un po’ come il cartoon Atlantis o ne La Leggenda degli Uomini Straordinari.

Lo scrittore inglese Wells è vissuto proprio a cavallo tra ’800 e ‘900, aveva ricevuto un’educazione scolastica di tipo tecnico-scientifico, discontinua a causa delle modeste condizioni economiche della sua famiglia. Nonostante le ristrettezze e gli anni di scuola persi poiché doveva lavorare per mantenersi, riuscì a divenire prima insegnante e poi scrittore a tempo pieno. Aveva conosciuto di persona esponenti e divulgatori delle teorie evoluzionistiche, tra i quali HUXLEY. Le valide esperienze stimolarono la sua immaginazione portandola a concepire utopie, anche politiche, dotate di basi scientifiche convincenti. L’opera di Wells ha dato vita di volta in volta a sogni e incubi dell’uomo moderno, sfruttando temi universali ed ancora oggi attualissimi. Oltre a La Macchina del Tempo, suoi sono L’isola del Dottor Moreau, L’uomo invisibile e parecchi titoli non tutti tradotti in italiano. Sua è anche La Guerra dei Mondi: prima di far da soggetto a due grandi omonimi film, venne resa alla radio dal giovane ORSON WELLS, che riuscì a spaventare mezza America grazie alla sua geniale trasposizione.

THE TIME MACHINE – L’UOMO CHE VISSE NEL FUTURO

L’uomo che visse nel futuro è l’adattamento cinematografico del romanzo breve The Time Machine. Oltre cento anni fa, un giovane inventore crea un congegno capace di portarlo avanti o indietro nel tempo. La macchina assomiglia ad una specie di elegante slitta o sidecar, con sedile in pelle e rifiniture d’epoca, e riporta sul cruscotto “manifactured by H.G. Wells”. L’inventore è un dilettante, un giovane scienziato sognatore, delle cui idee dubitano spesso anche i suoi più fidati amici. Stanco della sua epoca, sceglie di avventurarsi nel futuro, in una sera di Capodanno di fine secolo. Il domani in cui il nostro scienziato si ritrova è poco roseo. Vede infatti gli effetti dei bombardamenti della Guerra Mondiale, poi una catastrofe nucleare, fino allo sconvolgente, lontanissimo futuro.

Migliaia di secoli dopo Cristo, l’umanità sopravvissuta all’atomo ha ritrovato un apparente equilibrio nell’ecosistema, ma si è divisa in due fazioni. Ci sono i bruti Morlock di aspetto scimmiesco, mangiatori di carne, vulnerabili alla luce solare. Sono la progenie albina di quanti andarono a rifugiarsi nei bunker sotterranei durante il disastro. Dispongono di una tecnologia rudimentale e vivono allevando e divorando i pacifici, inetti Eloi. Questi ultimi, tutti giovani e umani, sono i discendenti di coloro che scelsero invece di continuare a vivere in superficie. Gli Eloi vivono senza tecnologia o libri, in un eterno presente fatto di giornate trascorse all’aperto, nell’ignoranza di cosa voglia dire invecchiare o lavorare. Sono infantili ma, a differenza di un bambino, si dimostrano molto passivi, incapaci di prendere decisioni autonome, neppure commettendo errori. A tutto pensano i Morlock, che li nutrono, forniscono loro il necessario affinché divengano ottima carne, e li controllano inculcandogli alcuni riflessi condizionati, così alla sera, per esempio, il suono di una sirena sospinge gli umani a riposare nei ruderi di un edificio.

Serve tutto l’impegno del protagonista per convincere gli Eloi a ribellarsi ai loro grotteschi “allevatori”. Alla fine, l’intelligenza ed il coraggio dello scienziato vengono premiati.

Egli vorrebbe restare nel futuro, ma un incidente – rimane bloccato con la macchina nell’antro dei Morlock, dietro una parete franata – lo obbliga a far ritorno nel presente. Ricompare allora davanti agli amici, racconta la sua fantastica avventura, tra l’incredulità e la meraviglia. Infine sposta la macchina del tempo, la trascina lontano da dove nel futuro sorgerà l’edificio Morlock, e scompare di nuovo.

Prima di ripartire per costruirsi un nuovo futuro, prende con sé tre libri, il cui titolo è lasciato all’immaginazione dello spettatore.

NARRAZIONE MATURA

La vicenda, pur basandosi su un presupposto al momento irrealizzabile, ovvero la costruzione di una macchina per viaggiare nel tempo, riesce a mantenere una certa coerenza senza scadere in soluzioni troppo comode e banali, e seduce grazie alle atmosfere ricche di senso di meraviglia.

La macchina viene presentata senza lunghi preamboli, si sorvola sull’esatto funzionamento e sui passaggi necessari alla sua costruzione. Viene evidenziato un dettaglio assai poco ingenuo: chi viaggia nel tempo può spostarsi solo d’epoca, ma resta ancorato nello spazio. Se il viaggiatore usasse la macchina a Parigi sotto la Tour Eiffel, potrebbe approdare nella città ai tempi della Rivoluzione Francese e non vedere il monumento perché ancora da costruire, o a quelli dei Mondiali di calcio e trovarsi nella piazza invasa dai tifosi. Sempre rimarrebbe nella città e nel punto preciso che occupava al momento della partenza.

La sceneggiatura risparmia allo spettatore assurde storielle di gente che va a spasso nel passato e nel futuro finendo chissà come mai per incontrare sempre e solo i soliti personaggi famosi, in posti celebri, agghindati come li vediamo nei ritratti del sussidiario della scuola elementare. Cesare, Carlo Magno, Napoleone… nemmeno i nostri baldi crononauti si fossero materializzati in una casa di cura per malati mentali, di quelle che le barzellette sui “matti” hanno reso celebri malgrado la loro tragica realtà. Trovata assai conveniente, quella di ambientare l’azione esclusivamente nel futuro: ognuno è libero d’immaginarsi il mondo del domani come meglio crede. Lo scenografo può rappresentarlo ricorrendo a tutti gli elementi che trova utili, senza cadere in contraddizioni o in rielaborazioni imprecise, senza essere obbligato a spese necessarie o approssimazioni inevitabili. Viene evitato il clima naif delle ricostruzioni del passato realizzate senza precise competenze storiche o senza danaro sufficiente a ricreare scenografie attendibili, con i gladiatori in slip, orologio e calzini e le ballerine in calzamaglia color carne, come vedettes di avanspettacolo…

Quanto ai nemici, i Morlock non hanno una singola identità, nel senso che sono tutti più o meno della medesima corporatura e identico trucco.

Si evita la tentazione di creare un villain di eccezione, e con maggiore realismo si mostrano invece parecchi aguzzini privi di nome. Negli aspetti più esteriori L’uomo che visse nel futuro dimostra gli anni trascorsi, ma nella sostanza è ancora attuale, più moderno del remake realizzato pochi anni fa. Quest’ultimo è un film spettacolare, purtroppo abusa di stereotipi e, artificioso come appare, fa preferire la vecchia versione, anche perché essa, pur priva degli espedienti digitali, evita effetti speciali rozzi o gratuiti. Si vede come, per l’epoca in cui venne girato, le tecnologie impiegate erano quanto di meglio a disposizione. Il trascorrere del tempo viene reso mostrando fiori che sbocciano, lancette che si muovono, oppure alternando rapidamente il buio e la luce, e un manichino di un negozio di abbigliamento femminile cambia i capi indossati a seconda della moda. I Morlock sono attori truccati, e non poteva essere altrimenti, in un’epoca che non poteva avvalersi di ritocchi digitali. Va detto che vengono inquadrati poco, senza indugiare in descrizioni minuziose del loro aspetto; lo stesso si può dire delle caverne in cui vivono, che probabilmente non farebbero paura nemmeno a un ragazzino.

L’uomo che visse nel futuro non è perfetto, ma la qualità complessiva è alta, gli interpreti sono abbastanza convincenti, ed è un classico che si lascia vedere e rivedere, senza stancare. LIBRO E FILM

Nonostante la presenza dalla grande invenzione della Macchina, che Asimov stesso riconobbe come assoluta novità, il testo letterario rientra nella tradizione britannica del viaggio utopico alla scoperta di civiltà che riflettono la nostra, in modo distorto. Sospeso com’è tra avventura, satira e utopia, il viaggio nel tempo assomiglia quindi più alle disavventure di Gulliver che non a una storia di esplorazioni spaziali.

Rispetto alla pagina scritta, nel film ci sono compromessi, volti soprattutto a rendere più spettacolare la trama, adeguandola al gusto degli spettatori. Prevedibilmente, sul grande schermo le idee politiche dell’uomo Wells sono state blandite o eliminate. La scelta è dovuta al fatto che nei film dalle propensioni di blockbuster, a prescindere dal genere, si tende ad evitare ogni schieramento netto, che possa fare propaganda ideologica.

Ovviamente un regista vive in una società, e se è abile potrà comunicare le sue idee in modo meno scoperto; oppure rinuncerà alla Gloria con l’$ maiuscola e si dedicherà a produzioni indipendenti, che gli permetteranno di esprimersi con minori limitazioni e minori incassi. Wells era socialista (di una sinistra diversa da quella marxista leninista) e sognava l’abbattimento delle barriere tra stati. In The Time Machine i ricchi capitalisti divengono gli Eloi, mentre il popolo abbrutito dalla fatica si trasforma nei Morlock. L’ambiente terrestre viene sì migliorato dall’opera umana, ma nel contempo l’uomo tecnologico si snatura, o diviene inetto o cannibale, senza apparente possibilità di conciliare progresso estremo e umanità. Nel caso particolare de L’uomo che visse nel futuro, le interessanti riflessioni del racconto originale sono difficili da rendere senza rallentare gli elementi di azione e avventura che lo spettatore medio ricerca in un film di questo tipo. Di conseguenza, il libro è stato adattato. Lo svolgimento del viaggio introduce dettagli che “attualizzano” la narrazione letteraria, pur senza stravolgerla. Gli incontri del protagonista con l’amico e i suoi discendenti sono pretesto per mostrare la guerra mondiale e l’incubo atomico, temi cari alla fantascienza del periodo. Queste sequenze, pur essendo inventate di sana pianta, non nuocciono all’insieme della vicenda, in quanto restano accennate, e comunque non riguardano personaggi famosi quanto gente verosimile colta nella propria quotidianità.

Il rapporto tra il protagonista e la ragazza Eloi, Weena, è stato enfatizzato rispetto al romanzo, in esso era narrato non tanto per dare spazio a una storia d’amore, quanto per mostrare come fossero immaturi gli Eloi, sia nella tecnologia che nei sentimenti. Weena nel film è imbelle, come tante altre ragazze presentate nelle pellicole di avventura del periodo, ma non è proprio come una bambina, e matura in fretta, per esigenza di copione. La trasformazione del personaggio è una scelta discutibile, dal punto di vista artistico, comprensibile solamente se si considera che, nel cinema d’intrattenimento, alcuni ingredienti (tra cui un bel protagonista un po’ stazzonato e leggermente ferito e una ragazza bella e bionda con abiti succinti o a brandelli!) venivano ritenuti essenziali per la riuscita commerciale del prodotto.

Tra l’altro dalle pagine male si capisce quanto (e se) lo scienziato esploratore torni nel futuro per riabbracciare Weena, ragazza piccola nel corpo e infantile d’intelletto. Probabilmente prosegue il viaggio per desiderio di conoscenza, o torna al mondo degli Eloi per farsi loro leader e liberatore. Il film fa pensare anche a una futura vita sentimentale; poteva andare peggio, bastava narrare i dettagli della vita futura del nostro eroe, e snaturarne il personaggio in nome di una conclusione certa e rasserenante.

Il lieto fine c’è, dà spazio alla fantasia dello spettatore ed evita sia toni trionfalistici, tipo “lo scienziato mostra la sua invenzione e diventa un eroe nazionale”, sia tristi rientri nella vita di tutti i giorni, ovvero “la macchina si rompe appena lo scienziato è tornato a casa, sembra in modo definitivo, ma cosa importa, tanto è stata una bella avventura o tutto è stato un eccitante sogno”.

Vediamo partire il protagonista verso il mondo futuro, ma non sappiamo cosa troverà. Ha raccontato il domani agli amici, forse ciò può aver cambiato gli eventi. Forse l’amico morto nel conflitto mondiale ha potuto evitare il suo destino… Così il futuro che attende lo scienziato potrebbe anche non essere popolato da Morlock ed Eloi. La trovata narrativa lascia libertà d’immaginazione.

Suggestivo anche il particolare dei tre libri che lo scienziato porta via quando se ne riparte per il futuro. Ogni spettatore può scegliere i titoli che preferisce. Una certa “vaghezza” accresce il fascino e la poesia di questo film, che può conquistare non solo un pubblico riflessivo, ma anche quello più giovane.

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

Questa recensione è stata edita da TERRE DI CONFINE  https://www.terrediconfine.eu/l-uomo-che-visse-nel-futuro/

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