SHORTCUT - NON TUTTE LE STRADE PORTANO A CASA

Una scolaresca viaggia verso casa a bordo di un vecchio e malandato minibus rosso della Saint Peter International School. Si tratta di cinque sedicenni, il Nolan, Bess, Reggie, Queenie e Karl, guidati dall’anziano Joseph ‘Jo’. Il consueto tragitto nel bosco viene interrotto poiché la strada è ingombra, e l’autista è costretto a fare una deviazione. Il veicolo attraversa una zona off limit, un foresta disabitata e cupa di pertinenza militare. Il viaggio s’interrompe quando un criminale detto dalle cronache "divora lingue", evaso dalla prigione, approfitta della fermata per salire sul mezzo e dirottarlo. Ma c’è di peggio in quel bosco: un’entità umanoide insofferente alla luce ed estremamente aggressiva vive tra gli alberi e i resti di una labirintica base militare dismessa da anni. Approfittando del riparo offerto da un tunnel e di un guasto del veicolo, la creatura uccide l’autista e l’evaso, per poi dileguarsi verso l’edificio abbandonato. I ragazzi dovranno unire le loro forze per sopravvivere, sconfiggere il mostro e poter tornare insieme a casa…
Il film diretto da Alessio Liguori è un horror, più precisamente è un monster movie privo di scene troppo esplicite, con un epilogo tutto sommato positivo, e un minutaggio piuttosto breve, di soli 76 minuti.
Queste caratteristiche lo hanno fatto debuttare con successo al Giffoni Film Festival del 2020 nella sezione Generator +16 e +18, e lo hanno reso un piccolo grande cult oltreoceano.
Si tratta quindi di uno dei rari casi di horror per ragazzi, adatto per introdurre il genere a quegli adolescenti e bambini che non lo avessero già scoperto da soli, magari sbirciando trailer di pellicole ben più crude e violente di questa. La vicenda è basata su ingredienti semplicissimi e universalmente validi: un bel mostro ben nascosto nelle ombre, fatto intravedere o mostrato in inquadrature che non lo ritraggano per intero, fa sempre la sua bella figura. Ogni cultura ha il suo Babau, e quindi l’avversario è perfetto per spaventare una platea di ragazzini praticamente in qualsiasi Paese del mondo.
La sceneggiatura di Daniele Cosci utilizza elementi ben noti agli adulti smaliziati, stereotipi visti in decine di pellicole sul tema, l’amicizia tra i ragazzi, il mostro che si annida nel buio, il sotterraneo labirintico, lo scienziato ossessionato dalla creatura, il viaggio iniziatico…  L’atmosfera che va a ricrearsi è tutta vintage, ricorda i Goonies e i Famous Five, grazie alla scelta delle caratterizzazioni dei cinque protagonisti: il cicciottello, il duro, il bravo ragazzo, la brava ragazza, la secchiona. Ciascuno è afflitto da paure e da complessi, magari ha anche un suo superpotere che si attiva grazie alla fiducia reciproca nei compagni.  I ragazzi di Shortcut sono un po’ come i ragazzi destinati a sconfiggere It, e come loro trovano la salvezza nell’Amicizia, quella con la A maiuscola. La terribile esperienza crea un legame destinato a superare le differenze e durare negli anni, proprio come avviene in parecchie pellicole di Richard Donner o di Chris Columbus.
I personaggi sono tutti molto schematici ed è facile intuire quali saranno le loro scelte e come si comporteranno davanti al pericolo. E’ comprensibile che sia così, poiché in questo tipo di storie il meccanismo che crea la paura offre poco spazio a divagazioni intimiste. L’introspezione rallenterebbe il ritmo narrativo diluendo quanto c’è di orrifico e abbassando la tensione emotiva. Non  è detto che se il minutaggio fosse stato esteso ai 90 minuti o oltre i risultati sarebbero stati più verosimili, così come se gli fossero stati dati tempi più estesi e copioni più lunghi. Ci sarebbe stata maggiore empatia con i cinque, ma le loro vicissitudini avrebbero avuto minore impatto sullo spettatore, poiché si sarebbero dovute mescolare a parti non propriamente paurose.
Shortcut, per quanto appaia poco votato a momenti splatter, resta una pellicola horror fantasy, di quelle low budget. Ricorda l’horror per ragazzi, i Piccoli Brividi e il pulp weird di Robert Lawrence Stine: libri piacevoli, adatti anche a quanti non sono gran lettori, e iconici simboli degli anni Novanta e della narrativa per ragazzi prima del boom editoriale di Harry Potter ed emuli del maghetto. Anche il film scorre e si rivela molto adatto a quanti non sono appassionati di horror, e cita modelli e situazioni del passato.
Non sorprende quindi che nessuno degli interpreti sia ancora un nome famoso: i ragazzi sono debuttanti o quasi, e se la cavano discretamente perché ben diretti ed aiutati da una scelta furba di inquadrature che minimizza le incertezze della recitazione. La fotografia di Luca Santagostino riesce a renderli credibili e il montaggio di Jacopo Reale fa miracoli per dare il giusto ritmo alle loro interpretazioni.
Con un buon ritmo, con inquadrature anche non canoniche, e con un buon editing in postproduzione Shortcut riesce anche a minimizzare la povertà degli effetti speciali e delle locations spartane. La prima parte della pellicola è praticamente tutta ambientata sul pulmino, targato Salerno ma guidato da un Afroamericano nel bel mezzo di una selva oscura. Le sequenze con il mezzo illuminato nel buio della notte che sta calando hanno la loro buona suggestione. La seconda parte si svolge invece all’interno del complesso militare, una specie di bunker scavato nella montagna. La creatura viene annunciata da ringhi, da colpi sulla lamiera, e si vede pochissimo almeno per una buona parte della vicenda. Col procedere degli eventi viene mostrata poco alla volta, ed è frutto di effetti speciali artigianali, come bene si addice ad una pellicola che si richiama direttamente al passato. Il mostro è stato realizzato dagli esperti in protesica della Makinarium.
Shortcut non brilla per originalità, per qualità delle interpretazioni, o per allestimento. Un adulto appassionato di cinema di genere potrà ravvisare una lunga serie di citazioni, riproposizioni ai limiti del plagio, luoghi comuni triti e ritriti. E’ difficile capire cosa abbia decretato un successo tanto insperato: forse la soluzione sta tutta nel fatto che Shortcut non si prende mai sul serio. Proprio perché sembra senza pretese, o perché come horror è lontano dall’iperrealismo alla Dario Argento o dai toni raffinati delle ghost stories anglosassoni, dall’originalità dell’Estremo Oriente, ha meritato quanto è stato negato a titoli più pretenziosi. O magari è il suo essere horror, ma all’acqua di rose, senza momenti eccessivamente paurosi, adatto quindi anche a persone che di solito evitano il genere, e a ragazzini. Di certo c’è che, nonostante i tantissimi limiti, è riuscito a richiamare tantissimi Americani al cinema, come e più di tanti titoli che hanno alle spalle un’autorialità, intrecci originali, mezzi adeguati a trasporre le idee sullo schermo.

 

Cuccussette vi ringrazia per la lettura

La recensione è stata edita da FANTASTICINEMA  https://www.fantasticinema.com/oggi-fosse-gia-domani/

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