PINOCCHIO live action

Pinocchio è un grande classico, e negli ultimi anni se ne sono visti rifacimenti di ogni tipo, quasi si trattasse di un’opera lirica o teatrale da portare in scena con allestimenti differenti.  Il Pinocchio realizzato dalla Disney doveva in teoria essere un live action, ovvero la trasposizione del vecchio cartone animato del 1940 realizzato stavolta con attori in carne ed ossa. Sulla carta aveva tutte le migliori caratteristiche per conquistare i cuori della platea: un regista prestigioso, Robert ‘Ritorno al futuro’ Zemekis; Tom Hanks come Geppetto e un cast di attori e doppiatori piuttosto famosi; la sceneggiatura scritta dal regista stesso insieme a Chris Weitz; canzoni deliziose…
Qualcosa però non è andato come avrebbe dovuto, fin dall’inizio. L’epidemia di Covid 19 e le conseguenti restrizioni hanno ostacolato le riprese, che si sono protratte tra mille polemiche. Zemeckis non si è limitato a portare in scena una trasposizione fedele al vecchio cartone, che già tradiva il romanzo semplificando tutta la vicenda fino a lasciarne pochi significativi episodi. Seguendo le regole sull’inclusività e il coinvolgimento di minoranze, leggi che oggi ancora regolano le produzioni televisive e cinematografiche e che se non ottemperate escludono i film da premi, concorsi e distribuzione, ha modificato l’aspetto della Fata Turchina. Ne ha affidato il ruolo alla brava cantante britannica ma d’origini nigeriane Cynthia Erivo. Le immagini della Fata nera, muscolosa, calva e dotata di ali simili a tentacoli di medusa in breve hanno fatto il giro del web, sollevando prevedibili, previste polemiche. Si scoprirà poi, con la visione del film, quanto il personaggio e il relativo polverone siano uno specchietto per allodole, un’esca data in pasto agli haters per innescare una pubblicità fatta di battibecchi online. La Fata appare solamente nelle sequenze iniziali, per un tempo assai limitato, e a parte l’aspetto, agisce proprio come lo spettatore si attende. Giunge, anima il burattino, canta e gli promette di trasformarlo in un bambino vero se lo meriterà, infine scompare. Mentre cinefili e spettatori si accapigliano per sostenere o denigrare la possibilità di assegnare copioni anche a interpreti che fisicamente non assomigliano affatto ai personaggi descritti in libri e opere derivate, il duo Zemekis/Weitz ha apportato al classico Disney cambiamenti ben più profondi e radicali.
A parte il malcontento costruito ad arte per far parlare della pellicola mesi prima del debutto, le altre scelte narrative sono a dire poco azzardate. Viene introdotto il personaggio di Fabiana, improbabile burattinaia-ventriloqua con un rudimentale tutore a una gamba. La ragazza, che è zoppa, comunque sogna di fare la ballerina – e dovrà riuscirci perché ci crede tanto tanto, non le basta essere bravissima nella sua arte con le marionette e le voci. Altri personaggi compaiono per pochissime battute, dimenticabilissime o addirittura controproducenti ai fini della caratterizzazione dei personaggi. Un ricco cliente vorrebbe comprare un orologio ma Geppetto non vuole venderglielo: sarebbe un personaggio con una sua motivazione nella storia se la sceneggiatura ci desse qualche informazione sul passato del falegname. Invece niente, sappiamo che Geppetto ha avuto moglie e un bambino vissuto pochi anni, però di questa famiglia però si sa poco, troppo poco per affezionarsi. La moglie amava gli orologi, motivo per cui il falegname ne conserva una collezione dedicata a lei e non li vende. Il bimbo assomigliava al burattino, si sa che ha vissuto qualche anno felice col padre, tuttavia anche di lui non si sa altro, nemmeno il nome. Tutto il dramma del poveretto resta confinato in una manciata di parole. Era meglio approfondire il passato di Geppetto, oppure eliminare del tutto ogni riferimento biografico. Poi appare una gabbiana amica del falegname, e anche lei, recitate poche battute, scompare dalla scena...Il film è un continuo viavai di personaggi che entrano in scena per poche battute e scompaiono senza più apparire, restando anonimi o quasi.
E ancora non si è toccato il fondo, perché per vedere il peggio bisognerà scoprire cosa è diventato Pinocchio. Il burattino nel romanzo è discolo, nel live action è diventato un santo dipinto. Vuole diventare un bambino vero e ce la mette davvero tutta per ottenere il miracolo. La vita però gli prepara tantissimi ostacoli, a partire dal maestro che lo caccia in quanto la scuola è per bambini veri, per i burattini c’è il teatro. Non sono i loschi Gatto e Volpe a trascinare Pinocchio nel vizio, non è l’ingenuità della creatura appena nata, ma è la società che lo condanna a finire nelle mani di Mangiafuoco in quanto è ‘diverso’ dalle persone comuni. E ancora il burattino desidera diventare vero, più che essere conosciuto e acclamato. C’è un accenno di riflessione nel dialogo col Gatto e con la Volpe, quando Pinocchio si chiede se diventar famoso lo farà diventare vero, ma tutto si ferma lì, lasciando da parte un tema che poteva venire sviluppato in modo più interessante. Sfuggito al burattinaio, Pinocchio finisce direttamente sul carro che porta i ragazzi al Paese dei Balocchi, dove si rifiuta di bere alcolici e di straviziare, nonostante Lucignolo lo inviti a spassarsela. Ebbene al povero Pinocchio spuntano lo stesso orecchie e coda asinina, anche se si rifiuta di sbronzarsi e spaccare gli orologi. In pratica è come se le scelte individuali valessero poco o niente e ci fosse una predestinazione a cui non ci si può opporre.
S’arriva in breve all’epilogo, che è quanto di più triste ed agghiacciante possa immaginarsi, tanto deludente da motivare lo spoiler che seguirà. L’agognata trasformazione non avviene, e il Grillo ipotizza che possa anche essere avvenuta, o forse no, non importa. Il burattino resta burattino, nonostante tutto il suo impegno, in quanto l’essere bambino vero è uno stato mentale, un modo di porsi, di sentirsi. In questo modo si può essere bambini anche in un corpo di legno se ci si percepisce come tali e gli altri ci amano. Peccato che le regole di quel mondo fittizio neghino questo principio: l’apparire burattino costringerà Pinocchio ad accettare tutte limitazioni di un corpo che non cresce oltre a quelle che gli esseri umani impongono ai burattini, come non andare a scuola e poter svolgere solo alcune attività. Tanta fatica insomma per ritrovarsi al punto di partenza, con gli stessi problemi vissuti. Almeno avessero sfruttato Fabiana per farlo diventare una star ma libera e capace di mantenere anche il babbo. Può essere poetico, poiché un Pinocchio che si ritrova punto a capo è anche un Pinocchio che può venir narrato all’infinito, con varianti che però non conducono a far avverare pienamente i sogni. Se Pinocchio ha capito invece che la sua condizione gli dona anche vantaggi come avere i sentimenti umani ma essere immortale, lo si tace, e anche questa è un’occasione sprecata per una riflessione di sapore transumanista.
Se la vicenda esce massacrata dalle scelte narrative discutibili, dal punto di vista tecnico il film regala altre delusioni.
Il mondo che fa da sfondo alle avventure del burattino è un universo coloratissimo, mal riproducibile con scenografie o locations concrete, e quindi la grafica digitale finisce per ricreare ogni ambiente. Gli stessi attori sono pesantemente ridisegnati dai software, che tendono a farli assomigliare a quanto si è visto nel cartone, più o meno. L’espressività di Tom Hanks viene mortificata dagli artifici, in quanto tutti i personaggi interpretati da attori in carne ed ossa per non stonare con le location virtuali perdono naturalezza, tendono a diventare loro stessi cartoni animati. Invece di avere un cartone animato che diventa film con attori, un mix stile Chi ha incastrato Roger Rabbit, quiabbiamo una pellicola con attori che imitano i cartoni animati. La scelta delude tutti, sia gli appassionati del cinema di animazione, sia i fan degli attori e di Zemekis. E’ difficile riconoscere in questo live action la mano del regista che ha dato vita alla saga di Ritorno al futuro, a Forrst Gump, a quel gioiellino di Chi ha incastrato Roger Rabbit.
Di certo ci sono film più brutti, anche nell’animazione, mockbusters, film fatti con pochi soldi e poche idee, pellicole nate con l’idea di andare direttamente nel mercato home video, produzioni da smerciare negli autogrill per soddisfare gli acquisti impulsivi di qualche famiglia con bambini stanchi del viaggio. Questi sono però esempi di cinema di consumo, di basse pretese, onesta serie C della Settima Arte. Il Pinocchio live action non doveva rientrare in questo tipo di intrattenimento, aveva un fior di regista, una Major di fama mondiale alle spalle, attori di grande talento, e pretese maggiori. Il fatto che non sia mai arrivato nei cinema ma sia invece stato distribuito sul canale Disney la dice lunga. Restano le canzoni, i momenti di musical a compensare le tante mancanze, ma si termina la visione con l’amaro in bocca.

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

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