LA BARONESSA DI CARINI remake

Un cult della televisione tra anni 70 e 80 è stato l’indimenticabile Amaro caso della Baronessa di Carini, uno sceneggiato  a tinte fosche ambientato nella Sicilia di inizio ‘800. Tragico, grandguignolesco, eccessivo, il capolavoro di D’Anza è rimasto nel cuore di molti spettatori di allora. Nel 2007 ne è stato realizzato un remake in due puntate dirette da  Umberto Marino, tra lo scetticismo di quanti avevano conosciuto direttamente la prima trasposizione e la curiosità di quanti vorrebbero un revival gotico mistery all’italiana e si trovano a dover ripiegare su prodotti britannici o americani.
La rivisitazione in parte ripercorre l’intreccio divenuto celebre a suo tempo e in parte se ne distacca. Gli eventi si svolgono ai tempi della Spedizione dei Mille invece che all’inizio del diciannovesimo secolo, in modo da poter introdurre la vicenda in un momento particolare di grande caos e cambiamenti. I protagonisti sono ancora una volta Luca Corbara ( Luca Argentero) discendente del nobile Vernagallo,  la baronessa Laura (Vittoria Puccini) giovane maritata per saldare un debito al prepotente barone don Mariano La Grua (Enrico lo Verso). Attorno al prevedibile triangolo amoroso ruotano le figure del medico mesmerista Don Ippolito (Lando Buzzanca), dell’ambiguo Enzo Santelia (Simone Gandolfo).
A riscrivere il soggetto c’è nuovamente Lucio Mandarà, già autore della prima stesura. La nuova versione modifica profondamente i personaggi, e sviluppa la vicenda esasperando sia il romanticismo, sia il paranormale. Corbara e Laura non erano due stinchi di santo nella versione del 1975: Corbara sapeva d’esser discendente del nobile ucciso, Laura era una gentildonna annoiata, stufa di un marito vecchio, grasso, borioso. Il calcolo economico del Vernagallo e la lussuria della bella giovane emergevano poco alla volta, spengendo pian piano il romanticismo e il senso del dramma destinato a ripetersi ciclicamente. Nel 2007 sono sostituiti dalla passione che divampa inarrestabile tra un giovane cartografo scappato dallo Stato Pontificio dopo essere stato sfidato a duello ed aver ferito il nipote del Papa, e una nobildonna ceduta dal padre a un Barone impetuoso e violento in cambio della cancellazione dei debiti.
Non è però soltanto un’ennesima storia d’amore in costume, poiché gli elementi paranormali stavolta sono esasperati, come è comprensibile e anche necessario. Sarebbe stato abbastanza superfluo riproporre le stesse scene, adattare la vecchia sceneggiatura e ottenere un restyling esclusivamente estetico, oppure calcare la mano sull’erotismo. Tra l’altro le sequenze della morte dei due amanti nella versione del 1975 avevano già una forte carica di sensualità, con la baronessa in camicia da notte mezza trasparente e il Vernagallo in calze scarlatte che lasciavano poco all’immaginazione. Era difficile poter ammiccare all’eros in modo più esplicito e poter mandare in onda la miniserie in un orario di prima serata. Nel passato il montaggio aveva fatto il capolavoro di riproporre in versioni diverse la scena del delitto, in modo da rivelare poco a poco agli spettatori la terribile verità. Nel 2007 invece la scena fa parte delle visioni della giovane Laura che vive esperienze da sensitiva. La rivisitazione ripropone la scena intervallata da lampi, e l’ipotesi di una reincarnazione dei due amanti uccisi a metà 1500 si fa assai più concreta. La possibilità di avere due anime destinate a ripercorrere lo stesso dramma, come prigioniere di un loop spaziotemporale o di una punizione divina viene suggerito allo spettatore da Don Ippolito Oltre ad affittare la camera a Luca è un medico ipnotista che ha vissuto in prima persona i moti del 1848. Non si espone più direttamente alle ire della nobiltà, e vive aiutando la povera gente. Grazie alle teorie di Mesmer dà una spiegazione sovrannaturale ai deliri e alle visioni di Laura. Poco a poco anche Luca si convince di aver già vissuto in un’altra epoca, ed essere il Vernagallo della ballata!
Con due protagonisti così diversi anche l’epilogo  abbandona i toni tragici, per aprirsi all’ottimismo. Permangono gli intrighi della setta segreta dei Beati Paoli, ci sono delitti e violenze perpetuare da Don Mariano ed esibite in modo più esplicito, c’è la struggente ballata a fare da fil rouge, e compare anche la famosa mano insanguinata impressa sulle pietre della parete, tuttavia l’impostazione risulta diversa e per molti aspetti opposta. Invece di due figli dei loro tempi e della loro classe sociale, probabilmente crudeli come e quanto il Barone, ci sono due vittime che scoprono l’amore e che si ribellano al destino che altri hanno scelto per loro. Sono personaggi positivi e meritano un premio invece dell’ineluttabile punizione.
Il cast, rispetto alla vecchia versione, riserva qualche delusione ma anche qualche inaspettata sorpresa. Vittoria Puccini richiama il suo personaggio più celebre, l’Elisa di Rivaombrosa interpretata in due celebri miniserie, e rispetto a Janet Agren è decisamente più a suo agio. Nonostante tutto l’affetto per lattrice degli anni Settanta, c’era da aspettarselo. La Agren era bellissima, una modella che ha per caso recitato in qualche film neppure di primo piano, mentre la Puccini è un’attrice, sebbene impegnata soprattutto in fiction nostrane e con qualche rara incursione nel cinema d’autore. Si ribalta la situazione per Luca Corbara: Argentero purtroppo manca dell’espressività e della bellissima voce di Ugo Pagliai. E’ un attore televisivo e adatto al cinema nazionale, fatto e consumato entro i confini dello stivale. Ovviamente non ha anni di performances teatrali sul groppone; è soltanto molto più attraente, o così ci sembra poiché la moda può valorizzare diversamente le persone. E’ difficile sfidare e uscire a testa alta in un confronto con un mostro sacro del teatro italiano; purtroppo la stessa situazione di Luca Corbara si ripete col personaggio di Don Mariano. Enrico Lo Verso è bravo, però nel paragone con Adolfo Celi, ci perde. Sarà colpa della minore esperienza dovuta all’età dell’attore, e anche del fatto che la versione di Celi aveva una crudeltà dosata con intelligenza unita alla scarsa avvenenza di un uomo anziano, sovrappeso e poco passionale. Lo spettatore poteva capire il dramma di un vecchio fatto cornuto mentre il barone di Lo Verso è un uomo piacente, che potrebbe rivaleggiare col terzo incomodo e che suscita odio fin dal primo momento, prima ancora di dar prova della sua folle crudeltà. La vera sorpresa è il Don Ippolito di Lando Buzzanca. L’attore siciliano ha potuto, dopo anni di cinema pecoreccio a base di donnine spogliate, sesso e corna, o avanspettacolo, permettersi un ruolo di serie A. E’ probabilmente il personaggio più bello della storia, moderno nella sua apertura mentale, capace di accettare anche spiegazioni  non razionali dopo aver esplorato le tante possibilità.
Il remake funziona, nei limiti di quanto possono funzionare i prodotti della televisione moderna. Mezzo secolo fa le trasmissioni nascevano per durare, per essere riproposte durante gli anni successivi, magari inizialmente in prima serata e poi nel tardo pomeriggio o in estate. Oggi le proposte sono tantissime, e ammesso che riescano a non venire cancellate se l’audience è basso, pochissime riescono a diventare dei cult indimenticabili. Quasi tutte sono improntate all’intrattenimento leggero e veloce, più vicino al linguaggio del grande schermo, sono carine e dimenticabili. Difficile attendersi qualcosa di diverso dalle produzioni italiane, però come remake La Baronessa di Carini è abbastanza riuscito, grazie allo sforzo di modificare i personaggi e l’epilogo in modo radicale, e grazie alle stupende locations utilizzate. Alcune sono situate in Sicilia, a Erice, nella Piana degli Albanesi, altre sfruttano monumenti di interesse storico come la Villa de Cordoba a Palermo, Villa Palagonia a Bagheria, Villa Wirz a Partanna, Palazzo Mirto, il castello di Mussomeli. Ci sono palazzi nobiliari del Lazio: Palazzo La Grua è in realtà Palazzo Massimo ad Arsoli, le grotte dei Beati Paoli sono nei pressi di Oriolo Romano e a Nepi. La valorizzazione delle bellezze paesaggistiche è sicuramente una marcia in più per questa miniserie, un po’ come i bei paesaggi siciliani hanno fatto metà della fortuna del detective Montalbano. La bella confezione di questa miniserie, la fotografia curata, il montaggio che fa miracoli per valorizzare le interpretazioni hanno dato vita a un prodotto che non sfigura troppo, a meno di non essere inguaribili nostalgici.

Chianci Palermu, chianci Siracusa,

a Carini c'è lu luttu d'ogni casa.

Attorno a lu Casteddu de Carini,

ci passa e spassa u beddu cavaleri,

lu Vernagallu di sangu gintili

ca di la giuvintù l'onuri teni.

"Amuri chi mi teni a tu' cumanni,

unni mi porti, duci amuri, unni?"

Vidu viniri 'na cavallaria.

Chistu è me patri chi veni pi mmia,

tuttu vistutu alla cavallarizza.

Chistu è me patri chi mi veni a mmazzà.

Signuri patri, chi vinisti a fari?

Signora figghia, vi vegnu a mmazzari!

Lu primu corpu la donna carìu,

l'appressu corpu la donna murìu.

Nu corpu a lu cori, nu corpu 'ntra li rini,

povera Barunissa di Carini!

 

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

La recensione è stata edita su questo sito nel 2023. Contatta Florian Capaldi su Facebook per adozioni e gemellaggi !

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