DYLAN DOG - LA MORTE PUTTANA
Dylan Dog, l’investigatore del soprannaturale creato da Tiziano Sclavi, torna sullo schermo nel fan film Dylan Dog – La Morte puttana (2012) realizzato da Denis Frison. Il giovane regista e cantautore firma sceneggiatura, colonna sonora e interpreta il protagonista. Sceglie di rappresentarlo con grande fedeltà agli albi, e si ispira alla versione di Nicola Mari. Sfrutta una trama collaudata: Dylan viene chiamato in Italia da una giovane molto ricca per indagare sulla scomparsa della sorella. Durante l’inchiesta si ritrova ad affrontare l’Ocnipus, una setta segreta che pratica sacrifici umani in cambio dell’immortalità.
La vicenda può sembrare poco originale, ma consente di introdurre molte informazioni desunte da ventisei anni di uscite mensili, alcune più ovvie e altre note solo ai fan più accaniti. La partita a scacchi con la Morte, l’amore per l’irlandese Lillie, i conigli rosa, Buffalora… sono richiami che piacciono agli appassionati di vecchia data e invitano i più curiosi a leggere il fumetto. Lo stesso titolo è tratto da una poetica filastrocca che accompagna le disavventure del detective: la Morte Puttana è proprio la Nera Signora in persona, presenza che segue il protagonista e miete vittime attorno a lui.
L’accumulo di informazioni dilata i tempi della pellicola, trasformandola in un lungometraggio di oltre due ore. Talvolta i particolari sono indispensabili al dipanarsi della vicenda, come l’incontro con la medium Trelkowsky o il viaggio a Londra che allontana l’eroe dal teatro degli eventi. Più spesso sono espliciti omaggi alla genialità di Tiziano Sclavi, e al mondo che quest’ultimo ha saputo costruire attorno a Dylan nel corso del tempo.
L’abbondanza di citazioni investe qualsiasi aspetto della pellicola; la fotografia cerca di rendere le immagini stampate, le inquadrature sono ispirate dalle tavole, le battute seguono la falsariga dei balloons…
La narrazione di Denis Frison può apparire logorroica, anche perché la sceneggiatura si dilunga su alcune sequenze che forse si sarebbero potute riassumere nello spazio di pochi fotogrammi o affidare all’immaginazione dello spettatore. Qualche taglio donerebbe infatti maggiore fluidità, sacrificando i tanti dettagli, che però fanno percepire lo sconfinato amore per il protagonista.
Tradurre in pellicola un fumetto complesso come è Dylan Dog pone di fronte a tre alternative: avvicinare l’eroe anche a quanti ne ignorino le avventure, descrivendone i tratti più appariscenti; rivolgersi solo agli appassionati; rivisitare completamente il personaggio. Ogni live action è costretto a scendere a compromessi talvolta faticosi, e Denis Frison confeziona un film barocco, sovraccarico di citazioni, destinato ai fan ‘dylaniati’. Addirittura inserisce alcuni spezzoni di Dellamorte Dellamore, il film (1994) di Michele Soavi ambientato nell’immaginaria località di Buffalora. La cittadina dove vive il becchino Dellamorte è un microcosmo, una sorta di ‘zona del crepuscolo’ che accoglie e a suo modo protegge le creature che la abitano, un mondo orrido e strampalato analogo al passato alternativo di Dylan Dog. O piuttosto, è la metafora stessa del fumetto così come lo conosciamo in Occidente: la ciclicità è una condizione che accomuna qualsiasi protagonista di produzione seriale. Da Topolino a Don Matteo, da Superman ai Simpson, i protagonisti devono sempre agire in modo coerente con la ‘loro’ ambientazione, e nessun evento può mutarne le esistenze in modo decisivo: non invecchiano né cambiano abitudini, sono legati a qualche comprimario e vivono sospesi nell’eterno presente della pagina o del piccolo schermo, in una rassicurante ‘zona del crepuscolo’.
Se la trama del film di Frison è convenzionale, se il copione ripropone stereotipi e il montaggio imita lo storyboard, originale è invece l’ambientazione scelta: Venezia, le sue ville patrizie, le chiese e i vicoli sono uno scenario suggestivo, giustamente valorizzato. Londra viene fatta intravedere in qualche sequenza, e le atmosfere nebbiose della Laguna hanno il sopravvento. Pur trattandosi di un progetto no profit, quindi di un film a basso costo, le scenografie sembrano accurate, gli esterni esaltano le bellezze della Serenissima e di Spinea, gli interni rivaleggiano con quelli allestiti per produzioni da grande schermo.
Gli effetti speciali sono usati con la dovuta parsimonia: l’orrore scaturisce da incubi, da sagome acquattate nel buio, da rapidi dettagli fatti intravedere o immaginare. Un esempio su tutti: il demone che infesta i sonni di Dylan è una silhouette che contrasta sul rosso vivo dello sfondo, ne scorgiamo corna, ci figuriamo artigli…
Il cast di attori è nutrito; in gran parte si tratta di dilettanti con alle spalle anni di recite teatrali, o di partecipazioni amichevoli. La recitazione alterna momenti riusciti ad altri penalizzati dal doppiaggio; la partecipazione di Roberto Pedicini, voce italiana di Kevin Spacey, è apprezzabile, sebbene evidenzi i limiti dei comprimari. Un applauso è dovuto al bravissimo Walter Brocca, alias Groucho. La sua interpretazione è giustamente caricaturale, aderente al personaggio bonelliano.
Dylan Dog – La Morte puttana non è il primo né sarà l’ultimo dei fan film dedicati al celebre eroe; di certo dimostra come i questa tipologia di opere si sia evoluta anche nel nostro Paese, così restio ad avvicinarsi ai live action: mezzi amatoriali, e qualità artistica.
GUARDALO QUI https://www.youtube.com/watch?v=yzTILhLrQlE
Cuccussette vi ringrazia della lettura.
Questa recensione è stata edita da TERRE DI CONFINE https://www.terrediconfine.eu/dylan-dog-la-morte-puttana/
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