SHERLOCK HOLMES : UNO STUDIO IN NERO (NOTTI DI TERRORE)
Mentre sta lavorando con poca ispirazione al suo ultimo romanzo, lo scrittore di gialli Ellery Queen riceve in forma anonima un misterioso manoscritto firmato dal dottor Watson. Il documento è datato 1888, l'anno in cui Jack lo Squartatore terrorizzava i bassifondi di Londra… Questo è il plot del romanzo Uno studio in nero, elaborato a partire dalla sceneggiatura del film Sherlock Holmes: notti di terrore (A Study in Terror) realizzato nel 1965 da James Hill.
La pellicola parte da una trovata assai intrigante, ovvero far coesistere nello stesso universo narrativo il più acuto dei detective e il più efferato dei serial killer, vissuti negli stessi anni di fine Ottocento nella stessa città. Potrebbe sembrare un’accoppiata costruita sulla falsariga dei vecchi film anni Cinquanta con Gianni e Pinotto che sfidavano vari mostri, o dei successivi pastiches che mettevano insieme Zorro contro Maciste o Maciste contro Totò. Nonostante il facile richiamo esercitato dai due personaggi, l’autore del soggetto è Adrian Conan Doyle, figlio di Arthur. Ha scritto l’avventura con estremo rispetto per la creazione del padre, tenendosi lontano da qualsiasi intento parodistico o comico. Lo scontro tra Holmes e Jack lo Squartatore ha quindi un tono serio, e omaggia due leggende dell’età Vittoriana, tanto iconiche quanto complementari. Holmes è un detective dal fiuto infallibile, è nato dalla fantasia di Doyle ma è stato trattato come se fosse davvero esistito, con tanto di casa e museo visitata da migliaia di turisti. Jack lo Squartatore, è invece una tragica presenza realmente esistita, trattata come se fosse finzione e mitizzata, in quanto nessuno ha finora dato un’identità certa al serial killer. Nella realtà storica, c’è la consulenza richiesta da Scotland Yard a Doyle, e c’è il dottor Bell, medico che ispirò la figura di Sherlock Holmes, e che venne interpellato per le indagini. Adrian Conan Doyle ha fuso con garbo fantasia e realtà storica, abbracciando infine una delle ipotesi più seguite per dare la soluzione del caso.
La sceneggiatura elimina l’espediente del manoscritto, trovata letteraria ben collaudata nella narrativa, e assai meno efficace in una trasposizione cinematografica. Le prime sequenze ci catapultano direttamente nelle vie buie del disagiato quartiere di Whitechapel, dove una prostituta va incontro al suo destino. E’ il primo di svariati delitti perpetrati dal serial killer; Sherlock Holmes è un affermato detective privato, poco interessato dai delitti che si consumano ogni giorno nei bassifondi. Viene coinvolto nelle indagini in quanto riceve da un ignoto donatore un set di strumenti chirurgici da cui manca un coltello da autopsia…
Che il film diretto da James Hill sia realizzato con pochi mezzi è evidente in più di un’occasione; si risparmia soprattutto sulla ricostruzione degli ambienti, vistosamente ricreati in interni, con cartapesta e gesso e fondali dipinti. Tutte le sequenze sono riprese in set allestiti con spartano decoro agli Shepperton Studios.
L ’effetto complessivo è molto teatrale, con una fotografia vistosamente alterata da fari e illuminazione artificiale, con i colori squillanti del technicolor. Le indagini spaziano dai bassifondi ai pub alle ville patrizie; anche nel caso delle dimore nobiliari invece di usare qualche vero monumento conservato per la gioia dei turisti, si preferiscono ricostruzioni. Nell’impossibilità di riprodurre una Londra Vittoriana a partire da veri scorci della città, sfruttando in ogni sequenza vere magioni, parchi, pub, inserendo carrozze in transito o il brulicare della folla, la decisione di sfruttare scenografie è una precisa scelta estetica, ed è apprezzabile. La differenza qualitativa e stilistica tra le ipotetiche riprese in locations storiche e le sequenze realizzate in studio sarebbe apparsa ancora più disarmonica e avrebbe portato ad esiti poco convincenti.
La ricostruzione storica degli ambienti fa il possibile per restituire un quadro verosimile, nei limiti dei mezzi disponibili e di quanto è possibile mostrare in un film destinato a adulti ma non esplicitamente horror. Le sequenze dei delitti ovviamente vengono mostrate con abbondanza di sangue e coltellate che attraversano le inquadrature vibrate in modo un po’ goffo, un po’ come avveniva nei film della Hammer e dell’Amicus. Oggi in un film comunque destinato per le tematiche a un pubblico adulto si calcherebbe la mano sulla violenza e sullo splatter. Per essere una pellicola del 1966, le immagini sono abbastanza esplicite, sebbene sempre caratterizzate da una certa artificiosità, da morte sul palcoscenico e non da delitto di cronaca nera.
L’atmosfera teatrale è amplificata dalla presenza di attori con trascorsi sui migliori palcoscenici del Regno Unito. Il compassato Holmes è John Neville, membro dell’Old Vic e interprete, anni più tardi, del Barone di Munchausen di Terry Gilliam. Watson ha il volto di Donald Houston, e ci sono Anthony Quayle, Frank Finlay, Robert Morley, attori che hanno sempre alternato cinema e teatro, e c’è anche Judi Dench, resa celebre anche dai film su James Bond.
La sceneggiatura fa il possibile per valorizzare questi professionisti, e di conseguenza le indagini sono fatte di dialoghi più che di azione, con Holmes che usa la sua proverbiale deduzione e arriva allo scontro fisico solamente nel concitato finale. Memorabili i suoi travestimenti; il suo intrufolarsi tra i poveri di Whitechappel mascherato come uno dei tanti diseredati che frequentano le mense della carità e cantano gli inni religiosi pur di ricevere una scodella di zuppa è uno dei momenti più riusciti della pellicola. L’Holmes di Neville è molto fedele alle pagine, pur essendo apocrifo, e Watson non è una spalla comica inserita per suscitare qualche risata o per evidenziare le doti quasi sovrannaturali di Holmes. Ci sono momenti ironici, c’è un humor tutto britannico ad alleggerire la vicenda, e mai si ridicolizza Watson. Nonostante il medico si renda veramente utile in alcune situazioni, ha un atteggiamento di smisurata ammirazione per l’amico, che aiuta con estrema devozione: un sentimento sincero che in parte rende il dottore succube del detective e in parte rende il medico più empatico, umano e coraggioso.
Il film scorre piacevolmente, senza grandi trovate geniali e senza veri momenti morti. Naturalmente le indagini non impediscono gli altri delitti, il soggetto rispetta quanto è storicamente provato e quindi cinque prostitute vengono uccise.
L’epilogo segue in parte le teorie che attribuiscono l’identità del serial killer a un medico, forse imparentato con i sovrani, forse presente a corte. La risoluzione del caso ha comunque toni da noir, in quanto Holmes decide di tacere la verità alle autorità pur di non sollevare uno scandalo.
Shelock Holmes – Notti di terrore ( uno studio in nero) non sarà un capolavoro, ma è una pellicola che delizia i fan di Sherlock Holmes, e tutto sommato è invecchiata bene.
Cuccussette vi ringrazia della lettura.
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