IL FANTASTICO MONDO DI ALADINO
E’ sempre più difficile stabilire canoni estetici universalmente accettabili, da poter applicare a qualsiasi opera dell’ingegno umano indipendentemente dall’epoca, dalla cultura di appartenenza, dal mezzo espressivo utilizzato. I criteri di giudizio vengono continuamente ridefiniti, ed una delle risposte agli anacronistici conservatorismi è il trash: una bruttezza ricercata e costruita accumulando particolari sgradevoli, con il fine di provocare lo spettatore e farlo riflettere su cosa sia la bellezza. Il film televisivo Il fantastico mondo di Aladino, realizzato nel 1998 da Robert L. Levy inizia come tante vecchie pellicole degli anni Cinquanta ambientate in un Medio Oriente immaginario. C’è Aladino con la sua lampada in una caverna ricolma di tesori, il genio è un po’ sopra le righe, ma se ne esce dalla lampada così come tutti si attendono. C’è pure il fratello cattivo di Aladino che gli lancia un incantesimo facendolo addormentare per usurpargli il trono e le grazie della moglie. Si potrebbe pensare a un film realizzato con un bel po’ di ritardo, o a una di quelle produzioni allestite in economia, destinate ad allietare le mattinate televisive durante le vacanze natalizie. Qualche sequenza dopo, lo spettatore piomba in un diner in americano in compagnia di Calvin, un pizzaiolo adolescente, brufoloso e sovraeccitato alla vista della bella del liceo. Vorrebbe rimorchiarla per portarsela al ballo, e viene ovviamente scaricato dalla biondina, che sogna un giovanotto piacente, prestante e tanto danaroso da guidare un’auto di lusso. A Calvin non resta che mettersi a pulire le pentole appena acquistate ad un’asta di beni usati. Tra casseruole e padelle spunta però la magica lampada, con tanto di genio. Calvin finisce per essere trascinato all’indietro nel tempo, verso il magico reame delle Mille e una notte.
A questo punto la natura della pellicola è meno dubbia: il protagonista è un adolescente imbranato coinvolto suo malgrado in un’impresa epica, ovvero recuperare la lampada e salvare Aladino. Il titolo originale, A Kid in Aladdin’s Palace (“un ragazzo nel palazzo di Aladino”), dichiarava subito gli intenti; in Italia la traduzione libera ha alimentato l’ambiguità lasciando immaginare un modesto remake dei vecchi film di avventura esotica. A questo punto gli spettatori credono di assistere a un teen movie, allestito con i limitati mezzi di una produzione televisiva. La realizzazione è davvero povera: le scenografie sono di cartapesta come si vedevano ai tempi di Maciste e dei suoi emuli, la città vista dall’alto è un diorama realizzato in tutta fretta. I costumi sono stati cuciti alla buona con tessuti economici come se fosse un ballo in maschera per un carnevale di bambini in parrocchia, le armi sono in pura plastica. Si vedono guardie correre reggendosi le brache, dimenando scimitarre acquistate ai grandi magazzini nel reparto dei gadget di Halloween. Gli spettri della Valle della Morte sono quattro poveretti costretti a indossare armature colorate alla meno peggio e a cavalcare nel buio del deserto senza avere la minima idea di come colpire Calvin e Sherazade. Anche la caverna dove la lampada attende il salvatore assomiglia ad un tunnel dell’orrore di un luna park di periferia, malamente ispirato ai sotterranei visitati da Indiana Jones.
Al peggio, si sa, non c’è mai fine. Gli attori recitano come comparse di una filodrammatica, e i copioni rasentano la farsa, con battute che suonerebbero ridicole anche in un episodio delle Tartarughe Ninja. Non bastano certo le grazie di Sherazade (interpretata da Rhona Mitra unico volto noto del cast), esibite con il pudore imposto dalla censura puritana, o i muscoli del ladro Alì Baba, per salvare la pellicola. I pochi scontri fanno tornare davanti agli occhi le pellicole nate sulla scia dei successi di Bud Spencer e Terence Hill, interpretate da volenterosi emuli. Gli effetti speciali sono da urlo. Nel senso che è difficile trattenere un urlo di raccapriccio nello scorgere il tappeto volante visibilmente incollato ad un cielo color Grande Puffo da un maldestro staff di grafici.
E’ impossibile pensare che tanta approssimazione sia dovuta solamente alle ristrettezze economiche e dei mezzi limitati a disposizione del regista. Negli anni Novanta la grafica digitale era ancora costosa, ed era onerosa pure la realizzazione di scenografie curate, la confezione di abiti ed accessori, per tacere poi delle armi e delle coreografie di combattimento. Era davvero difficile poter dare vita ad ambientazioni visivamente accattivanti, suscitare stupore e meraviglia ricorrendo a mezzi tanto ingenui. Forse il regista Levy poteva far poco per migliorare le doti recitative degli attori a lui assegnati, per avere un maestro d’armi meno bolso, per avere scenografie e costumi decorosi. Le debolezze potevano però rimanere circoscritte ai soli aspetti formali, ed essere minimizzate da una fotografia accorta e da un montaggio furbo, di quelli che lasciano immaginare quanto è impossibile da allestire. La scelta del regista è diametralmente opposta e la pellicola prende la via del trash più eclatante, esibito senza ritegno. Alcune trovate sono volutamente grossolane: c’è un cammello, Scirocco, che produce a richiesta gas intestinali altamente infiammabili, e quando il perfido avversario cade dal cavallo alato durante lo scontro finale, atterra dritto dritto su un carico di morbido letame. I fratelli di Alì sono sempre pronti a creare siparietti degni di un numero di avanspettacolo allestito per i militari durante l’ultima guerra. I pochi momenti in cui Calvin deve dimostrare tutto il suo coraggio si risolvono come nei vecchi telefilm di McGyver, sfruttando oggetti di uso comune che per qualche insensata ragione trovano posto nello zaino: un coltellino svizzero, una lenza per squali, una macchina fotografica polaroid con il flash… Manca, si fa per dire, l’assortimento di allusioni erotiche e la violenza esplicita con i litri di pomodoro e le frattaglie prontamente trasformate in ragù per la gioia di cast e tecnici, riuniti in una tavolata alla fine delle riprese. Davanti a sangue ed interiora la censura probabilmente sarebbe calata su questa piccola perla trash sdoganata come un innocuo film per famiglie.
C’è di buono che Il fantastico mondo di Aladino rivela presto la sua natura di parodia fracassona e non prova mai a prendersi sul serio, neppure per un fotogramma. Gli spettatori sono avvisati, devono mettere da parte qualsiasi pretesa intellettualoide o cinefila. Tanta onestà di intenti è un pregio, un merito sfuggito ad altri film realizzati in condizioni analoghe o di poco migliori. Lo spettatore non può fare a meno di cambiare canale, o ridere come un pazzo gustandosi il trionfo del cattivo gusto.
Cuccussette vi ringrazia della lettura.
Questa recensione è stata edita da FANTASTICINEMA https://www.fantasticinema.com/il-fantastico-mondo-di-aladino/
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