VENEZIA IMPOSSIBILE

Venezia Impossibile è un romanzo noir fantascientifico scritto dal buranese Marco Toso Borella uscito nel 2006 per Supernova Editore. Nel 2011 l’idea di trasporre il testo in un film ha iniziato a prendere forma; nel 2012 sono iniziate le riprese e nel 2013 finalmente c’è stata la prima.
Venezia Impossibile è nato grazie alla collaborazione di oltre duecento persone che hanno sostenuto il progetto offrendo le loro competenze cinematografiche. Hanno prestato la loro opera nei giorni libri da altre produzioni, costruendo il film poco a poco nel corso dei mesi. Grazie alla loro esperienza, alle donazioni e al sostegno della Regione Veneto e del Comune di Venezia , la pellicola ha raggiunto le sale, ha conquistato premi in festival di cinema indie, ha fatto conoscete un altro modo di fare opere di genere lontane dagli stereotipi più triti.
La vicenda spicca soprattutto per l’originalità dell’ambientazione ucronica; come ne La Svastica sul Sole di Philip K. Dick o ne Ciclo della Legione Perduta di H.Turteldove, la Storia ha perso un’altra piega, con sviluppi e conseguenze diverse da quelle che conosciamo. In questo caso Napoleone nel 1797 non ha mai conquistato Venezia e la città  è sopravvissuta come un microcosmo a parte dall’Italia. E’ solo apparentemente una Repubblica: vi regna da tempo immemore il Doge Anselmo Biarberini. Questi governa con pugno di ferro e cerca di soffocare qualsiasi fermento rivoluzionario che si opponga alla sua tirannide. La città vive sospesa tra il glorioso passato con tanto di uomini che indossano la bautta, tipica maschera del Settecento, e i tabarri, e varie tappe del futuro. Vige un regime degno degli anni Trenta, molti degli ambienti hanno mobilia ed accessori di quel periodo. L’istruzione scolastica ricorda quella del Ventennio, con  tanto di divise e canti al Doge. Corre l’anno 1989 e c’è qualche spruzzo di modernità che assume le forme di motoscafi e vaporetti, di qualche concessione alla tecnologia precedente l’avvento di internet. Ci sono le visite turistiche guidate, sono a numero chiuso e con obbligo di far sviluppare le foto e sottoporle a censura. Molte persone vivono di mestieri tradizionali, pescano pesce o granchi, e nell’isola di Burano, lavorano il vetro. La vita scorrerebbe tra celebrazioni di potere e repressioni, corruzione e rivolte, quando una catena di terribili delitti scuote la comunità. Viene incaricato delle indagini il Provveditor Capo de la Quarantia Criminal Leonardo Rizzi, figlio di un rivoluzionario ucciso molti anni prima, uomo integerrimo che ancora crede nelle istituzioni. Aiutato dai Fanti Giustini (Roberto Vertieri) e Avanzi (Davide Strava), indaga riguardo gli assassinii di persone accomunate dal fatto di lavorare nel campo del vetro artistico. Dietro alle morti ci sarebbe un gruppo di potenti in cerca dei quaderni di un’alchimista che avrebbe annotato procedimenti essenziali per la soffiatura di vetri d’arte e, secondo la leggenda, creato una formula per l’immoralità…
La regia di William Carrer , professionista con all’attivo la collaborazione con Takeshi ‘Beat’ Kitano, dà solidità ad un intreccio che è volutamente faticoso da ricondurre a una narrazione lineare.
I fatti inclusi dalla sceneggiatura di Sabrina Gioda sono tanti e ci sono numerosi flashback che si susseguono rapidi creando non poca confusione allo spettatore. Per quanto distopico possa essere, un noir ha il diritto e il dovere di far sentire spaesati, vinti da un potere tentacolare che tutto inghiotte, come appunto avviene nell microcosmo della Venezia dei Dogi. Gli spettatori sono però già impegnati a decodificare l’ambientazione inusuale, devono concedere la loro attenzione ai comportamenti, alle usanze, a quanto della storia non è esplicitamente portato sullo schermo. Ci sono addirittura parecchie battute in lengoa veneta, ovvero in dialetto; possono risultare di comprensione abbastanza ostica per quanti non lo parlano (o almeno non lo capiscono). Succede qualcosa di analogo alla Napoli immortalata da Nanni Loy in Mi manda Picone: l’intreccio investigativo va a complicarsi troppo per l’attenzione dello spettatore già occupata a capire le battute in Napoletano e a godersi l’atmosfera partenopea.
L’indagine finisce per diventare un pretesto per parlare della città, e perde d’interesse, sovrastata dalla componente etnica ed ambientale. D’altronde la ricerca storica e d’ambiente è quanto rende questo film memorabile e unico. Senza di essa sarebbe un giallo scialbo come ce ne sono a decine nei telefilm trasmessi al pomeriggio, o una detective story di ambientazione pseudo storica, con costumi approssimati e dettagli kitsch più o meno involontari. La ricostruzione di quel piccolo microcosmo è pregevole, mostra una Venezia distante dagli stereotipi di gondolette, sbaciucchiate nelle calli e turismo da Grand Tour. A parte il fatto che il film è nato come un progetto cooperativo a costo zero e quindi non era possibile spendere per creare set in zone turistiche, i monumenti da cartolina sono attorniati da servizi d’ogni genere, moderni chioschi e bancarelle con souvenir d’ogni tipo. Le riprese hanno potuto valorizzare località venete meno note, che mantengono lo stile di Venezia ma nono sono immediatamente identificabili con la città. Le locations utilizzate sono Villa Ca' Marcello, a Levada di Piombino Dese, Forte Carpenedo a Mestre, diversi interni ed esterni a Murano, oltre ad interni in abitazioni private. Il rischio di creare un film pacchiano e modaiolo viene evitato proprio grazie alla cura nel creare un mondo alternativo verosimile, guidato da regole che restano immutate per tutta la narrazione.
Nonostante la relativa esilità della trama gialla, le numerose scene d’azione sono gestite con una sicurezza che di solito manca al cinema italiano. Il risultato è ancora più sorprendente se si tiene conto dei mezzi limitati di un film a carattere ‘regionale’, sostenuto soprattutto dalle competenze professionali di quanti vi hanno preso parte. La liberazione di una prigioniera dalle carceri tocca vette di rara intensità, e nessun momento che preveda inseguimenti, agguati o sparatorie ha il sapore edulcorato dei telefilm della televisione generalista.
Leonardo Rizzi, interpretato dal bravo Francesco Wolf, ha solo in parte gli stereotipi dei detective dei polizieschi d’azione. E’ il figlio di un sovversivo che è stato ucciso anni prima, e crede nelle istituzioni nonostante sia sempre più consapevole del fatto che per finire in galera basti avere un’opinione diversa da quella del Doge. E’ vedovo, con un figlio piccolo e tante incertezze che crescono al progredire delle indagini, in quanto scopre di essere parte del meccanismo, integrato nella gerarchia in modo tanto soddisfacente da non fargli desiderare di diventare un leader rivoluzionario. Educato al rispetto dei superiori, a un ideale di giustizia troppo idealizzato, dovrà comunque compiere una scelta quando le sue ricerche toccano personaggi troppo in alto nella catena del potere della Serenissima.
In questo senso non sorprende il mancato lieto fine che attende il protagonista e quanti si schierano dalla sua parte: l’immortalità che un uomo come il Provveditor Capo può lasciare ai posteri è quella della fedeltà ai propri ideali di giustizia, costi quel che costi.
Oltre al bravo protagonista, tutto il cast funziona, e la confezione è impeccabile. Venezia Impossibile è un raro esempio di film indipendente di essai di cui poter andare fieri.

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

Questa recensione è adottabile ! Contatta Cuccussette su Facebook

LEGGI ALTRO FANTASY

HOME