SOROR
Oggi i film natalizi seguono tre filoni principali. Ci sono le storie più tradizionali, religiose o laiche, dedicate a quanti evitano le sorprese e alle famiglie con bambini. Ci sono poi i blockbuster di qualsiasi genere e annata eccetto l’horror, e ci sono film che sono ambientati nel periodo natalizio e propongono storie a base di buoni sentimenti, dove essere laici è tutta apparenza e la sostanza è più o meno quella che tradizione impone, in quanto danno insegnamenti comunque assai in linea con la visione della vita di un cristiano.
Soror di Gabriele Lazzaro è un cortometraggio dotato di tutte le caratteristiche di questo terzo tipo di pellicola, nonostante sia realizzata con perizia tecnica encomiabile e con mezzi rari da trovare in queste ‘pillole di cinema’. E’ stato prodotto dalla “Sarabi Productions” di Didi Leoni, storico volto del Tg5, e è stato interpretato da attori famosi nel circuito delle fiction e del cinema d’autore nazionale. La ditta vinicola Bosca ha sponsorizzato quest’opera, fornendo spazi di grande impatto visivo e facendo inserire ben in vista bottiglie pregiate. Le Cattedrali Sotterranee di Canelli (patrimonio mondiale dell’Umanità per l’Unesco) sono esibite in carrellata come scena d’apertura.
Soror è un’opera premiata e patinata, è un dramma umano narrato con qualche tono fantasy che passa in secondo piano in una ennesima storia di legami familiari. Lo spettatore se ne rende conto quando è tardi: ne rimane catturato o terribilmente deluso. L’incipit con la voce di Sabrina Izzo recita ‘Secondo una leggenda le sfere di cristallo sono portali magici che conducono chi è in punto di morte sulla soglia dell’oltretomba. Lì, al cospetto della propria parte oscura, si è chiamati a fare una scelta: andare verso la luce, o lasciarsi avvolgere dalle tenebre, per sempre’. Le cantine e poi l’anziana con la sfera di cristallo in mano e la presenza incappucciata farebbero sognare un bel thriller paranormale, una ghost story all’italiana. Invece dopo i titoli di testa lo spettatore è catapultato in una palazzina liberty, con interni ammobiliati shabby chic come in una rivista di arredamento destinata a chi non ha pezzi d’epoca degni d’esser conservati per valore antiquario, e non ha oggetti personali di importanza affettiva.
Alla vigilia di Natale Rebecca (Daniela Giordano) e Adele (Giorgia Trasselli) stanno assistendo la loro sorella Lucia (Mariella Valentini), morente a causa di una malattia: la donna che camminava nel buio nell’incipit è proprio la moribonda. Sulle tre donne grava il ricordo della lettera scritta da Nora, la quarta sorella (Elisabetta De Palo): sono parole dure e Lucia ha sviluppato un senso di colpa che potrebbe averla fatta ammalare. Lucia è lucida e consapevole di aver poco tempo davanti e prima di morire vorrebbe ricomporre l’armonia familiare, il suo ultimo desiderio è ‘avere un lieto fine’... La stessa notte le tre donne si ritrovano di colpo nel bosco e compare anche lo spettro di Nora. Ci sarà un prevedibile momento di perdono, di riconciliazione, poi Nora e Lucia spariranno in un varco e vedremo all’alba la famiglia riunita attorno al corpo di Lucia, in un ‘lieto fine’ dove il miracolo è quello che avviene negli animi, nel perdono e nella morte serena.
Tutto è di alta e prevedibile qualità, in questo corto dall’epilogo ovvio, tanto ovvio da farsi spoiler da solo senza neppure dover ricorrere alle chiacchiere del critico pestifero di turno. La recitazione mantiene i consueti standard televisivi italiani, niente a che vedere con le produzioni britanniche ma nemmeno prestazioni dilettantesche: vediamo quanto vedremmo in una fiction della tv commerciale, anche come tipo di riprese, unite da un montaggio placido.
Del thriller sovrannaturale, della ghost story tanto attesa, proprio non c’è traccia, o meglio, ci sono spunti all’inizio e poi tutto si smarrisce. L’unico effetto speciale è il varco con le lingue di luce che si apre tra gli alberi nella parte che precede il finale; è realizzato discretamente, ma è messo lì senza l’entusiasmo del senso di meraviglia tipico dell’arte del fantastico.
Il cortometraggio è una sentita celebrazione del desiderio di perdonare ed essere perdonati, è un film spirituale parente più dei preacher movies commissionati dai predicatori americani che del fantasy. Purtroppo le necessità narrative da dramma educativo hanno il sopravvento anche su alcune gustose citazioni cinefile. Il rapporto tra sorelle ispirato a Che fine ha fatto Baby Jane perde efficacia in quanto ignoriamo tutte le meccaniche che lo hanno innescato. C’è la lettera, ma le tensioni familiari restano accennate in poche battute e non si sa se c’è un vero e proprio torto da riconoscere o piuttosto ci sono concause. ‘’Omaggio la tradizione fantasy italiana e il suo maestro Lamberto Bava, sarà che sono cresciuto a pane e Fantaghirò!” ha dichiarato l’Autore. Dei richiami al raro fantasy italiano non c’è traccia, e il cult Labyrinth resta la sequenza del letto di Lucia con il romanzo di Clark A. Smith e la sfera di cristallo regalatole dal figlio di Rebecca e dal suo compagno.
La coppia gay è abbastanza superflua, a parte portare le bottiglie dello champagne sponsor e donare la sfera. Averla introdotta negandole però ogni spessore psicologico finisce per sembrare solo un modo per dare una spolverata di moderna inclusività, aprire al corto le porte di festival internazionali dominati ormai dalla cultura woke... O per poter far entrare in scena lo stesso regista, nei panni di Mattia, figlio di Rebecca.
Il cortometraggio si propone come un film breve da festività apparentemente laico, però non basta escludere dalle scene i simboli religiosi per essere davvero non confessionali. . Lo spettatore viene guidato in un preciso tipo di spiritualità; continuando a proporre una visione molto precisa della vita Gabriele Lazzaro finisce per dare lezioni riguardo al senso dell’esistenza e del perdono e sull’infinita lotta fra luce e ombra che c’è nell’animo umano. Purtroppo dà risposte ben certe, invece di sollevare dubbi e far riflettere.
Cuccussette vi ringrazia della lettura.
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