ULTIMATUM ALLA TERRA del 2008

C’era una volta… non una fata, e nemmeno un ciocco di legno. C’era una volta uno spettatore ingenuo, attirato nel cinema dalla visione di un bel poster colorato con un visino grazioso, un aitante giovanotto e tante scritte vistose. A volte entrava semplicemente per abitudine, alla domenica e nelle feste comandate, senza avere una predilezione per un genere; in molti casi aveva poca scelta e si recava nell’unico locale del paese. A questo ipotetico spettatore era possibile propinargli di tutto, dal capolavoro imperituro al film di serie Z, era poco esigente e bastava così poco per ottenere grandi sorrisi e applausi… Il bello della situazione, o il brutto che dire si voglia, era che anche proponendogli opere valide, continuava a sorbirsi tutto quello che passava il convento, per abitudine, per pigrizia a spostarsi verso sale distanti qualche chilometro in più, per desiderio di seguire gli amici più che i film. Mi auguravo che questa specie di spettatore si fosse estinta verso il Duemila, grazie all’avvento di Internet e della pirateria, e se ne potesse parlare come si parla dei dinosauri. Se era possibile ‘piratare’ ogni pellicola e vederla comodamente a casa, all’ora preferita, perché avrebbero dovuto spendere i soldi per vedere film scadenti? Avrebbero potuto recarsi in sala solo per pellicole di particolare interesse, o per occasioni speciali, e vedere per vie traverse quanto non meritava la spesa del biglietto, costringendo i titoli scadenti alla trasformazione in direct-to-video o alla meritata estinzione. Nel 2008 si stavano avviando quelle innovazioni che avrebbero cambiato il modo di godersi il cinema, e iniziava ad affermarsi la moda dei remake. La grafica digitale stava diventando accessibile e molti registi ne approfittarono,  riproponendo vicende note, spesso arricchite solamente da effetti speciali più sofisticati, o dalle partecipazioni di attori alla moda, quasi sempre più belli che bravi. E’ quanto è avvenuto col film Ultimatum alla Terra. Il piccolo gioiellino firmato da Robert Wise nel 1951 è stato riproposto dalla versione del 2008 di Scott Derrickson. E’ un reboot che fonde l’omonimo capostipite e il meno conosciuto The Cosmic Man del 1959, con poche variazioni, qualche suggestione da Starman di Carpenter e tanta voglia di marciare sul sicuro. Stavolta c’è un messaggio ecologista davvero ingenuo invece di un monito pacifista. Entrambi i film sono debitori del racconto lungo Addio al padrone (Farewell to the Master) scritto da Harry Bates. Il testo è molto più amaro di entrambe le pellicole, e se fosse stato trasposto con fedeltà, avrebbe dato vita a uno spettacolo per palati molto esigenti. I cambiamenti apportati alle pagine sono radicali e l’Autore rinnegò l’impiego della sua opera per il film. Le pesanti modifiche sono comprensibili perché sulla carta il vero protagonista è il robot. Klaatu viene ucciso e non compaiono né la vedova col bambino, né lo scienziato pacifista o altri personaggi positivi. Nel 1951 l’alieno Klaatu ( Michael Rennie) arrivava dallo spazio profondo a bordo di un’astronave, accompagnato da un potente robot, Gort. Era una sorta di diplomatico galattico in missione per ricondurre i terrestri a comportamenti più pacifici, per il bene della galassia.  Doveva parlare con i rappresentanti  dei terrestri per scongiurare una guerra atomica e aveva con sé il robot pronto ad intervenire in caso di aggressioni alla sua persona. Il Klaatu del 2008 è il capo di un’avanguardia di alieni scesi sulla Terra per controllare l’operato degli esseri umani e spazzarli via se diventano pericolosi. Arriva in una sfera analoga a quella del Cosmic Man, ovviamente più grande e parcheggiata nel Central Park, perché ogni remake deve riproporre elementi del passato rendendoli più vistosi. Stavolta l’alieno vuole parlare all’ONU  di ecologia. Ci sono pochi pianeti nel cosmo adatti a poter sviluppare la vita, la Terra è uno di questi e i terrestri lo stanno distruggendo. Perciò sono stati condannati a morte dalle altre razze intelligenti della galassia. Klaatu viene subito frainteso, gli sparano, i capi di stato lo ignorano nonostante minacci di distruggere la specie umana e ripopolare poi il pianeta. Peccato che Keanu Reeves non ha nemmeno una briciola del carisma e della classe di Michael Rennie, e le minacce convincono poco anche quando riescono a non suonare goffe e ridicole. Un po’ giudice spietato, un po’ diplomatico messo alle strette, un po’ santo messia che quando s’arrabbia diventa più cattivo di un vero cattivo, questo è il Klaatu del terzo millennio. Con buona pace delle fan di Keanu Reeves, il personaggio sembra ignorare la differenza tra il fascino dovuto alla bellezza più o meno carnale e il fascino creato dal carattere e dal carisma, che era quanto emanava Michael Rennie. Con la sua figura ascetica, di una bellezza lontana da stereotipi poteva ricordare un Messia, un profeta venuto da lontano per parlare di pace. Volutamente la distruzione che si scatena non è un suo ordine: lui si limita a fermare l’elettricità o far sparire le armi. Quando nel concitato epilogo viene ucciso dai soldati, il robot Gort reagisce alla morte del suo padrone con un atto di ritorsione. L’alieno viene poi rianimato e se ne va congedandosi con un messaggio pacifico ma non sdolcinato o ingenuo. Il Klaatu del 2008 invece usa la violenza di propria mano, fa cadere elicotteri e uccide militari per sua libera scelta, come se questo comportamento dovesse fargli guadagnare maggiore rispetto o ammirazione da parte della platea. Addirittura investe con l’auto un soldato, lo uccide, e lo fa tornare in vita solo perché necessita della protezione della protagonista e del bambino. Così tira fuori una pomata magica, la impiega tra una sparatoria e una deliberata uccisione e nel contesto di quelle sequenze quasi sembra lo spot di un burro cacao, ci si aspetta di vedere anche la pubblicità delle crocchette di pollo e del detersivo.
Nella versione del 2008, l’alieno fugge ed instaura un rapporto sincero con una vedova con figlio. Negli anni Cinquanta era la tenutaria di un albergo a salvare Klaatu dalle ire dei politici ottusi. Nel 2008 c’è la scienziata Helen Benson con un insopportabile pargolo al piede. Sembrerebbe sprizzare modernità e potere al femminile, eppure si comporta proprio come la più modesta affittacamere di settanta anni fa. Dovrà convincere l’alieno a non infierire contro l’umanità, toccare le corde dei sentimenti e fargli capire come la specie sia capace di bassezze come di sentimenti nobili. Quindi dovrà aiutarlo a tornare alla sua astronave per ripartire sano e salvo, dopo aver fatto pace col mondo. La differenza è tutta formale, Helena Benson ha un mestiere invidiabile e prestigioso, conosce scienziati premio Nobel, è una mamma in carriera, e poi in pratica fa meno di quanto non faccia la donna che nel 1951 affronta il robot in una sequenza memorabile. Sto facendo spoiler? Sì, no o meglio: forse. Quello che ho appena svelato sull’intreccio della pellicola dovrebbe essere ben noto, insomma, è un po’ come se raccontassi che alla fine dei Promessi Sposi Renzo e Lucia si sposano e copulano producendo una gran nidiata di popolani timorati di Dio mentre Don Rodrigo tira le cuoia per la peste. Forse è uno spoiler, o forse non lo è, in quanto è un classico e dovremmo conoscerlo. Qualcosa di simile avviene per le due pellicole anni 50, che sono un esempio di fantascienza d’epoca invecchiata visivamente però attuale nella sostanza. Per quanti hanno presente i film d’annata, il remake offre davvero poche novità, e le offre in modo naif.
Gli effetti speciali sono ovviamente tutta un’altra cosa. Nel 1951 il sobrio bianco e nero e i limiti tecnici costringevano gli sceneggiatori a far immaginare allo spettatore quanto era impossibile da ricreare. Si vedeva la sfera, il robot dagli occhi minacciosi, o meglio, si intravedevano senza esibizioni esplicite e prolungate. Tra ombre e visioni fugaci il timore cresceva. Nel 2008 si mostra tanto, troppo a volte, con sequenze che aumentano l’altrimenti modesto minutaggio . Il film dura 103 minuti inclusi titoli di testa e i lunghi titoli di coda; sfrondandolo dai barocchismi tecnologici sarebbe rimasto quasi un mediometraggio mal proponibile al cinema e in controtendenza rispetto a pellicole sempre più lunghe. E’ comprensibile come abbiano dovuto allungare il brodo a suon di sequenze in grafica digitale. Il risultato è che questa recensione è stata scritta nel 2023 e quelle allora avveniristiche creazioni sembrano antiquate quanto e più dei vecchi robot fatti di latta saldata. Esibiscono trionfalisticamente pretese iperrealistiche che hanno sempre qualche sbavatura, qualche contorno non perfetto, qualche artificiosità che daterebbe anche un videogame, e mancano del fascino vintage. Alcuni super poteri dell’alieno, come poter rianimare i morti facendo da cavo di collegamento col motore delle auto, o l’arma che usa per sterminare l’umanità stile piaga d’Egitto, fanno davvero sorridere.
La sceneggiatura prevede anche dei chiarimenti sulla natura dell’alieno e della sua missione. Purtroppo le spiegazioni aggiungono ben poco… anzi, aggiungono troppo. Sottraggono l’alone di mistero attorno a Klaatu, raccontandoci come mai abbia un aspetto umano. I poteri lo rendono più forte, più arbitrario, prima minaccioso verso i terrestri e poi più arrendevole, una volta che ha conosciuto bene la scienziata e pochi umani che meritano rispetto e amore. A quel punto la sceneggiatura avrebbe potuto – e dovuto - giocare la carta del legame sentimentale più esplicito, sulla falsariga di Starman, invece di organizzare un incontro strappacore sulla tomba del marito della scienziata. Il momento drammatico c’era anche nella versione del 1951, con la morte di Klaatu e il robot che iniziava a distruggere i militari. Quello non era però un dramma fine a sé stesso, o un modo per ravvivare l’interesse della platea con un colpo di scena. Era piuttosto l’occasione per far compiere un atto di coraggio alla vedova, che fermava il massacro pronunciando davanti a Gort le parole «Klaatu, Barada, Nikto!» che sarebbero poi diventate leggendarie.
Il problema più grave del film, a mio parere, resta l’incapacità di osare. Si recuperano due film notevoli, ma tutto si limita ad una prevedibile riproposizione, mescolando elementi di entrambi ma rinunciando a soluzioni davvero originali, che potevano essere davvero a portata di mano.
In un clima di accoglienza e inclusione, avrebbero potuto lasciare Klaatu sulla Terra, inserito tra i terrestri come l’ anziano cinese d’origine aliena che incontra in un fast food e che non se ne vuole andare, ha fatto famiglia con i terrestri e nonostante le loro debolezze li ama. Le sequenze nel McDonald’s potevano essere state inserite proprio per offrire un epilogo alternativo. Oppure potevano far scappare la scienziata e il bambino con l’alieno, cosa che poteva sconvolgere un pubblico puritano. Se si scandalizzano per le coppie arcobaleno, figurarsi per un legame esplicitamente interspecie! Anche in questo modo si manteneva un clima dolce amaro, perché la partenza della donna e del bambino ci avrebbe confermato che esiste il vero Amore e non guarda in faccia a sesso, razza, specie, ma non è qualcosa di ancora possibile su questa terra. Non hanno osato, purtroppo, quindi, niente storia d’amore tra l’alieno e la donna, niente dolorosa separazione stile Starman, niente fuga della donna con l’alieno verso mondi lontanissimi, ma un epilogo tradizionalista ed ambiguo…
Cosa salvare di questo remake, a parte l’appetitoso Keanu Reeves al culmine della sua bellezza ? Non tanto la sua recitazione legnosa e inespressiva. Da un paio di decenni quando c’è bisogno di mettere in scena un’entità sovrannaturale gli si affibbia l’aspetto di un attore o di un’attrice procace e si accetta che reciti come gli riesce. Se gira per il set rigido come un baccalà, si può sempre incolpare la natura ultraterrena del personaggio. Keanu Reeves è un bravo attore e ha fatto film epocali, ma non è in questa pellicola che dà prova della sua abilità. C’è un abisso tra la sua prestazione e quella di Michael Rennie e anche di David Bowie ne L’uomo che cadde sulla Terra. Merito del copione, forse, merito delle capacità individuali. Oppure colpa, perché in questo remake anche gli altri interpreti brillano poco. Tutti, a partire dal regista, danno l’idea di bambini diligenti che hanno fatto il loro compitino senza infamia e senza lode, sprecando più di un’occasione per creare qualcosa di nuovo.

 

Cuccussette vi ringrazia della lettura.

Questa recensione è stata edita da su questo sito. Se la vuoi adottare contatta su Facebook Cuccussette o Florian Capaldi

LEGGI ALTRA FANTASCIENZA

HOME

Crea il tuo sito web con Webador